CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 luglio 2018, n. 17637
Tributi – Accertamento – Riscossione – Cartella di pagamento – Procedimento – Contenzioso tributario
Ritenuto che
La società F.-Forniture elettriche Massarella di P. e C. S.a.S. impugnava, innanzi alla CTP di Latina, una cartella esattoriale n. 05720070045729770, per IVA ed IRAP, anno di imposta 2003, che accoglieva la domanda della contribuente ritenendo fondata l’eccezione di omessa sottoscrizione ed omessa motivazione dell’atto impositivo.
Equitalia Gerit S.p.A. spiegava appello innanzi alla CTR del Lazio che, con la sentenza in epigrafe indicata, rigettava il gravame, sulla base del rilievo che la mancata sottoscrizione della cartella da parte del responsabile del procedimento, pur non potendo determinare la nullità dell’atto, in quanto formato prima del primo giugno 2008, poteva causarne l’annullabilità per violazione dell’art. 7 della legge n. 31 del 2008. L’Agente della riscossione propone ricorso per la cassazione della sentenza, svolgendo quattro motivi. La parte intimata non ha svolto difese.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata, denunciando violazione e falsa applicazione della legge n. 31 del 2008, dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000, dell’art. 8 della legge n. 241 del 1990, dell’art. 5, comma 1, della legge n. 241 del 1990, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., atteso che erroneamente la CTR avrebbe ritenuto che le cartelle, anteriori al giugno 2008, fossero annullabili per violazione dell’art. 7 della I. n. 212 del 2000 per mancata indicazione del responsabile del procedimento, senza che nessuna delle parti sollevasse tale eccezione.
2. Con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata, denunciando violazione dell’art. 156 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 4, c.p.c., atteso che se la cartella era affetta da vizi comportanti non la nullità assoluta o l’inesistenza, ma una semplice annullabilità, come indicato nella sentenza impugnata, sicché tali vizi potevano ritenersi sanati con la proposizione del ricorso di primo grado.
3. Con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per omessa motivazione e nullità della sentenza, in relazione all’art. 350, comma 1, n. 4 e n. 5, c.p.c., atteso che la CTR avrebbe respinto l’appello dell’Agente della riscossione senza alcuna motivazione inerente ai motivi di impugnazione sollevati.
4. Con il quarto motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata denunciando violazione dell’art. 18 e dell’art. 24, comma 2, e comma 3 del d.lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 345 c.p.c. e art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1, n. 3, 4, c.p.c. atteso che la CTR avrebbe statuito su questioni non fatte valere dalle parti e non rilevabili d’ufficio, con la conseguente nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra richiesto e pronunciato.
5. Il primo motivo è fondato per le considerazioni che seguono.
5.1. Nelle nullità del diritto tributario, di qualsiasi natura esse siano, compresa quella, ad esempio, concernente gli elementi essenziali dell’atto impositivo, opera il principio generale della “cristallizzazione” (c.d. consolidamento) della pretesa del titolare del potere impositivo: in sostanza, anche l’atto astrattamente nullo se non oggetto di specifica censura ed impugnativa giurisdizionale da parte del contribuente, si evolve e si trasforma in un atto sano e, conseguentemente, creatore di effetti giuridici. Le forme di invalidità dell’atto tributario, ove anche dal legislatore indicate sotto il nomen di nullità, si riferiscono ad annullabilità, ciò in quanto l’atto normativamente nullo produce effetti nel mondo giuridico fiscale come se fosse valido, tanto che costituisce titolo per la riscossione ed è suscettibile di divenire definitivo, rendendo irrilevanti gli eventuali vizi, se l’interessato non ricorre al giudice tributario.
5.2. In materia tributaria, alla sanzione di nullità non si applica il regime di diritto amministrativo di cui agli artt. 21 septies della I. n. 241 del 1990 e 31, comma 4, del d.lgs. n. 104 del 2010, che risulta incompatibile con le specificità degli atti tributari relativamente ai quali il legislatore, nella sua discrezionalità, ha configurato una categoria unitaria di invalidità – annullabilità, sicché il contribuente ha l’onere della tempestiva impugnazione nel termine decadenziale di cui all’art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992, onde evitare il definitivo consolidarsi della pretesa tributaria, senza che alcun vizio possa, poi, essere invocato nel giudizio avverso l’atto consequenziale, o, emergendo dagli atti processuali possa essere rilevato d’ufficio dal giudice.
