CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 dicembre 2019, n. 31814
Tributi – Accertamento ex art. 39, co. 1, lett. d), del DPR n. 600 del 1973 – Indizi presuntivi di inattendibilità delle risultanze contabili – Antieconomicità della gestione aziendale – Bilancio con un utile esiguo a fronte di ingenti investimenti sostenuti
Fatti di causa
la H. Srl, dedita all’attività di ferramenta, riceveva dall’Agenzia delle Entrate di Napoli la notifica dell’avviso di accertamento n. TF3030806802/11, attinente ad Ires ed altro in relazione all’anno 2007, con il quale era accertato il conseguimento di maggiori ricavi nella misura di € 86.555,00. La società aveva dichiarato un valore dei ricavi pari ad € 809.905,00 ed un reddito d’impresa di € 10.104,00. L’Ente impositore sosteneva che i ricavi dichiarati apparivano insufficienti per remunerare il capitale impiegato (costi pari ad € 980.049,00, pertanto significativamente superiori ai ricavi), e comunque ad assicurare i mezzi di sostentamento ad una pluralità di dipendenti, apparendo invece necessario ricalcolare i ricavi tenendo conto di una incidenza dei costi nella misura dell’89% “mediamente conseguita nel periodo in esame nella Regione Campania” (sent. CTR, p. 2). Doveva pure riscontrarsi che le rimanenze finali erano state stimate di valore doppio rispetto a quelle iniziali, dovendo anche registrarsi una situazione di anormalità rispetto agli studi di settore. Dal complesso degli elementi emergeva, in definitiva, l’accertata antieconomicità della gestione dell’impresa.
La società impugnava l’avviso di accertamento innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, che giudicava fondato il ricorso ed annullava l’atto impositivo.
L’Amministrazione finanziaria proponeva appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania. Quest’ultima osservava che l’avviso di accertamento era basato su una pluralità di elementi. I costi dichiarati, come innanzi evidenziato, risultavano significativamente superiori ai ricavi, “ed il reddito d’impresa, pari ad euro 10.104,00, è estremamente esiguo” (sent. CTR, p. 3), dato che accresceva la sua anomalia in considerazione del fatto che è riscontrabile pure negli anni precedente e successivo. Ancora, il valore delle rimanenze finali risultava doppio rispetto al valore di quelle iniziali, ed anche il costo del personale, molto elevato (Euro 51.904,00) aveva continuato ad incrementarsi con l’assunzione di un’unità all’anno. Osservava in conclusione la CTR che l’Ufficio finanziario aveva fondatamente ritenuto che sussistessero “gravi e numerosi indizi presuntivi di inattendibilità delle risultanze contabili”, non dipendenti soltanto dagli studi di settore, idonei a giustificare l’emissione di un accertamento ai sensi dell’art. 39, comma primo, lett. d), del Dpr n. 600 del 1973, dovendo in definitiva riscontrarsi una condotta antieconomica dell’operatore commerciale, a prescindere dalla regolarità formale della contabilità tenuta dall’impresa. In conseguenza accoglieva il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, riformava la decisione di primo grado e confermava la legittimità dell’accertamento tributario.
Avverso la decisione assunta dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania ha proposto ricorso per cassazione la società H., affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate. La ricorrente ha pure depositato memoria.
Ragioni della decisione
Preliminarmente, occorre osservare che nel suo controricorso l’Avvocatura dello Stato ha posto il problema di essere stata unica destinataria della notifica del ricorso per cassazione, non portato a conoscenza della parte, sebbene l’Avvocatura non risultasse costituita in giudizio.
Invero le Sezioni Unite di questa Corte hanno già avuto modo di rilevare che “in tema di contenzioso tributario, qualora nel giudizio di merito l’Agenzia delle entrate non sia stata rappresentata dall’Avvocatura dello Stato, è nulla, e non inesistente, la notifica del ricorso per cassazione effettuata presso l’Avvocatura dello Stato, non potendosi escludere l’esistenza di un astratto collegamento tra il luogo di esecuzione della notifica ed il destinatario della stessa, in considerazione delle facoltà, concesse all’Agenzia dall’art. 72 del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, di avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura. Tale nullità, inoltre, può essere sanata sia nel caso in cui l’Agenzia si costituisca senza sollevare eccezioni al riguardo, sia per effetto di rinnovazione della notifica, ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ.”, Cass. SU, 29.10.2007, n. 22641.
Tanto premesso:
1.1. – Con il suo primo motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., la H. Srl contesta la violazione o falsa applicazione dell’art. 10, comma 3 bis, della legge n. 146 del 1998, e comunque il vizio di motivazione, per avere la CTR impugnata trascurato che l’Ufficio finanziario non ha istaurato il contraddittorio preventivo con il contribuente, richiesto dalla legge in relazione ad ogni caso in cui l’atto impositivo risulta fondato su studi di settore.
