CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 giugno 2020, n. 10713
Accertamento – Tributi – Vendite immobiliari – Maggiori ricavi societari non contabilizzati
Rilevato che
– con sentenza n. 134/15/13 depositata in data 4 novembre 2013, non notificata, la Commissione tributaria regionale del Veneto, sezione staccata di Verona, rigettava l’appello proposto da M. s.r.l., M. s.r.l., A.M., G.M., M.C.R., M.G., quali soci, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore prò tempore, avverso la sentenza n. 142/01/12 della Commissione tributaria provinciale di Verona che aveva rigettato il ricorso proposto dalle suddette società e dai soci avverso gli avvisi di accertamento con i quali l’Agenzia delle entrate aveva ricostruito induttivamente: a) nei confronti delle società maggiori ricavi non contabilizzati, ai fini Ires, Irap e Iva, per l’anno 2005, in relazione a vendite immobiliari, concluse da queste ultime per il 50% di propria competenza, ad un prezzo risultato superiore a quello indicato nei rispettivi rogiti; b)nei confronti dei soci un maggiore reddito da partecipazione ai fini Irpef e add. com. e reg.;
– la CTR, in punto di diritto ha osservato che:l) il secondo motivo di appello- con cui le società e i soci avevano dedotto l’erroneo richiamo nella sentenza di primo grado ai valori FIAIP, stante l’erronea determinazione induttiva dei maggiori ricavi per mancata riduzione del 50% in relazione alla metratura dei garages – era inammissibile, essendo nuovo, e, comunque, nel merito infondato, costituendo la congruenza o meno dei corrispettivi con i valori FIAIP una tessera di un mosaico probatorio più ampio; 2) il terzo motivo di appello -circa l’assunto mancato riconoscimento dei maggiori costi occulti che le società avrebbero sostenuto per l’acquisto dell’area di costruzione degli immobili compravenduti – era infondato in quanto non solo non vi era alcuna prova circa la veridicità delle affermazioni dei contribuenti ma anzi queste offrivano un indubbio elemento di valutazione sull’intera vicenda partendo dal presupposto che già il prezzo di acquisto dell’area contenesse una parte illegale non denunciata;
– avverso la sentenza della CTR, le società e i soci propongono ricorso per cassazione affidato a due articolati motivi, cui resiste, con controricorso, l’Agenzia delle entrate;
– i ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380bis. 1 c.p.c.;
– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, secondo comma, e dell’art. 380-bis. 1 cod. proc. civ., introdotti dall’art. 1 -bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.
Considerato che
– con il primo motivo, i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 5 c.p.c. l’omesso esame di un punto decisivo e controverso per il giudizio nonché la violazione: 1) degli artt. 56 e 57 del D.lgs. n. 546 del 1992 per avere la CTR erroneamente ritenuto inammissibile per novità- ancorché già proposto in primo grado- il secondo motivo di appello con cui era stata dedotta l’erronea determinazione dei maggiori ricavi non contabilizzati per erroneità del calcolo dei metri quadri relativi ai garages con conseguente indebito richiamo nella sentenza di primo grado dei valori FIAIP;2) degli artt. 2727 e 2729 c.c., 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 56 del d.P.R. n. 633 del 1972 per avere la CTR ritenuto, comunque, non fondato il secondo motivo di appello costituendo i valori FIAIP uno dei molteplici elementi posti a fondamento della pretesa fiscale, ancorché, ad avviso dei ricorrenti, gli ulteriori elementi, oltre i valori FIAIP (quali le perizie bancarie e il preliminare contenuti nei fascicoli relativi ai mutui stipulati dagli acquirenti) su cui era stato basato il calcolo dei maggiori ricavi, costituissero presunzioni di presunzioni, inidonei a sostenere la motivazione dell’accertamento;
– il primo motivo- articolato in due sub-censure, a loro volta dedotte sia sotto il profilo del vizio di violazione di legge che sotto quello del vizio motivazionale – è inammissibile per le ragioni di seguito indicate;
– in primo luogo, il motivo in esame consta di una inscindibile commistione dei profili di violazione di legge e di vizio motivazionale con esso dedotti, determinando una situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure (Cass. n. 7394 del 2010; n. 20355 del 2008; n. 9470 del 2008); al riguardo va ricordato il principio reiteratamente affermato da questa Corte (cfr., ex multis, Cass. n. 21611 del 2013; v. anche Cass. 7009 del 2017; n. 3170 del 2018) secondo cui «il motivo di impugnazione che [come nel caso qui vagliato] prospetti una pluralità di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme che si assumono violate, e dalla deduzione del vizio di motivazione, è inammissibile, richiedendo un inesigibile intervento integrativo della Corte che, per giungere alla compiuta formulazione del motivo, dovrebbe individuare per ciascuna delle doglianze lo specifico vizio di violazione di legge o del vizio di motivazione»;
