CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 marzo 2020, n. 6295
Inpdap – Dipendente dell’Istituto – Esercizio della professione forense nell’interesse esclusivo del datore di lavoro Contributi versati per l’iscrizione annuale all’albo degli avvocati – Rimborso
Rilevato che
1. la Corte d’Appello di Roma ha respinto l’appello proposto dall’Inpdap avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che, in parziale accoglimento della domanda di A.B., aveva condannato l’ente a rimborsare a quest’ultimo, dipendente dell’Istituto sino al 7 luglio 2008 ed iscritto all’elenco speciale istituito ex art. 3 R.D.L. n. 1578/1933, i contributi versati per l’iscrizione annuale all’albo degli avvocati;
2. il giudice di merito ha richiamato giurisprudenza di questa Corte per evidenziare che sono a carico del datore di lavoro le spese che servono a realizzare le condizioni specifiche necessarie per l’espletamento dell’attività lavorativa, fra le quali rientrano anche quelle che consentono l’esercizio della professione, se svolto nell’interesse esclusivo del datore;
3. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’Inps, successore ex lege dell’Inpdap, sulla base di due motivi, ai quali A.B. ha opposto difese con tempestivo controricorso.
Considerato che
1. con il primo motivo l’Istituto ricorrente denuncia «violazione e falsa applicazione dell’art. 14, comma 17, del d.P.R. n. 43 del 13 gennaio 1990 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. nonché manifesta contraddittorietà ed insufficienza della motivazione circa più punti decisivi della controversia in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.» e sostiene, in sintesi, che in assenza di una disposizione di legge o contrattuale che preveda il rimborso ai dipendenti pubblici della quota annuale di iscrizione all’albo degli avvocati, opera il principio generale, previsto dall’art. 2 del d.lgs. n. 165/2001, in forza del quale l’attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi e pertanto nella fattispecie nulla poteva pretendere l’originario ricorrente in aggiunta all’indennità di toga;
1.1. precisa al riguardo che solo con il contratto collettivo nazionale integrativo del 2012 per il personale dell’area dei professionisti è stata prevista la rimborsabilità della quota annuale di iscrizione, che quindi precedentemente gravava sull’avvocato;
2. la seconda censura, formulata sempre ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., addebita alla sentenza impugnata la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 cod. civ., perché il giudice d’appello non ha considerato che l’abilitazione e l’iscrizione all’albo sono condizioni necessarie per la partecipazione alle procedure concorsuali, all’esito delle quali avviene la sottoscrizione del contratto che implica accettazione del trattamento retributivo offerto dal datore di lavoro;
3. i motivi, da trattare unitariamente in ragione della loro connessione logico-giuridica, sono infondati in quanto la Corte territoriale si è attenuta al principio, affermato da Cass. n. 3928/2007, e ribadito da numerose pronunce successive (Cass. 6877, 6878, 7775 del 2015; Cass. n. 2507/2017; Cass. nn. 2285, 27239, 27959 e 28242 del 2018; Cass. n.13012/2019), secondo cui «il pagamento della quota annuale di iscrizione all’elenco speciale annesso all’albo degli avvocati per l’esercizio della professione forense nell’interesse esclusivo del datore di lavoro è rimborsabile dal datore di lavoro, non rientrando né nella disciplina positiva dell’indennità di toga (art. 14, comma 17, d.P.R. n. 43 del 1990) a carattere retributivo, con funzione non restitutoria e un regime tributario incompatibile con il rimborso spese, né attenendo a spese nell’interesse della persona, quali quelle sostenute per gli studi universitari e per l’acquisizione dell’abilitazione alla professione forense»;
4. è stato anche precisato da Cass. n. 27959 del 2018 che la disciplina dettata dall’art. 13 del CCNL 21.7.2010 per la dirigenza dell’area VI (enti pubblici non economici e agenzie fiscali), biennio economico 2008/2009, che ha previsto la non rimborsabilità della spesa, salva diversa previsione ad opera della contrattazione integrativa, ha carattere innovativo e pertanto la stessa non può trovare applicazione nei periodi antecedenti a quello di vigenza contrattuale;
5. la disposizione sopra richiamata non è applicabile alla fattispecie in quanto alla data di sottoscrizione del CCNL il rapporto di lavoro con il B. era cessato e, pertanto, il diritto al rimborso delle quote di iscrizione per le annualità pregresse, derivante dai principi di carattere generale valorizzati da questa Corte, era già entrato nel patrimonio del dirigente;
6. il ricorso non prospetta argomenti che possano indurre a rimeditare l’orientamento già espresso, condiviso dal Collegio ed al quale va data continuità, sicché lo stesso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;
7. sussistono le condizioni processuali di cui all’art. 13 c. 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 5.500,00 per competenze professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese generali del 15% ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
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