CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 novembre 2021, n. 32217
Tributi – ICI – Centrale idroelettrica – Beni serventi – Imponibilità
Rilevato che
1. – con sentenza n. 2104/23/2017, depositata il 15 maggio 2017 e notificata il 5 giugno 2017, la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha accolto l’appello proposto dal Comune di Braone, così pronunciando in integrale riforma della decisione di prime cure che, per suo conto, aveva annullato avvisi di accertamento ICI, emessi per i periodi di imposta dal 2005 al 2010, in relazione al possesso di beni serventi di una centrale idroelettrica (sita nel comune di Cividate Camuno);
1.1 – il giudice del gravame ha considerato che:
– i beni sottoposti a tassazione ICI non avevano formato oggetto di dichiarazione catastale, per quanto ne sussistesse il relativo obbligo dal 2005 (ex L. n. 88 del 2005), sino all’anno 2010 quando la contribuente aveva presentato, con procedura docfa, la pertinente dichiarazione; né una siffatta dichiarazione catastale era stata presentata «in (più o meno impropria) “connessione” con la centrale di Cividate Camuno (il cui valore catastale non è del resto stato oggetto di rettifica in diminuzione quando – nel 2010 – E. si era finalmente risolta alla presentazione di una docfa in ordine a questi immobili/impianto: e dunque non è vero che essi erano ricompresi nel valore della centrale di Cividate Camuno, così come non può essere seriamente affermato che “non avessero valore”, tanto che – quando si era decisa a farlo – E. li aveva comunque valorizzati per la non indifferente rendita di € 30.400, prestando anche sintomatica acquiescenza giurisdizionale ad un accertamento quasi raddoppiato … ).»;
– ai fini, pertanto, della determinazione della base imponibile dell’imposta, la rendita catastale, quale accertata dall’amministrazione, – e, con forza di giudicato, da pronuncia resa dalla stessa Commissione tributaria regionale della Lombardia (sentenza n. 23/3/15), – doveva trovare applicazione (anche) per le annualità pregresse, entro i limiti temporali della decadenza;
– non ricorrevano, poi, condizioni di obiettiva incertezza normativa, tale da escludere il trattamento sanzionatorio correlato all’omessa dichiarazione ICI, venendo in considerazione operatore economico qualificato, e «di rilievo quasi istituzionale, capace sicuramente di “ascolto” (se non di pressione … ) già in sede di elaborazione delle disposizione normativa destinata a regolare lo specifico comparto.»;
2. – E. S.p.a. ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di tre motivi, illustrati con memoria;
– il Comune di Braone resiste con controricorso, illustrato con memoria.
Considerato che
1. – col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 2, e della l. n. 212 del 2000, art. 10, commi 1 e 3, deducendo, in sintesi, che, – diversamente da quanto rilevato dal giudice del gravame, peraltro sotto il solo profilo (soggettivo) delle qualità individuali del contribuente, – ricorrevano condizioni di obiettiva incertezza normativa in ordine all’applicazione del d.lgs. n. 504 del 1992, artt. 5 e 11, quali conseguenti all’entrata in vigore del d.m. n. 701 del 1994, condizioni tali da giustificare la disapplicazione del trattamento sanzionatorio posto che, nella fattispecie, venivano in considerazione beni (serventi di una centrale di produzione elettrica) non accatastati, nemmeno su iniziativa dell’amministrazione catastale, e rispetto ai quali sussistevano incertezze in ordine alla loro assoggettabilità ad ICI;
– il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 4, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., sull’assunto che la gravata sentenza aveva omesso di pronunciare sul motivo di impugnazione degli avvisi di accertamento, – motivo riproposto nelle rituali controdeduzioni in appello, – involgente l’illegittimità della pretesa sanzionatoria di una condotta del contribuente «manifestamente inesigibile» in quanto correlata, in tesi, all’obbligo dichiarativo dell’imposta con riferimento ad una base imponibile (la rendita catastale) oggetto di determinazione (solo) in un momento successivo al 10 gennaio di ciascun anno di imposizione;
– col terzo motivo, ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge con riferimento al d.lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 2, e art. 10, ed alla l. n. 342 del 2000, art. 74, comma 1, assumendo, in subordine, che, ad ogni modo, la statuita applicazione retroattiva della rendita catastale non legittimava il trattamento sanzionatorio in concreto applicato, non potendosi configurare un obbligo dichiarativo, con portata retroattiva, quale correlato ad una base imponibile (la rendita catastale) oggetto di accertamento in momento successivo alla scadenza del termine di presentazione della dichiarazione;
