CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 novembre 2018, n. 28164
Rapporto di lavoro – Assunzione a termine di lavoratori precedentemente occupati – Mancato rispetto dell’obbligo di preferenza
Rilevato che
1. la Corte di appello di Roma, con sentenza del 22.7.2013, rigettava il gravame proposto dalla s.r.l. G. avverso la decisione del Tribunale di Latina, che aveva condannato essa appellante a pagare ad O.A. la somma di € 13.923,97 a titolo di differenze retributive e TFR fino al 28.7.2006, in relazione al mancato rispetto dell’obbligo di preferenza nell’assunzione a termine di lavoratori precedentemente occupati presso la società M., come l’appellata, obbligo assunto, con accordo del 28.2.1990, per un periodo di tempo annuale non inferiore alla durata delle campagne stagionali “marron glaces”;
2. la Corte rilevava che l’accordo suddetto non conteneva alcuna limitazione relativa all’anno in corso e che anche gli accordi successivi avevano riguardo alla necessità che nelle assunzioni andassero privilegiati i lavoratori “ex M.”, confermando la vigenza dell’impegno assunto con il primo accordo, non potendo ritenersi che il riferimento, nella sentenza di primo grado, ai successivi accordi avesse comportato un mutamento della causa petendi;
3. di tale decisione domanda la cassazione la società, affidando l’impugnazione a quattro motivi;
4. la O. è rimasta intimata.
Considerato che
1. con il primo motivo, è dedotta violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c. per arbitrario mutamento della causa petendi in relazione alla conferma della statuizione del primo giudice in ordine alla ricollegabilità della pretesa dell’O. alle previsioni dell’accordo del 1990 ed alla mancanza nello stesso di ogni limitazione relativa all’anno in corso, per essere da escludere che il tenore dell’accordo fosse riferito anche alle campagne successive e che gli accordi successivi avessero confermato la vigenza dell’impegno assunto con l’accordo originario;
2. la ricorrente rileva l’ambiguità interpretativa del riferimento alle campagne stagionali e l’erroneità della conclusione che aveva escluso che gli impegni assunti riguardassero il primo quadriennio d’affitto di azienda da parte della società, anche in base a quanto rilevabile dalla lettura del verbale stilato in occasione dell’accordo e con riferimento a quanto previsto nell’accordo sindacale successivo del 17.5.1994, ove era precisato che l’assunzione del personale stagionale sarebbe avvenuta nel rispetto dell’autonomia tecnico-organizzativa della società, espressione non contenuta nel precedente accordo, nonché nella mancanza di clausola preferenziale nei successivi accordi, sicché il primo accordo doveva ritenersi avere perso validità in ragione della sua applicabilità ratio ne temporis;
3. con il secondo è denunziata violazione dell’art. 1362 c.c., errore di diritto nell’interpretazione dell’accordo collettivo del 28.2.1990 e dei contratti successivi tra OO.SS. e G. s.r.l. in materia di assunzione di lavoratori stagionali, assumendosi che in nessuno di essi vi era riferimento alla durata della campagna stagionale e che pertanto poteva variarsi la composizione quantitativa e qualitativa dell’organico a seconda delle fasi lavorative e dei volumi produttivi soggetti a variabilità nel tempo, senza alcun vincolo occupazionale;
4. con il terzo motivo, sono ascritte alla decisione impugnata violazione dell’art. 360, n. 5, c.p.c., in relazione all’art. 116 c.p.c., omessa e/o errata valutazione delle prove testimoniali e della documentazione prodotta in giudizio, assumendosi, che oltre ad avere dimostrato la prova orale che la campagna stagionale era sempre stata articolata per fasi lavorative e di durata variabile in relazione agli ordinativi, era provato documentalmente che la media delle giornate lavorative effettuate dalla ricorrente nel periodo di causa non era stata diversa da quella della piena occupazione della campagna stagionale;
5. con il quarto motivo, si lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c., vizio di extrapetizione, in relazione alla mancanza di una clausola preferenziale a partire del 2001, circostanza mai dedotta nel ricorso introduttivo, che, tuttavia, era stata posta a fondamento della motivazione della sentenza impugnata;
6. il primo motivo, che rileva una variazione non consentita della causa petendi, è destituito di fondamento, posto che la modifica è sussistente non ex se, ma unicamente in relazione alla ricostruzione dei fatti effettuata dalla ricorrente. Peraltro, si ha domanda nuova – inammissibile in appello – per modificazione della “causa petendi” quando i nuovi elementi, dedotti dinanzi al giudice di secondo grado, comportino il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato, modificando l’oggetto sostanziale dell’azione ed i termini della controversia, in modo da porre in essere una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado e sulla quale non si è svolto in quella sede il contraddittorio (cfr., tra le altre, Cass. 23.7.2015 n. 15506);
7. il secondo motivo va anch’esso disatteso posto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’interpretazione degli atti di autonomia privata si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito, sicché la possibilità di censurare tale accertamento in sede di legittimità, a parte l’ipotesi in cui la motivazione sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione del percorso logico seguito da quel giudice per giungere ad attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, è limitata al caso di violazione delle norme ermeneutiche, violazione da dedursi, peraltro, con la specifica indicazione nel ricorso per cassazione del modo in cui il ragionamento del giudice si sia da esse discostato, poiché, in caso contrario, la critica alla ricostruzione del contenuto della comune volontà si sostanzia nella proposta di un’interpretazione diversa (cfr, ex plurimis, da ultimo, Cass., 17 ottobre 2013, n. 23614);
8. il ricorso è carente sotto questo aspetto, essendosi la parte limitata ad indicare solo genericamente la violazione dell’art. 1362 e seguenti, senza precisare quale dei criteri ermeneutici indicati nelle dette norme sarebbe stato violato e con quale affermazione specifica della corte territoriale la violazione sarebbe stata commessa;
peraltro, ove si fosse trattato di accordi collettivi (non se ne specifica la natura) la ricorrente avrebbe dovuto dedurre la violazione diretta della norma;
9. il terzo motivo fa riferimento a prove orali e documenti senza riportare neanche il contenuto preciso delle deposizioni, prescindendosi dalla inammissibile deduzione del vizio ex 360 n. 5 c.p.c. nuovo testo, che presuppone anche la decisività dell’errore, e senza considerare l’omessa indicazione della sede di deposito dei documenti, indicati in modo affatto generico, in dispregio dei principi di specificità e di autosufficienza (Cass. s.u. 11.4.2012 n. 5698, Cass., s. u., 3.11.2011 n. 22726); in ogni caso la censura nella sostanza attiene al merito e come tale presenta insuperabili profili di inammissibilità.
10. anche il quarto motivo, al di là della sua enunciazione, non risulta riferito ad un’ipotesi di ultrapetizione, atteso che il potere – dovere del giudice di inquadrare nella esatta disciplina giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della contestazione incontra il limite del rispetto del “petitum” e della “causa petendi”, sostanziandosi nel divieto di introduzione di nuovi elementi di fatto nel tema controverso, sicché il vizio di “ultra” o “extra” petizione ricorre solo quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (“petitum” o “causa petendi”), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (“petitum” immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (“petitum” mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori (cfr., tra le tante, Cass. 24.9.2015 n. 18868, Cass. 11.4.2018 n. 9002);
11. alla stregua di tali ragioni il ricorso va respinto;
12. nulla va statuito sulle spese del presente giudizio di legittimità, essendo l’O. rimasta intimata;
13. sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, dPR 115 del 2002;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R.
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