– inoltre, quanto all’assunto vizio motivazionale della sentenza impugnata, lo stesso si profila inammissibile, stante l’applicabilità alla sentenza impugnata della regola della pronuncia c.d. «doppia conforme» di cui all’art. 348 ter cod. proc. civ. (applicabile ratione temporis poiché il gravame è stato proposto il 9 maggio 2013), e della nuova formulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (essendo stata la sentenza di appello pubblicata il 4 novembre 2013); in particolare, la doglianza è inammissibile in quanto contravviene al principio, condiviso dal Collegio, secondo cui nell’ipotesi, come quella che ci occupa, di “doppia conforme” prevista dal quinto comma dell’art. 348 ter cod. proc. civ., applicabile anche nel giudizio di legittimità in materia tributaria, ovvero al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale (cfr. Cass., Sez. U., n. 8053 del 2014), il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 5528 del 2014); adempimento che la ricorrente, nel caso di specie, non ha svolto, emergendo comunque dal contenuto del ricorso che identica è la quaestio facti esaminata delle due commissioni;
– quanto al vizio di violazione di legge, ed, in particolare, alla prima sub-censura con cui si denuncia la violazione degli artt.56 e 57 del d.lgs. n. 546 del 1992, i ricorrenti, in difetto del principio di autosufficienza, riportano dei meri stralci del ricorso introduttivo e della memoria illustrativa insufficienti a permettere a questa Corte di valutare la fondatezza della medesima in punto di asserita non novità del motivo di appello con cui era stato dedotto l’errore legato al calcolo dei metri quadri relativi ai garages e il conseguente indebito richiamo nella sentenza di primo grado dei valori FIAIP; inammissibile si profila anche la seconda sub censura- concernente la assunta violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 56 del d.P.R. n. 633 del 1972- essendo stata svolta dalla CTR la motivazione nel merito (nel senso dell’infondatezza) ad abundantiam, ciò in conformità all’orientamento di questa Corte secondo cui “Qualora il giudice che abbia ritenuto inammissibile una domanda, o un capo di essa, o un singolo motivo di gravame, così spogliandosi della “potestas iudicandi” sul relativo merito, proceda poi comunque all’esame di quest’ultimo, è inammissibile, per difetto di interesse, il motivo di impugnazione della sentenza da lui pronunciata che ne contesti solo la motivazione, da considerarsi svolta “ad abundantiam”, su tale ultimo aspetto” (Cass. n. 24469/13 e n. 30393/17);
– con il secondo motivo, i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 109, comma 4, lett. b) del TUIR, 32 e 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 53 Cost. per avere la CTR eroneamente ritenuto che dai maggiori ricavi non contabilizzati non andasse decurtato il costo sostenuto dalle società per l’acquisto delì’area di costruzione degli immobili compravenduti;
– il motivo è inammissibile;
– premesso che, in materia, questa Corte ha affermato i condivisibili principi di diritto secondo cui “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, spetta al contribuente l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, ove contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili. A tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa” (Sez. 5, Ordinanza n. 13300 del 26/05/2017) e, in tema di IVA, “ai fini della detrazione dei costi, non è sufficiente l’avvenuta contabilizzazione degli stessi, dovendo il contribuente dimostrarne, nell’ipotesi di contestazione dell’Amministrazione finanziaria, anche l’esistenza, l’inerenza e la coerenza economica” (Cass. Sez. 5 , Sentenza n. 22940 del 26/09/2018; nello stesso senso, Sez. 5, Sentenza n. 18904 del 17/07/2018, secondo cui in tema di IVA, ai fini della detrazione di un costo, la prova dell’inerenza del medesimo quale atto d’impresa, ossia dell’esistenza e natura della spesa, dei relativi fatti giustificativi e della sua concreta destinazione alla produzione quali fatti costitutivi su cui va articolato il giudizio di inerenza, incombe sul contribuente in quanto soggetto gravato dell’onere di dimostrare l’imponibile maturato”), nella specie, la CTR, con una valutazione di merito, non sindacabile in sede di legittimità, ha escluso che le società contribuenti avessero fornito la prova di tali costi (“non solo non vi è alcuna prova circa la veridicità celle affermazioni fatte dai contribuenti” pag. 5 della sentenza impugnata); ogni altra argomentazione sottesa al motivo di ricorso tende ad una inammissibile rivisitazione di un accertamento in fatto operato dal giudice di merito;
– in conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato;
– le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore prò tempore, delle spese del giudizio di legittimità che si Iiquidano in euro 5.600,00 per compensi oltre spese prenotate a debite;
Dà inoltre atto, ai sensi dell’art.13 comma 1 quater D.P.R. n. 115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti de l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13;
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