5.3. Ciò premesso, con specifico riferimento alla questione che qui rileva, questa Corte ha affermato che: “L’indicazione del responsabile del procedimento negli atti dell’Amministrazione finanziaria non è richiesta, dall’art. 7 della I. 212 del 2000, a pena di nullità, in quanto tale sanzione è stata introdotta per le cartelle di pagamento dall’art. 36, comma 4 – ter, del d.l. n. 248 del 2007, conv. con modif., dalla legge n. 31 del 2008, applicabile soltanto alle cartelle riferite ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1 giugno 2008” (Cass. n. 11856 del 2017).
Tale obbligo ha lo scopo di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa, la piena informazione del cittadino (anche ai fini di eventuali azioni nei confronti del responsabile) e la garanzia del diritto di difesa. L’ordinamento tuttavia non tutela l’interessa all’astratta regolarità del procedimento amministrativo, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dalla parte in dipendenza del vizio denunciato, purché la parte medesima deduca e dimostri il documento subito, pregiudizio che, nel caso in esame, non risulta neanche dedotto dalla società. Invero, va rilevato che l’art. 36, comma 4 ter, del d.l. 248 del 2007, nel disporre che: “la cartella di pagamento di cui all’articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni, contiene, altresì, a pena di nullità, l’indicazione del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo e di quello di emissione e di notificazione della stessa cartella”, prevede, altresì, che: “le disposizioni di cui al periodo precedente si applicano ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1 giugno 2008; la mancata indicazione dei responsabili dei procedimenti nelle cartelle di pagamento relative a ruoli consegnati prima di tale data non è causa di nullità di esse”. E la Corte costituzionale, nel ritenere non fondata la questione di costituzionalità di tale norma, con sentenza n. 28 del 2009, n. 58, ha escluso “che, anteriormente alla emanazione della disposizione impugnata, alla mancata indicazione del responsabile del procedimento conseguisse la nullità della cartella di pagamento”, volendo intendere qualsiasi forma di invalidità della stessa.
6. La CTR non ha fatto buon governo dei principi espressi, atteso che, pur avendo escluso l’applicabilità nella specie della nullità dell’atto impositivo, ha ritenuto la cartella annullabile, così operando una non prevista dissociazione delle categorie di invalidità dell’atto tributario. Invero, a tale riguardo, questa Corte ha precisato che: “La cartella esattoriale che ometta di indicare il responsabile del procedimento, se riferita a ruoli consegnati agli agenti della riscossione in data anteriore al primo giugno 2008, pur essendo in violazione dell’art. 7, comma 2, lett.a) della legge 27 luglio 2002, n. 212, non è affetta né da nullità, atteso che l’art. 36, comma 4 -ter, del d.l. 31 dicembre 2007, n. 248, convertito dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, ha previsto tale sanzione solo in relazione alle cartelle riferite ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1 giugno 2008, né da annullabilità, perché, essendo la disposizione di cui all’art. 7 della legge n. 212 del 2000 priva di sanzione, e non incidendo direttamente la violazione in questione sui diritti costituzionali del destinatario, trova applicazione l’art. 21 octies della legge 7 agosto 1990, n. 241, il quale, allo scopo di sanare con efficacia retroattiva tutti gli eventuali vizi procedimentali non influenti sul diritto difesa, prevede la non annullabilità del provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o V sulla forma degli atti, qualora, per la natura vincolata del provvedimento, come nel caso di cartella esattoriale, il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato” (Cass. n. 4516 del 2012; Cass. n. 332 del 2016).
7. All’accoglimento del primo motivo di ricorso consegue l’assorbimento dei restanti, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito, va rigettato il ricorso introduttivo proposto dalla società contribuente. Le spese di giudizio dei gradi di merito vanno interamente compensate tra le parti, in ragione del recente consolidarsi della giurisprudenza di legittimità sulle questioni trattate rispetto all’epoca dell’introduzione della lite, mentre la parte soccombente va condannata al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla società contribuente. Le spese di lite dei gradi di merito vanno interamente compensate tra le parti, mentre la parte soccombente è tenuta al rimborso delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi euro 4000,00 per compensi, oltre spese forfetarie ed accessori di legge.
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