CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 luglio 2021, n. 18947
Omesso pagamento per contributi IVS – Verbale ispettivo – Configurabilità di lavoro subordinato – Accertamento
Ritenuto che
Con sentenza del 11.5.15, la Corte d’Appello di Milano ha confermato la sentenza del tribunale di Varese del 2012, che aveva respinto l’opposizione della società in epigrafe a cartella avente ad oggetto il pagamento di euro 21.143 per contributi IVS per il lavoratore M.V. per il periodo da gennaio 2003 a luglio 2005, oltre somme aggiuntive.
In particolare, pur ravvisando decadenza dall’iscrizione a ruolo ex articolo 25 d.lgs. 46/99 e ritenendo tuttavia che la stessa non facesse venir meno il credito portato dal titolo non avendo natura sostanziale, valutati il verbale ispettivo del lavoro e la dichiarazione resa dai lavoratore agli ispettori nonché i testi escussi, la Corte territoriale ha accertato un lavoro continuativo del lavoratore M. per 4 ore giornaliere, con conseguente configurabilità di lavoro subordinato e applicazione delle sanzioni ex articolo 116 co. 8 lett. B I. 388/2000.
Avverso tale sentenza ricorre la società per otto motivi; con atto notificato il 5 dicembre 2007 la ricorrente si è costituita con nuovo difensore dopo il decesso del procuratore costituito; ha quindi depositato memoria. L’INPS ha depositato delega in calce al ricorso; Equitalia è rimasta intimata.
Considerato che
Con il primo motivo si deduce – ex art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. – violazione dell’articolo 112 c.p.c. in relazione all’articolo 346 c.p.c. e 25 d.lgs. 46/99 nonché vizio di ultra petizione; si assume che, mentre la sentenza di primo grado aveva respinto l’eccezione di decadenza e non aveva esaminato lo riconvenzionale proposta dall’INPS per il pagamento, la corte d’appello ha ritenuto per converso la decadenza invocata dall’appellante ed accolto la domanda riconvenzionale dell’INPS, sebbene non fosse stato fatto appello incidentale né domanda in via subordinata.
Il motivo è infondato.
Infatti, non vi è l’onere della parte vittoriosa in primo grado di riproporre domande assorbite formulando appello incidentale, essendo sufficiente che non vi sia rinuncia implicita alle stesse. In tema, basti richiamare la sentenza Cass. Sez. U, Sentenza n. 13195 del 25/05/2018 (Rv. 648680 – 01), secondo la quale la parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, non ha l’onere di proporre appello incidentale per richiamare in discussione le proprie domande o eccezioni non accolte nella pronuncia, da intendersi come quelle che risultino superate o non esaminate perché assorbite; in tal caso la parte è soltanto tenuta a riproporle espressamente nel giudizio di appello o nel giudizio di cassazione in modo tale da manifestare la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinunzia derivante da un comportamento omissivo.
Nella specie, come si desume dalla stessa sentenza impugnata, l’INPS ha resistito in appello “chiedendo il rigetto dell’appello e ribadendo quanto già evidenziato in primo grado ovvero … che la decadenza non determina il venir meno del credito portato dal ruolo”: in tal modo, nessuna implicita rinuncia è configurabile alla domanda già spiegata in primo grado, da ritenersi anzi richiamata in virtù della su riportata deduzione.
Con il secondo motivo si deduce -ex art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.- violazione dell’articolo 24 e 25 d.lgs. 46/99 per avere la sentenza impugnata trascurato che la decadenza ha conseguenze sostanziali, precludendo l’azione ordinaria per il recupero dei contributi, e per non aver considerato i vizi della cartella.
Il motivo è infondato. Numerosi precedenti di questa Corte (v., fra le tante, Cass. n. 1558/20, Cass. n. 5963 del 2018, Cass. nn. 19708 e 15211 del 2017), in ordine alla natura ed alla funzione della decadenza prevista dall’art. 25 d.lgs. n. 46 del 1999, all’interno del complessivo sistema di riscossione dei crediti contributivi previdenziali, con orientamento consolidato hanno affermato che la richiamata disposizione prevede una decadenza processuale e non sostanziale, che l’iscrizione a ruolo è solo uno dei meccanismi che la legge accorda agli enti previdenziali e assistenziali per il recupero dei crediti contributivi, ferma restando la possibilità che agiscano nelle forme ordinarie e, coerentemente, che un eventuale vizio formale della cartella o il mancato rispetto del termine di decadenza previsto ai fini dell’iscrizione a ruolo comporta soltanto l’impossibilità, per l’istituto, di avvalersi del titolo esecutivo, ma non lo fa decadere dal diritto di chiedere l’accertamento, in sede giudiziaria, dell’esistenza e dell’ammontare del proprio credito.
Depongono nel senso dei richiamati principi: il tenore testuale della norma, che parla di decadenza dall’iscrizione a ruolo del credito e non di decadenza dal diritto di credito o dalla possibilità di azionarlo nelle forme ordinarie; l’impossibilità di estendere, in via analogica, una decadenza dal piano processuale anche a quello sostanziale (posto che per principio generale le norme in tema di decadenza sono di stretta interpretazione); la non conformità all’art. 24 Cost. di un’opzione interpretativa che negasse all’istituto la possibilità di agire in giudizio nelle forme ordinarie; la ratio dell’introduzione del meccanismo di riscossione coattiva dei crediti previdenziali a mezzo iscrizione a ruolo, intesa a fornire all’ente un più agile strumento di realizzazione dei crediti (v. Corte cost. ord., n. 111 del 2007), non già a renderne più difficoltosa l’esazione imponendo brevi termini di decadenza; il rilievo che la scissione fra titolarità del credito previdenziale e titolarità della relativa azione esecutiva (quest’ultima in capo all’agente della riscossione) mal si concilierebbe con un’ipotesi di decadenza sostanziale (v., fra le altre, Cass. nn.22663, e 32885 del 2018; Cass. n. 29294 del 2019).
