CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 luglio 2021, n. 18974

Tributi – Contenzioso tributario – Atti impugnabili – Comunicazione di irregolarità ex art. 36 -bis, co. , del DPR n. 600 del 1973, cd. “avviso bonario”

Rilevato

1. La contribuente presentava la dichiarazione Mod. unico 2013 per l’anno d’imposta 2012. Esercitata l’attività di controllo formale, l’Ufficio rinveniva degli errori di calcolo per aver detratto dal reddito le perdite nella misura piena, pari ad euro 5.973.167,00, anziché nella misura dell’80% per euro 4.943.358,00 come previsto dall’art. 84, comma 1, del T.U.I.R.

2. L’ufficio segnalava pertanto le anzidette irregolarità alla contribuente con una comunicazione di irregolarità ex art. 36 -bis, comma 3, del d.p.r. n. 600 del 1973 del 30 settembre 2015. Ivi evidenziava altresì che il parziale indebito computo delle perdite aveva inciso anche sulla determinazione del reddito imponibile da euro 206.031,00 ad euro 1.235.840, con conseguente recupero a tassazione sulla differenza di Ires non versata, pari a euro 339.856,00.

3. La contribuente impugnava la comunicazione di irregolarità avanti la Commissione tributaria provinciale. Si costituiva l’Ufficio eccependo in via preliminare l’inammissibilità del ricorso, non potendo la comunicazione essere annoverata tra gli atti impugnabili.

La CTP, previo rigetto dell’eccezione, accoglieva il ricorso.

4. Promuoveva appello l’Amministrazione finanziaria, cui resisteva la contribuente. La Commissione tributaria regionale riteneva infondato il motivo di impugnazione svolto dall’Ufficio nella parte in cui affermava che, ricevuta la comunicazione di irregolarità, la contribuente poteva ancora correggere la propria dichiarazione.

Sul punto evidenziava anche la presentazione di una tempestiva istanza di autotutela da parte del contribuente, rimasta però inascoltata dall’Ufficio. Richiamava poi la giurisprudenza di questa Corte secondo cui la comunicazione di irregolarità ex art. 36-bis, comma 3, del d.p.r. n. 600 del 1973, rectius il cosiddetto “avviso bonario”, doveva ritenersi un atto autonomamente e immediatamente impugnabile.

5. Insorge con ricorso l’Avvocatura dello Stato affidandosi ad un unico motivo, cui resiste la contribuente, quivi rappresentata dal Fallimento, con tempestivo controricorso, depositato altresì memoria in prossimità dell’udienza.

Considerato

1. Con il primo e unico motivo di ricorso la difesa erariale censura la sentenza impugnata sotto il profilo della violazione e falsa applicazione dell’art. 19, comma 3, del. D.Igs. 546/1992 nonché dell’art. 6, comma 5, L. n. 212/2000 in parametro all’art. 360, comma primo, n. 3) c.p.c.

In particolare denunzia la natura non impugnabile dell’avviso bonario sia perché escluso dal novero tassativo degli atti impugnabili elencati nell’art. 19, comma, del d.lgs. 546/1992 sia perché trattasi, in ultima analisi, di un atto avente mera funzione deflattiva del processo di accertamento/riscossione delle imposte. La comunicazione di irregolarità, invero, non conterrebbe una pretesa tributaria definitiva limitandosi a rettificare la quantificazione dell’imposta già dichiarata, precedendo gli atti impositivi di cui allo stesso art. 19. In buona sostanza, l’Ufficio qualifica l’avviso bonario come un invito al pagamento rivolto al debitore, avente carattere istruttorio e destinato ad inserirsi nel contraddittorio tra le parti: non  avendo forma autoritativa, esso sarebbe incapace di consolidare ex sé la pretesa del fisco, conseguente alla sola inerzia del debitore.

Difetterebbe dunque un interesse immediato alla sua impugnazione, non essendo ravvisabile una lesione della sfera giuridica del contribuente, rinvenibile nel solo atto di riscossione. La difesa erariale si prodiga anche nel richiamo ai precedenti di questa Corte, in primis alle pronunce rese a Sezioni Unite n. 16293 e 16428 del 2007 contrarie all’impugnabilità, affermando che detto orientamento non potrebbe dirsi scalfito dalle pronunce più recenti, favorevoli, avendo gli avvisi bonari la mera funzione di evitare il reiterarsi di errori nelle dichiarazioni fiscali.

2. Il motivo è inammissibile.

La controversia in esame riguarda la natura delle comunicazioni di irregolarità ex art. 36- bis, comma 3, del d.p.r. n. 600 del 1973, comunemente definite “avviso bonario” e, in particolare, attiene alla possibilità di considerarle atti suscettibili di immediata ed autonoma impugnazione.

In materia questa Corte è giunta ad arresti giurisprudenziali, anche recenti, con cui ha ritenuto di rimeditare il contrario e precedente orientamento recepito nelle pronunce del 2007. Invero, pur riconoscendo la natura tassativa dell’elencazione degli atti impugnabili di cui all’art. 19, comma 3, del d.lgs. 546/92, e richiamando i superiori principi di rango costituzionale quale la tutela del contribuente e il buon andamento della P.A., questa Corte ha stabilito che “ogni atto adottato dall’ente impositore che porti, comunque, a conoscenza del contribuente una specifica pretesa tributaria, con esplicitazione delle concrete ragioni fattuali e giuridiche, è impugnabile davanti al giudice tributario, senza necessità che si manifesti in forma autoritativa, con la conseguenza che è immediatamente impugnabile dal contribuente anche la comunicazione d’irregolarità, del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 – bis, comma 3, (cd. avviso bonario) (Cfr. Cass., V, sent. n. 12133/2019, in senso conforme Cass. 19/02/2016, n. 3315; Cass. 11/05/2012, n. 7344). In altri termini, ogni atto con cui l’Ufficio dia notizia al contribuente di una specifica pretesa tributaria, con allegazione delle ragioni di fatto e di diritto ad essa sottese, è suscettibile di immediata impugnazione.

3. Nella fattispecie è pacifico che l’atto impugnato presenti tutti i requisiti così delineati da questa Corte, dando atto dei presupposti di fatto e delle ragioni di diritto nonché della quantificazione della pretesa tributaria, sicché esso era certamente impugnabile. Né le argomentazioni svolte dalla difesa erariale, inerenti la funzione di  evitare errori nella predisposizione delle dichiarazioni ai fini fiscali, appaiono idonee a scalfire i principi di rango costituzionale su cui questa Corte ha rimeditato il suo convincimento. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ex art. 360 bis c.p.c., anche alla luce dei principi sanciti dalla pronuncia delle S.U. n. 7155/2017.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Compensa fra le parti le spese del doppio grado di merito, condanna l’Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese di lite a favore del Fallimento controricorrente che liquida in €.ottomila/00, oltre ad €.200,00 per esborsi, rimborso nella misura forfettaria del 15% oltre ad Iva e C.p.a. come per legge.