1.2. – Mediante il secondo motivo di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., la ricorrente critica la CTR per essere incorsa nella nullità della sentenza, e comunque nella violazione o falsa applicazione degli artt. 39, primo comma, lett. d), e 40 del Dpr n. 600 del 1973, ed inoltre degli artt. 2729 e 2697 cod. civ., a causa del difetto dei caratteri della gravità, precisione e concordanza, degli indizi raccolti e pertanto del mancato assolvimento dell’onere della prova, nonché dell’art. 57 del D.Lgs. n. 546 del 1992, che pone il divieto di proposizione di questioni nuove in appello.
1.3. – Con il terzo motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 3, 4 e 5, cod. proc. civ., la società H. lamenta nuovamente la violazione o falsa applicazione degli art. 39, comma primo, lett. d), e 40, del Dpr n. 600 del 1973, ed inoltre dell’art. 62 sexies, terzo comma del DI n. 331 del 1993, come conv., per essere la CTR impugnata incorsa nella violazione o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., omettendo l’esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
2.1. – 2.2. – 2.3. – I motivi di ricorso possono essere trattati congiunta- mente, in conseguenza della loro stretta connessione, ed anche della scelta espositiva della ricorrente, che ha mescolato critiche eterogenee nell’ambito di ogni motivo: esemplare al proposito appare l’indicazione riassuntiva del terzo di essi.
In definitiva la ricorrente contesta, invocando ogni vizio configurabile, che la CTR ha errato a ritenere non necessaria l’applicazione del disposto di cui all’art. 10, comma 3 bis, della L. n. 146 del 1998, il quale prevede l’obbligo di istaurare il contraddittorio preventivo con il contribuente in relazione ad un accertamento tributario fondato sugli studi di settore, pur riconoscendo che l’atto impositivo emesso nei confronti della H. fosse fondato “anche” sullo studio di settore, perché l’avviso di accertamento non risulta fondato “esclusivamente sugli studi di settore” (ric., p. 7) , carattere però non richiesto dalla norma citata ai fini dell’obbligatoria istituzione del contraddittorio preventivo.
La ricorrente contesta, inoltre, che sarebbe riscontrabile incoerenza e contraddittorietà nell’argomentare della CTR, la quale avrebbe fatto proprie le oscillazioni dell’Ufficio, che nel corso del giudizio ha affermato sia lo scostamento dei risultati conseguiti dall’impresa rispetto agli studi di settore sia, al contrario, la congruenza degli stessi.
Critica ancora la ricorrente, che la gestione antieconomica dell’impresa non ricorrerebbe in considerazione di circostanze oggettive, trattandosi di impresa giovane, sorta in territorio in cui la medesima attività di ferramenta incontra significativa concorrenza, ma anche in conseguenza di considerazioni soggettive, perché finalità dell’imprenditrice era in primo luogo quella di assicurare un lavoro a parenti acquisiti, fermo restando che non può parlarsi di gestione antieconomica perché la società ha comunque chiuso l’anno in attivo, ed altrettanto si è verificato nell’anno precedente e nel successivo.
Gli studi di settore devono in realtà essere parametrati sulla specifica realtà aziendale, ha sottolineato la contribuente, e la H. ha dimostrato mediante la consulenza tecnica di parte depositata, mai contestata dall’Agenzia delle Entrate, che non sussisteva l’antieconomicità della gestione. La consulenza aveva pure dimostrato che la percentuale di ricarico applicata dall’impresa era in linea con il mercato, e comunque l’accertamento ai sensi dell’art. 39, comma primo, lett. d), del Dpr n. 600 del 1973, si giustifica solo in presenza di “gravi incongruenze” (ric., p. 17) e non di scostamenti di scarsa importanza.
In primo luogo occorre ricordare che, nell’ambito di un giudizio impugnatorio, il ricorrente è onerato della critica delle affermazioni proposte dal giudice contestato nel provvedimento sottoposto a gravame. Deve allora rilevarsi che la “incoerenza” affermata dalla ricorrente, in materia di congruenza o meno dei risultati economici dell’impresa rispetto agli studi di settore, appare riferibile solo alla condotta processuale dell’Agenzia, e non all’Organo giudicante, e la contestazione risulta, in relazione a tale profilo, inammissibile.
