CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 luglio 2019, n. 18150
Tributi – Obblighi di sostiuto d’imposta – Indennità di esproprio di un terreno in esecuzione di sentenza – Applicazione ritenuta d’acconto – Data del pagamento – Rilevanza – Omissione – Sanzioni
Fatti di causa
1. La Commissione tributaria regionale per la Sicilia in Palermo, sezione staccata di Catania, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto il ricorso proposto dalla Provincia Regionale di Catania avverso l’avviso di accertamento n. RJ807A101886/2006 relativo ad omessa ritenuta erariale, quale sostituto d’imposta, sull’indennità di esproprio corrisposta nel 1999 ai proprietari di un terreno espropriato, avvenuta in esecuzione di una sentenza della Corte di appello di Catania.
2. Ha rilevato il giudice di appello: a) che il momento determinante ai fini della scelta della disciplina normativa applicabile alla ritenuta di acconto su indennità di esproprio non è quello del trasferimento del bene, bensì quello del pagamento dell’indennità; b) nella specie l’indennità era stata corrisposta il 27 luglio 1999, sicché, alla luce dell’art. 11, comma 5, della legge n. 313 del 1991 (ndr, art. 11, comma 5 della legge 313 del 1991), la provincia di Catania aveva l’obbligo di effettuare la trattenuta della ritenuta di acconto e, in esito all’omissione, era tenuta a corrisponderla all’Erario quale sostituto d’imposta; c) la vocazione urbanistica del bene espropriato era irrilevante, dovendosi avere riguardo alla sola destinazione dell’ablazione alla realizzazione di un’opera pubblica.
3. Per la cassazione della citata sentenza la Provincia Regionale di Catania ricorre con tre motivi, resistiti dall’Agenzia delle Entrate con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Il ricorso lamenta:
a. Primo motivo: «Falsa ed errata applicazione della disciplina di cui all’art. 11, comma 5 della L. 413/1991» deducendo l’erroneità della sentenza per aver escluso che la vocazione urbanistica del terreno escludesse nella specie l’assoggettamento a ritenuta di acconto; inoltre la CTR non avrebbe sufficientemente motivato il proprio convincimento e non avrebbe rilevato la carenza di legittimazione passiva della ricorrente, avendo pagato in esecuzione di una condanna giudiziale che non prevedeva anche la condanna a pagare la ritenuta di acconto, da considerarsi dunque a carico degli espropriati.
b. Secondo motivo: «Falsa ed errata applicazione della disciplina di cui all’art. 3 della legge 7/8/1990, n. 241, norma recepita dall’art. 7 della legge 27.7.2000 n. 212» deducendo l’erroneità della sentenza per aver omesso di rilevare l’illegittimità della cartella di pagamento, atteso il contenuto indeterminato e palesemente incongruente della stessa, oltre che perché priva di motivazione.
c. Terzo motivo: «Omessa motivazione della sentenza (art. 360 n. 5 c.p.c.)» deducendo che la sentenza “non risulta assolutamente motivata, non fornendo alcuna certezza sulla base di quali elementi venga accolta l’appello e rigettato l’originario ricorso”.
2. L’Agenzia delle Entrate eccepisce l’inammissibilità del ricorso avversario, di cui chiede comunque il rigetto.
3. Il ricorso va respinto in quanto inammissibile.
4. Il primo motivo di ricorso assume che la vocazione urbanistica (zona F del Piano regolatore locale) del terreno escluda la necessità di operare la ritenuta di acconto sull’importo versato dalla ricorrente al precedente proprietario.
Sennonché la ratio decidendi della sentenza impugnata si fonda su diverso presupposto: ovvero che il pagamento sia avvenuto in forza della sentenza resa dalla Corte di appello di Catania n. 29 del 1999 e che ai fini della applicazione della ritenuta di acconto, è irrilevante la previsione urbanistica assegnata al bene oggetto di transazione, ma deve aversi riguardo all’effettiva destinazione dell’area espropriata alla realizzazione di un’opera pubblica. A fronte di siffatta motivazione il motivo in esame pretende di dimostrare l’inapplicabilità della legge n. 413 del 1991 asserendo che l’occupazione del terreno sarebbe divenuta irreversibile in data 23 maggio 1984, come si ricaverebbe dalla sentenza della Corte di appello. Sennonché la censura, in violazione dei criteri indicati dagli artt. 366, primo comma n. 6 e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. non trascrive il contenuto della citata sentenza, né la allega agli atti del proprio fascicolo in questa fase. Ne discende che quanto argomentato nel motivo in esame, tanto con riferimento alla contestazione della corretta applicazione della normativa citata, quanto in relazione al preteso difetto di legittimazione passiva (anch’esso asseritamente affermato nella sentenza della Corte di appello) non possono trovare alcun concreto riscontro e determinano l’inammissibilità della censura.
5. Il secondo motivo è inammissibile, poiché ancora una volta in violazione dei criteri indicati dagli artt. 366, primo comma n. 6 e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., non indica dove e quando la questione della correttezza formale dell’atto impositivo sia stata introdotta prima di ora nel processo, atteso che la sentenza impugnata ad essa non fa cenno alcuno.
6. Il terzo motivo è inammissibile, perché privo di qualsiasi argomentazione idonea a supportarne il fondamento.
7. Le spese di lite seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la Provincia Regionale di Catania al pagamento, in favore della Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 5.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma stesso articolo 13.
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