CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 novembre 2019, n. 28375
Tributi – IRPEF – Accertamenti bancari – Versamenti non giustificati su conto corrente – Proventi derivanti da fatti illeciti – Assoggettamento a tassazione – Legittimità – Scudo fiscale – Inefficacia – Notifica invito ex art. 32, del DPR n. 600 del 1973
Rilevato che
M.M. impugnò, innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Bergamo, gli avvisi di accertamento che recuperavano a tassazione IRPEF, per le annualità 2006 e 2007, ai sensi dell’art. 14, comma 4, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, i versamenti compiuti dal contribuente sui propri conti correnti, perché non giustificati o costituenti proventi illeciti (derivanti dall’acquisto illecito di materiale ferroso tramite società di capitali a tal fine costituite);
la CTP di Bergamo, con sentenza n. 2/2/2012, in parziale accoglimento della domanda, dichiarò legittimo l’avviso relativo al 2006 e annullò quello del 2007;
avverso tale decisione hanno interposto appello entrambi i contendenti, per la parte di rispettiva soccombenza, e la CTR della Lombardia, sezione staccata di Brescia, con la sentenza in epigrafe, ha respinto il gravame del contribuente e, per converso, ha accolto l’appello incidentale dell’Agenzia, dichiarando legittimi i due atti impositivi;
il giudice d’appello, innanzitutto, ha disatteso la censura del contribuente, per la quale la sua adesione al c.d. “scudo fiscale” avrebbe impedito l’attività accertatrice dell’erario, sul rilievo che, nel caso concreto non trovava applicazione la preclusione all’accertamento fiscale descritta dall’art. 14, comma 7, del d.l. 25 settembre 2001, n. 350, richiamato dall’art. 13-bis, del d.l. 10 luglio 2009, n. 78, perché l’interessato aveva dato incarico all’intermediario di trasmettere la dichiarazione riservata delle attività emerse in data 30/04/2010, allorché la verifica fiscale era già iniziata e al contribuente era stato notificato l’invito ex art. 32, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 ed era stato consegnato il processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza; in secondo luogo, non ha ritenuto persuasiva la giustificazione del contribuente, secondo cui il versamento, sul proprio conto corrente, della somma di euro 326.362,25 (in data 21/04/2006) non era avvenuto in contanti, ma tramite assegno, a titolo di pagamento di un credito in contenzioso da parte di B. Rottami Srl nei confronti di A. Rottami Srl in liquidazione, non trovando tale versamento alcuna corrispondenza nella contabilità della società accipiens; infine, ha disatteso la doglianza dell’appellante (principale), in merito alla non assoggettabilità a tassazione dei proventi, derivanti da fatti illeciti, sottoposti a sequestro o a confisca penale, rilevando che, secondo l’indirizzo costante della giurisprudenza di legittimità, una simile preclusione è configurabile a condizione che il provvedimento ablatorio (rappresentato, nella specie, dalla confisca per equivalente), sia intervenuto nel medesimo periodo d’imposta nel quale è stato realizzato il provento illecito, quale circostanza in concreto non verificatasi, essendo intervenuta la confisca per equivalente nel 2010, in relazione ad avvisi relativi ai periodi d’imposta 2006 e 2007;
il contribuente ricorre per la cassazione, sulla base di tre motivi, illustrati con memoria ex 380-bis. 1., cod. proc. civ., cui l’Agenzia resiste con controricorso;
Considerato che
con il primo motivo del ricorso, denunciando, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 13-bis, del d.l. n. 78/2009, si censura la sentenza impugnata per avere negato che l’adesione del ricorrente al c.d. “scudo fiscale” precludesse il potere impositivo dell’Amministrazione finanziaria, trascurando che l’inizio dell’attività di accertamento amministrativo (risalente al 24/03/2010) era successivo alla presentazione della dichiarazione riservata delle attività emerse, ai sensi dell’art. 13-bis, cit., avvenuta il 19/03/2010, tramite il conferimento all’intermediario abilitato dell’incarico di ricevere in deposito o amministrazione le attività rimpatriate e di versare la relativa imposta straordinaria;
il motivo è infondato;