2. – i motivi di ricorso, – che si prestano ad una trattazione unitaria e che pur prospettano profili di inammissibilità, – sono destituiti di fondamento e vanno senz’altro disattesi;
3. – occorre premettere che, ai sensi del d.lgs. n. 504 del 1992, art. 2, c. 1, lett. a), per fabbricato rilevante ai fini ICI deve intendersi l’unità immobiliare iscritta, o che deve essere iscritta, nel catasto edilizio urbano, ovvero l’immobile suscettibile di accatastamento ai sensi del R.D.L. n. 652 del 1939, artt. 1, 4, 5 e 10 (Cass., 3 maggio 2019, n. 11646; Cass., 27 marzo 2019, n. 8536; Cass., 23 giugno 2006, n. 14673);
– l’iscrizione di una unità immobiliare al catasto edilizio costituisce presupposto sufficiente per l’assoggettamento del bene all’ICI, ma non anche necessario, essendo l’imposta dovuta fin da quando il bene presenti le condizioni per la sua iscrivibilità, cioè da quando lo stesso possa essere considerato fabbricato, in ragione dell’ultimazione dei lavori relativi alla sua costruzione, ovvero dal momento in cui lo stesso sia stato antecedentemente utilizzato (Cass., 3 maggio 2019, n. 11646; Cass., 21 marzo 2019, n. 7968; Cass., 30 aprile 2015, n. 8781; Cass., 23 giugno 2010, n. 15177; Cass., 10 ottobre 2008, n. 24924);
3.1 – il d.l. n. 44 del 2005, art. 1 quinquies, conv. in l. n. 88 del 2005, ha disposto nei seguenti termini: «Ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’articolo 4 del regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, limitatamente alle centrali elettriche, si interpreta nel senso che i fabbricati e le costruzioni stabili sono costituiti dal suolo e dalle parti ad esso strutturalmente connesse, anche in via transitoria, cui possono accedere, mediante qualsiasi mezzo di unione, parti mobili allo scopo di realizzare un unico bene complesso. Pertanto, concorrono alla determinazione della rendita catastale, ai sensi dell’articolo 10 del citato regio decreto-legge, gli elementi costitutivi degli opifici e degli altri immobili costruiti per le speciali esigenze dell’attività industriale di cui al periodo precedente anche se fisicamente non incorporati al suolo. I trasferimenti erariali agli enti locali interessati sono conseguentemente rideterminati per tutti gli anni di riferimento.»;
– in ordine a detta disposizione, la Corte ha statuito che concorrono alla determinazione della rendita catastale gli elementi costitutivi degli opifici caratterizzati da una connessione strutturale con l’edificio, tale da realizzare un unico bene complesso, e prescindendo dalla transitorietà di detta connessione nonché dai mezzi di unione a tal fine utilizzati, così rilevando (anche) il valore delle turbine e delle opere idrauliche di superficie e di sottosuolo, che configurano elementi essenziali della centrale, non separabili senza una sostanziale alterazione del bene (Cass., 15 marzo 2019, n. 7377; Cass., 5 febbraio 2019, n. 3277; Cass., 20 febbraio 2015, n. 3500; Cass., 9 novembre 2011, n. 23317; Cass., 10 aprile 2009, n. 8764; Cass., 7 giugno 2006, n. 13319; Cass., 17 novembre 2004, n. 21730);
– del resto, va soggiunto, anche il Giudice delle leggi, – nel rilevare che, ai sensi del r.d.l. n. 652 del 1939, artt. 4 e 5, «Nella definizione di unità immobiliare non si fa alcun riferimento ai materiali utilizzati, né ai sistemi di assemblaggio degli stessi» e che «il concetto di immobile per incorporazione è ricavato dal combinato disposto degli artt. 4 del r.d.l. n. 652 del 1939, e 812 del codice civile.» – ha rimarcato che proprio l’art. 812, c. 1, cod. civ., «prevede la possibilità di una connessione strutturale realizzata in via transitoria, ed introduce il concetto di bene immobile per incorporazione, non specificando l’esatto significato di tale ultimo termine; qualsiasi collegamento infatti è idoneo a classificare un bene quale bene immobile, essendo irrilevante la modalità di collegamento di un impianto con la struttura principale.»;
