CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 aprile 2019, n. 9623
Tributi locali – Tassa sullo smaltimento dei rifiuti solidi urbani – Opificio – Accertamento – Riscossione
Ritenuto che
1. – La Commissione tributaria regionale della Campania, con sentenza n. 5016 del 5 maggio 2014 (dep. il 22 maggio 2014), in accoglimento del gravame dell’Ente impositore, ha riformato mediante declaratoria di inammissibilità del ricorso introduttivo, la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Salerno n. 359/10/12 del 27 febbraio 2012, la quale aveva parzialmente accolto il ricorso esperito dalla società I.L. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso il provvedimento del Comune di Montecorvino Pugliano n. 12251 dell’6 luglio 2011, di inammissibilità della istanza, proposta in via di autotutela dalla contribuente il 7 aprile 2011, per l’esenzione dal pagamento della tassa sullo smaltimento dei rifiuti solidi urbani gravante sull’opificio della società sito in quel comune.
2. – La contribuente, con atto del 31 dicembre 2014, ha proposto ricorso per cassazione, affidato da due motivi.
3. – L’Ente impositore ha resistito mediante controricorso, insistendo, quindi, con memoria dell’11 febbraio 2019, per il rigetto della impugnazione.
Considerato che
1. – Col primo motivo di ricorso la contribuente denunzia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione degli artt. 111, sesto comma, della Costituzione e 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. sotto il profilo della «mancanza di motivazione» in dipendenza della «manifesta contraddittorietà e obiettiva incomprensibilità» del relativo costrutto.
Deduce la ricorrente che, laddove l’impugnativa del libello introduttivo concerneva la declaratoria dell’Ente impositore dell’8 (rectius: del 6) luglio 2011, di inammissibilità della istanza di esenzione dal tributo, la Commissione tributaria regionale aveva frainteso l’oggetto del giudizio: aveva infatti motivato, in modo contraddittorio e incomprensibile, sulla base del rilievo che il pregresso avviso di accertamento del tributo litigioso non era stato tempestivamente impugnato.
2. – Col secondo motivo la contribuente denunzia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 19 del d. Igs. 31 dicembre 1992, n. 546, censurando la ritenuta definitività del pregresso atto impositivo e opponendo, in proposito, che si sarebbe trattato di atto «non impugnabile» ovvero «non obbligatoriamente impugnabile», in quanto «spedito con posta ordinaria», privo della comminatoria della sanzione» prevista nel caso di pagamento omesso o ritardato, nonché della indicazione della competente commissione tributaria davanti alla quale poteva essere proposto ricorso e del termine relativo.
3. – Il primo motivo di ricorso, che merita di essere esaminato congiuntamente al secondo, è infondato.
Esattamente la Commissione tributaria regionale ha rilevato la inammissibilità del ricorso introduttivo esperito dalla contribuente avverso il provvedimento col quale l’Ente impositore aveva disatteso la istanza di esenzione dal tributo presentata in sede di autotutela.
In proposto nella giurisprudenza di legittimità è consolidato il principio di diritto secondo il quale, una volta che l’atto impositivo sia divenuto definitivo, per omessa, tempestiva impugnazione nel termine di decadenza, non è ammessa la deduzione di questioni inerenti alla fondatezza della pretesa tributaria in sede di impugnazione del provvedimento negativo adottato dall’ente impositore sulla istanza proposta dal contribuente in via di autotutela, in quanto i provvedimenti assunti in tale sede sono impugnabili esclusivamente sotto «eventuali profili di illegittimità del rifiuto, in relazione a ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio» della autotutela, la quale «come affermato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 181 del 2017, si fonda su valutazioni ampiamente discrezionali e non costituisce uno strumento di tutela dei diritti individuali del contribuente» (Sez. 5, ordinanza n. 21146 del 24/08/2018, Rv. 650057 – 01, cui adde Sez. 5, ordinanza n. 7616 del 28/03/2018, Rv. 647518 – 01; Sez. 5, sentenza n. 1965 del 26/01/2018, Rv. 646810 – 01; Sez. 5, sentenza n. 3442 del 20/02/2015, Rv. 634479 – 01; Sez. 6 – 5, ordinanza n. 25524 del 02/12/2014, Rv. 633652 – 01 e Sez. 5, sentenza n. 11457 del 12/05/2010, Rv. 612986 – 01).
Epperò, alla luce del riportato principio di diritto, la Commissione tributaria regionale ha fondato la declaratoria della inammissibilità del ricorso introduttivo sulla base del rilievo affatto pertinente che il pregresso atto impositivo non era stato tempestivamente impugnato dalla contribuente, sicché l’accertamento era divenuto definitivo.
E al riguardo il Giudice di merito ha congruamente spiegato che l’atto in questione (indicato dal Giudice di prime cure come avviso di pagamento, ma più correttamente qualificabile come vero e proprio avviso di accertamento) recava la compiuta espressione della pretesa fiscale, compresa la indicazione delle «conseguenze in caso di mancato pagamento» del tributo, e «pertanto doveva essere impugnato entro il termine di decadenza […] in sessanta giorni dal ricevimento dell’avviso» medesimo.
Sicché – a prescindere dal rilievo della evidente carenza di autosufficienza del relativo mezzo di impugnazione – le censure formulate dalla ricorrente, col secondo motivo, circa i supposti vizi del ridetto, pregresso atto impositivo, sono tutte prive di giuridico pregio, in quanto precluse dalla definitività del provvedimento.
4. – In conclusione la Corte rigetta il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza.
La reiezione del ricorso comporta, infine, trattandosi di impugnazione notificata dopo il 31 gennaio 2013, la declaratoria della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ai sensi dell’art. 13 comma 1 – quater del d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo.
Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese che si liquidano in complessivi euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre spese forfettarie e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis, dello stesso articolo 13.
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