La natura meramente processuale del potere di iscrizione a ruolo e l’inesistenza di effetti estintivi dell’obbligo contributivo determinati dal verificarsi della decadenza in oggetto è stata, dunque, correttamente ritenuta dalla Corte territoriale non preclusiva dell’accertamento della sussistenza o meno dell’obbligazione azionata.
Anche la deduzione della parte relativa alla mancata considerazione dei vizi della carta da parte della corte territoriale è infondata, atteso che gli eventuali vizi formali della cartella esattoriale opposta comportano soltanto l’impossibilità, per l’Istituto, di avvalersi del titolo esecutivo, ma non lo fanno decadere dal diritto di chiedere l’accertamento, in sede giudiziaria, dell’esistenza e dell’ammontare del proprio credito.
Con il terzo motivo si deduce -ex art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.- violazione dell’articolo 2702 c.c. e -ex art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c.- vizio di motivazione della sentenza impugnata, in relazione alle dichiarazioni del lavoratore in questione rese a mezzo lettera del legale ed in sede testimoniale.
Con il quarto motivo si deduce -ex art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.- violazione dell’art. 2702 c.c. e -ex art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c.- vizio di motivazione della sentenza impugnata, in relazione alle dichiarazioni del teste P.
Con il quinto motivo si deduce numero -ex art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c.- omesso esame di parte delle dichiarazioni dei testi F. e C.
I motivi (dal terzo al quinto) possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione: essi sono infondati. E’ infatti consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che spetta, in via esclusiva, al giudice di merito, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, sicché non è sindacabile per vizio di motivazione la sentenza di merito che abbia adeguatamente e logicamente valorizzato le circostanze ritenute decisive e gli elementi necessari per chiarire e sorreggere la “ratio decidendi”.
E’ consolidata l’affermazione secondo la quale (per tutte, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16056 del 02/08/2016, Rv. 641328 – 01) l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata. Nella specie, la corte territoriale ha valutato complessivamente le prove raccolte e con motivazione logica e compelía è pervenuta alla ricostruzione fattuale di rapporto lavorativo del M.
Con il sesto motivo si deduce -ex art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.- violazione degli articoli 2094 e 2222 c.c., in relazione all’art. 2697 c.c., per avere trascurato che le parti avevano voluto un rapporto autonomo ed occasionale, come emergeva peraltro dal contratto sottoscritto e dal modello 770 con le ritenute operate dal datore.
Anche tale motivo è infondato: da un lato, l’accertamento del giudice di merito sulle circostanze che possono conferire valore probatorio ad un determinato documento disponibile nel processo costituisce apprezzamento di fatto che, se congruamente motivato, e insindacabile in sede di legittimità. Dall’altro lato, è costante in giurisprudenza l’affermazione secondo la quale, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, è censurabile in sede di legittimità soltanto la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto, come tale incensurabile in detta sede, se sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici, la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice del merito ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale (tra le tante, Sez. L, Sentenza n. 23455 del 05/11/2009, Rv. 610907 – 01; Sez. 6 – L, Ordinanza n. 9808 del 04/05/2011, Rv. 617071 – 01).
Nella specie, la corte territoriale ha qualificato il rapporto di lavoro del M. in modo coerente e rispettoso degli indici di subordinazione affermati dalla giurisprudenza, facendo riferimento all’inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale, nell’assenza di rischio da parte dello stesso, all’utilizzo di strumenti di lavoro del datore.
Con il settimo motivo si deduce -ex art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c.- vizio di motivazione della sentenza impugnata, per avere trascurato l’esorbitanza della pretesa creditoria in relazione all’entità del lavoro prestato.
Il motivo è infondato, atteso che il credito contributivo è stato dalla corte territoriale correlato all’entità del lavoro prestato dal lavoratore, per come emerso dalle prove raccolte e correttamente valutate.
Con l’ottavo motivo si deduce -ex art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.- violazione dell’articolo 3 co. 9 legge 335/95 per avere trascurato la prescrizione del credito contributivo, sebbene essa fosse rilevabile d’ufficio.
Il motivo è fondato, atteso che nella materia previdenziale, a differenza che in quella civile, il regime della prescrizione già maturata è sottratto, ai sensi dell’art. 3, comma 9, della legge 8 agosto 1995, n. 335, alla disponibilità delle parti e, una volta esaurito il termine, la prescrizione ha efficacia estintiva, opera di diritto ed è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo (Cass. Sez. L – , Sentenza n. 9865 del 09/04/2019, Rv. 653199 – 01; Sez. L, Sentenza n. 21830 del 15/10/2014, Rv. 632887 – 01); Sez. L, Sentenza n. 23164 del 07/11/2007, Rv. 599543 – 01; Sez. L, Sentenza n. 6340 del 24/03/2005, Rv. 580325 – 01).
La sentenza impugnata, che non si è attenuta al richiamato principio, deve essere cassata in relazione al motivo accolto. La causa va rinviata alla stessa corte d’appello in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta i motivi dal primo al settimo; accoglie l’ottavo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla corte d’appello di Milano in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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