così che, si è ulteriormente osservato, – con riferimento alla disposizione di interpretazione autentica (allora censurata) di cui all’art. 1 quinquies del d.l. 31 marzo 2005, n. 44 conv. in l. 31 maggio 2005, n. 88, – «il legislatore ha inteso risolvere il contrasto interpretativo con riferimento alle centrali elettriche, senza innovare il concetto di immobile per incorporazione, quale emergente dalla normativa esistente ed evidenziato dalla giurisprudenza in precedenza richiamata. L’unico effetto dell’art. 1-quinquies è quello di considerare immobili le centrali elettriche, senza alcuna possibilità per il giudice di fornire una diversa interpretazione, ma non anche quello di escludere dal novero degli immobili per incorporazione le altre costruzioni pure se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo. L’art. 1- quinquies, quindi, non ha creato un regime particolare per le centrali elettriche, ma, anzi, ha riportato le stesse nell’àmbito della tipologia di beni cui sono state sempre accomunate, come, tra l’altro, gli altiforni, i carri-ponte, i grandi impianti di produzione di vapore, eliminando qualsiasi dubbio sorto sulla determinazione della rendita catastale delle stesse.» (Corte Cost., 20 maggio 2008, n. 162);
3.2 – tenuto conto, dunque, del disposto dell’art. 1 quinquies, cit., la contribuente avrebbe dovuto dichiarare, ai fini dell’accatastamento, i beni che, poi, hanno formato oggetto di dichiarazione Docfa (del maggio 2010) e, – trattandosi di unità immobiliari da iscrivere in catasto, – ne avrebbe dovuto dichiarare il possesso a fini ICI;
3.3 – il giudice del gravame, come anticipato, ha accertato che i beni non erano stati accatastati e che la dichiarazione catastale non era stata presentata neppure «in (più o meno impropria) “connessione” con la centrale di Cividate Camuno …»; – e detto accertamento non ha formato oggetto di motivo di ricorso, risultando inammissibili, sul punto, le deduzioni svolte (solo) con la memoria difensiva che può assolvere alla (sola) funzione di illustrare e chiarire le ragioni già compiutamente svolte col ricorso, ovvero di confutare le tesi avversarie, ma non può specificare od integrare od ampliare il contenuto delle originarie argomentazioni che non siano state adeguatamente prospettate o sviluppate con il detto atto introduttivo e, tanto meno, dedurre nuove eccezioni o sollevare nuove questioni di dibattito (v. Cass. Sez. U., 15 maggio 2006, n. 11097 cui adde, ex plurimis, Cass., 28 novembre 2018, n. 30760; Cass., 23 agosto 2011, n. 17603; Cass., 28 agosto 2007, n. 18195);
– per di più all’accertamento in questione si correla il rilievo, pur svolto, in ordine alla ricorrenza dell’obbligo dichiarativo a fini ICI, rilievo, questo, che esclude, allora, la fondatezza del secondo motivo di ricorso in quanto viene, così, in considerazione una statuizione implicita di rigetto della questione posta dalla parte (v. Cass., 13 agosto 2018, n. 20718; Cass., 6 dicembre 2017, n. 29191; Cass., 14 gennaio 2015, n. 452; Cass., 25 settembre 2012, n. 16254; Cass., 17 luglio 2007, n. 15882; Cass., 19 maggio 2006, n. 11756);
3.4 – trattandosi, quindi, di beni che dovevano essere accatastati (d.l. n. 44 del 2005, art. 1 quinquies, conv. in l. n. 88 del 2005), e dichiarati a fini ICI, i motivi di ricorso che involgono, – esclusivamente sotto il profilo sanzionatorio (omessa dichiarazione), – l’applicazione retroattiva della rendita catastale si prospettano, per di più, come inammissibili in quanto la ricorrente non censura detta applicazione retroattiva e la sanzione per l’omessa dichiarazione è obiettivamente correlata alla misura del tributo dovuto (d.lgs. n. 504 del 1992, art. 14) e, così, alla determinazione della base imponibile che, come detto, non forma oggetto di contestazione;
– rimane da precisare che se in distinte fattispecie, la Corte ha rilevato la ricorrenza di condizioni di obiettiva incertezza normativa (v. Cass., 19 febbraio 2020, n. 4169; Cass., 9 dicembre 2019, n. 32082; Cass., 12 aprile 2019, n. 10313), un siffatto rilievo si è fatto discendere dal presupposto che non risultava contestato che «gli immobili fossero già iscritti in catasto con attribuzione di rendita» e che, pertanto, non avrebbe potuto applicarsi «il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3, poichè tale norma prevede che l’Ici debba essere corrisposta secondo il valore contabile per i fabbricati classificabili nel gruppo D non ancora iscritti in catasto»; così che detta obiettiva incertezza, – nel correlarsi alla determinazione della base imponibile ICI, – doveva ascriversi alla fattispecie sanzionatoria della dichiarazione infedele laddove, in giudizio, viene in considerazione la (diversa) fattispecie dell’omessa dichiarazione;
4. – le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di parte ricorrente nei cui confronti sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto (d.p.r. n. 115 del 2002, art. 13, c. 1 quater).
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 6.500,00 per compensi professionali ed €200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge; ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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