CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 luglio 2019, n. 18188
Lavoro subordinato – Giudizio di condanna al pagamento di differenze retributive – Impugnazione – Intervenuta dichiarazione di fallimento – Interruzione del giudizio ed estinzione – Difetto di legittimazione della società fallita alla riassunzione del giudizio – Inerzia del curatore – lnserimento del credito del lavoratore allo stato passivo del fallimento
Rilevato
che la Corte di appello di Catanzaro con la sentenza n. 1142/2014, ha dichiarato estinto il giudizio con il quale la società E. aveva impugnato la sentenza n. 729 del Tribunale di Cosenza che aveva pronunciato la condanna al pagamento, in favore M.R., di € 16.960,02 per differenze retributive in rapporto lavoro subordinato da 10.1.03 a 8.11.04;
l’estinzione era dichiarata sul rilievo che, all’udienza del 20.09.2012, la causa veniva interrotta per l’intervenuta dichiarazione di fallimento della società e che non veniva riassunta dal curatore del fallimento, ma dalla medesima società fallita;
che a fondamento del decisum, la Corte territoriale ha richiamato i principi di diritto sviluppati dalla corte di legittimità ed ha ritenuto che le deroghe alla perdita della legittimazione processuale del fallito ex art. 43 l. fall. formulate per il caso che l’inerzia del curatore dipenda da assoluto disinteresse, non trovano applicazione ove tale inerzia sia il risultato di una valutazione giuridica; ha tuttavia osservato la corte come nel caso di specie, emergesse documentalmente l’espressa intenzione del curatore di non riassumere il giudizio, con l’inserimento del credito del lavoratore allo stato passivo del fallimento, previa autorizzazione del giudice delegato;
che avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione la E. s.r.l. affidato a due motivi;
che R.M. E il curatore sono rimasti intimati
che il P.G. non ha formulato richieste scritte
che non sono state depositate memorie illustrative..
Considerato
che, con il ricorso per cassazione, in sintesi, si censura:
– con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione art. 43 I. fall., per erronea esclusione della legittimazione alla riassunzione del giudizio dalla società fallita, in presenza di un’inerzia del curatore denunciante un disinteresse (sulla base di una stringata comunicazione al difensore della stessa di non avere “la curatela … inteso riassumere il procedimento” e dovendosi intendere come atto dovuto l’ammissione allo stato passivo di un credito fondato su sentenza di 1° grado provvisoriamente esecutiva) non conseguente ad alcuna valutazione di convenienza;
– con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione art. 112 c.p.c., in cui sarebbe incorso il giudice nel procedere al rilievo officioso del difetto di legittimazione della società fallita alla riassunzione del giudizio;
che il primo motivo è infondato; ed infatti la dichiarazione di fallimento, pur non sottraendo al fallito la titolarità dei rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, comporta ex art. 43 I. fall., la perdita della sua capacità di stare in giudizio nelle relative controversie, spettando la legittimazione processuale esclusivamente al curatore, salvo che questi rimanga inerte, sicchè il fallito conserva in via eccezionale la legittimazione ad agire per la tutela dei suoi diritti patrimoniali, sempre che l’inerzia del curatore sia stata determinata da un totale disinteresse degli organi fallimentari e non sia invece conseguente ad una negativa valutazione di questi ultimi circa la convenienza della controversia (Cass. s.u. 24.12.09, n. 27346, Cass. 25.10.13, n. 24159; Cass. 6.7.16, n. 13814; Cass. 2.2.18, n. 2626)
– che deve essere – tuttavia- esclusa, nel caso di specie, la sussistenza di un mero disinteresse del curatore, avendone la Corte territoriale accertato (al 10 cpv di p. 4 della sentenza) una esplicita valutazione di non convenienza, documentata anche attraverso l’ammissione allo stato passivo del fallimento di un credito fondato su sentenza di 1 grado provvisoriamente esecutiva, che, lungi dal costituire atto dovuto, ben può esserne escluso con l’impugnazione proposta o proseguita dal curatore ex art. 95. co. 2 n. 3 l. fall. (Cass. 19.2.15, n. 3338, con interpretazione estensibile anche alla sentenza di rigetto della domanda del creditore) che anche il secondo, motivo, con cui il ricorrente si duole del rilievo officioso del difetto di legittimazione della società fallita alla riassunzione del giudizio, è infondato; questa corte, infatti, ha in più occasioni affermato la rilevabilità d’ufficio dal giudice della sussistenza, in capo alle parti, del potere di promuovere il giudizio o di resistervi, ossia della legitimatio ad causam attiva e passiva (Cass. 14.2.12, n. 2091; Cass. 10.12.14, n. 26029; cfr. anche Cass. s.u. 16.2.16, n. 2951; Cass. 15.5.18, n. 11744, che affermano il potere del giudice di rilevare d’ufficio la carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso, se risultante dagli atti di causa).
che alla stregua di quanto esposto il ricorso deve, pertanto, essere rigettato senza alcuna pronuncia in ordine alle spese tenuto conto la parte vittoriosa non ha svolto difese.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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