CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 marzo 2020, n. 6369
Decreto ingiuntivo – Pagamento retribuzioni relative ad alcune mensilità – Credito risarcitorio del lavoratore – Omesso ripristino del rapporto di lavoro a seguito di declaratoria di illegittimità della cessione di ramo d’azienda
Rilevato che
1. con sentenza n. 1680 pubblicata il 26.4.2018 la Corte d’Appello di Roma, in accoglimento dell’appello di D.F.G.V. e in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto l’opposizione proposta da T.I. s.p.a. avverso il decreto ingiuntivo n. 6896/2014 emesso dal Tribunale di Roma il 21.8.2014, per il pagamento delle retribuzioni relative al periodo da agosto 2012 a luglio 2014;
2. la Corte territoriale, qualificato come risarcitorio il credito del lavoratore nei confronti di T.I. s.p.a. per l’omesso ripristino del rapporto di lavoro a seguito della declaratoria di illegittimità della cessione di ramo d’azienda nei confronti della I. s.p.a., (poi S. s.p.a.), società per la quale il D.F. aveva smesso di lavorare e di essere retribuito dal 14.3.2012, ha escluso, per quanto ancora rileva, la detraibilità ai fini dell’aliunde perceptum dell’indennità di disoccupazione sia per la genericità dell’eccezione sollevata da T. e sia richiamando l’indirizzo giurisprudenziale in materia (Cass. n. 3597/11);
3. avverso tale sentenza T.I. s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, cui ha resistito con controricorso, illustrato da successiva memoria, il D.F.;
4. la proposta del relatore è stata comunicata alla parte, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;
Considerato che
5. con l’unico motivo del ricorso T.I. s.p.a. ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1223 c.c. nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che il risarcimento del danno non potesse essere diminuito scomputando l’indennità di disoccupazione nel frattempo percepita dal lavoratore;
6. il motivo non è fondato in quanto, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, non sono deducibili a titolo di aliunde perceptum dal risarcimento del danno per mancata costituzione del rapporto di lavoro le somme che traggono origine dal sistema di sicurezza sociale che appronta misure sostitutive del reddito in favore del lavoratore, la cui eventuale non debenza dà luogo ad un indebito previdenziale ripetibile, nei limiti di legge, dall’Istituto previdenziale (cfr. Cass. n. 9724/17; n. 7794/17; Ord. sez. 6, n. 14135/18);
7. le argomentazioni dell’odierna ricorrente ripropongono questioni già esaminate e disattese dai precedenti giurisprudenziali ai quali va data continuità;
8. per le ragioni esposte il ricorso, manifestamente infondato, va rigettato;
9. le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo;
10. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 3.000,00 per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, da distrarsi in favore dell’avv. E.L., antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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