Tanto premesso sembra poi opportuno ricordare subito che l’art. 10 della legge n. 146 del 1998, nel testo applicabile, prevede che “gli accertamenti basati sugli studi di settore … sono effettuati … qualora l’ammontare dei ricavi o compensi dichiarati risulta inferiore all’ammontare dei ricavi o compensi determinabili sulla base degli studi stessi [comma 1] … Nelle ipotesi di cui al comma 1 l’ufficio, prima della notifica dell’avviso di accertamento, invita il contribuente a comparire … [comma 3 bis]”. Pertanto, solo nel caso in cui l’accertamento sia basato sullo studio di settore l’instaurazione del contraddittorio preventivo con il contribuente è un obbligo dell’Amministrazione finanziaria. La scelta terminologica operata dal legislatore assume una rilevanza non trascurabile, anche perché la norma introduce un’eccezione, non essendo previsto, in generale, che l’invio dell’avviso di accertamento tributario debba essere preceduto dall’instaurazione del contraddittorio con il contribuente.
Il dato che l’accertamento sia “basato” sullo studio di settore non esclude che esso possa trovare anche altre giustificazioni come, ad esempio, riscontrate irregolarità contabili o la ritenuta antieconomicità della gestione aziendale. Un accertamento tributario può dirsi basato su uno studio di settore, però, sol quando trovi in esso il suo fondamento prevalente. Tanto non si verifica quando, ad esempio, mediante l’utilizzo degli studi di settore siano emerse incongruenze nella contabilità di impresa che abbiano indotto l’Ente accertatore ad approfondire l’analisi, riscoprendo altri, e prevalenti, indici rivelatori dell’esistenza di una operatività economica non dichiarata, raccogliendo l’Amministrazione finanziaria elementi gravi, precisi e concordanti, alfine posti a fondamento dell’accertamento tributario (cfr. Cass. sez. V, 6.6.2019, n. 15344).
Nel caso di specie, la CTR impugnata ha ritenuto che l’accertamento contestato avesse accertato, in primo luogo, la antieconomicità della gestione aziendale. La odierna ricorrente contesta che la società ha sempre chiuso i propri bilanci in attivo, e pertanto l’antieconomicità della gestione aziendale non si sarebbe mai verificata.
L’impostazione proposta dalla CTR appare corretta e merita di essere confermata. L’antieconomicità della gestione di un’impresa non può verificarsi sol quando essa concluda il proprio esercizio annuale con una perdita, ma anche quando chiuda il bilancio con un utile talmente esiguo, a fronte di ingenti investimenti sostenuti, da far ritenere senz’altro sconveniente il rischio d’impresa sopportato in rapporto al risultato conseguito. Nel caso di specie i costi sostenuti dalla H. nell’anno 2007 sono stati dichiarati dalla società come pari a 980.049,00 Euro, i ricavi sono stati dichiarati come ammontanti a 809.905,00 Euro, significativamente inferiori, pertanto, ed il profitto è stato indicato in dichiarazione come conseguito in misura pari a 10.104,00 Euro. Deve pertanto confermarsi che la gestione aziendale si è rivelata antieconomica. La valutazione della CTR in materia, peraltro, è stata fondata anche su ulteriori elementi. Ha rilevato il giudice dell’appello, ad esempio, che le rimanenze finali sono state stimate dalla contribuente come di valore doppio rispetto a quelle iniziali. Ancora, nonostante i precari risultati di gestione conseguiti, la società ha continuato ad assumere ulteriori dipendenti (cfr. Cass. sez. V, 21.7.2015, n. 15323).
Occorre ancora chiarire che in nessun conto può tenersi la consulenza di parte che la società invoca ripetutamente a fondamento dei propri assunti. Sia sufficiente osservare, in proposito, che la CTR non opera riferimento a tale documento. In un giudizio di natura impugnatoria, quale è per eccellenza il giudizio per cassazione, è specifico onere del ricorrente evidenziare in quali atti abbia proposto, nel corso dei gradi di merito, le questioni su cui domanda alla Suprema Corte di pronunciarsi, indicando pure le formule utilizzate e mediante quali atti abbia diligentemente coltivato le proprie contestazioni, al fine di consentire alla Corte di legittimità di esercitare il controllo che le compete in materia di tempestività e congruità delle conte- stazioni proposte, prima ancora di provvedere a valutarne la decisività; a tanto, però, la ricorrente non ha provveduto. In ogni caso, questa Corte di legittimità ha già chiarito che nel “ricorso per cassazione non può essere dedotto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. il vizio di omesso esame di un fatto decisivo della controversia per la mancata considerazione di una perizia stragiudiziale, in quanto la stessa costituisce un mero argomento di prova”, Cass. sez. VI-V, 9.4.2018, n. 1861.
I motivi di impugnazione in epigrafe devono essere, pertanto, respinti.
In conseguenza, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese di lite seguono l’ordinario criterio della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso proposto dalla H. Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente Agenzia delle Entrate, delle spese di lite del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.100,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente Società, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
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