l’art. 14, comma 7, del d.l. n. 350/2001, richiamato dall’art. 13-bis, del d.l. n. 78/2009, così dispone: “7. Il rimpatrio delle attività non produce gli effetti di cui al presente articolo quando, alla data di presentazione della dichiarazione riservata, una delle violazioni delle norme indicate al comma 1 è stata già constatata o comunque sono già iniziati accessi, ispezioni e verifiche o altre attività di accertamento tributario e contributivo di cui gli interessati hanno avuto formale conoscenza. Il rimpatrio non produce gli effetti estintivi di cui al comma 1, lettera c), quando per gli illeciti penali ivi indicati è già stato avviato il procedimento penale, di cui gli interessati hanno avuto formale conoscenza.”;
in altre parole, l’effetto preclusivo dell’accertamento (amministrativo) fiscale conseguente al rimpatrio delle attività finanziarie è soggetto alla condizione che quando l’interessato aderisce al c.d. “scudo fiscale” non sia già in corso una verifica tributaria;
nel caso concreto, la CTR, con un apprezzamento di fatto – sindacabile, in sede di legittimità, entro gli stretti limiti dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (che, nella specie, sarebbero resi ancor più angusti dalla presenza di una sentenza d’appello, in parte qua “doppia conforme” rispetto alla pronuncia di primo grado), quale motivo di ricorso per cassazione neppure dedotto dal contribuente – ha negato il detto effetto preclusivo dello “scudo fiscale” sull’accertamento tributario, per essere iniziato quest’ultimo in data 24/03/2010 (con la notifica all’interessato dell’invito ex art. 32, del d.P.R. n. 600/1973), prima che venisse presentata la dichiarazione riservata (ciò che avvenne solo il 30/04/2010);
con il secondo motivo, denunciando, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 14, comma 4, della legge n. 537/1993, 38, comma 3, del d.P.R. n. 600/1973, 2697, 2727, 2729 cod. civ., il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere omesso di esaminare gli ulteriori elementi di fatto (diversi da quelli riportati nel PVC della Guardia di Finanza), quali la riferibilità delle movimentazioni finanziarie contestate a operazioni legittime e, in ogni caso, per non avere rilevato l’assenza di elementi di prova idonei a dimostrare la riconducibilità delle somme contestate all’attività asseritamente illecita del contribuente;
il motivo è inammissibile;
sotto l’egida della violazione di legge, infatti, in modo non consentito, questa Corte, alla quale è demandato il controllo di legittimità della decisione, è sollecitata a effettuare una ricostruzione dei fatti di causa diversa rispetto a quella compiuta dalla CTR che, come suaccennato, ha disatteso le giustificazioni addotte dal contribuente in merito alle movimentazioni dei suoi conti correnti personali;
con il terzo motivo, denunciando, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 14, comma 4, della legge n. 537/93, dell’art. 23, Cost., e dell’art. 1, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212, il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere disatteso il suo motivo d’appello concernente la non assoggettabilità a tassazione di proventi, derivanti da fatti illeciti, sottoposti a sequestro o a confisca penale;
il motivo è infondato;
si deve richiamare il condivisibile orientamento di legittimità, per il quale, in tema di imposte sui redditi, l’esclusione originaria dei proventi da attività illecite dalla base imponibile ai sensi dell’art. 14, comma 4, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, ove sottoposti a sequestro o confisca penale, opera a condizione che il provvedimento ablatorio sia intervenuto, al più, entro la fine del periodo di imposta cui il provento si riferisce, e non anche in caso di eventi posteriori alla realizzazione del presupposto impositivo, con i conseguenti obblighi di dichiarazione e di versamento, per i quali si pone solo una questione di diritto al rimborso dell’imposta versata divenuta indebita (Cass. 20/12/2013, n. 28519);
nel caso concreto, la CTR, uniformandosi a questo principio di diritto, ha negato che il provvedimento ablatorio penale (confisca per equivalente), adottato nel 2010, potesse rilevare come causa d’esclusione dell’imponibilità in ragione della dirimente circostanza che gli accertamenti fiscali si riferiscono ad annualità pregresse (periodi d’imposta 2006 e 2007) rispetto a quella in cui è avvenuta la confisca (periodo d’imposta 2010);
ne consegue il rigetto del ricorso;
le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
P.Q.M.
rigetta il ricorso, condanna il ricorrente a pagare all’Agenzia delle Entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.800,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 -bis del citato art. 13.