CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 novembre 2021, n. 32221
Tributi – Canone di concessione strade – Occupazioni permanenti (cavi, condutture, impianti o altro manufatto) finalizzate all’erogazione di pubblici servizi – Limite massimo
Rilevato che
1. – con sentenza n. 574, depositata il 13 marzo 2013, la Corte di Appello di Catania ha rigettato l’appello proposto da E.D. S.p.a., così integralmente confermando il decisum di prime cure che, a sua volta, aveva disatteso l’impugnazione di un avviso di liquidazione – accertamento emesso, e notificato, per il pagamento dell’importo € 17.234,42 dovuto alla Provincia Regionale di Catania a titolo di canone concessorio ai sensi del d.lgs. n. 285 del 1992, art. 27;
1.1 – il giudice del gravame ha ritenuto che:
– correttamente doveva escludersi la liquidazione del canone in contestazione sulla base dei criteri di liquidazione della T. (d.lgs. n. 507 del 1993, artt. 38 e ss.), – cui rinviava il vigente regolamento comunale (art. 15), – in quanto la pertinente disciplina, oggetto- di rinvio, doveva ritenersi superata per effetto delle modifiche apportate al d.lgs. n. 446 del 1997, art. 63, dalla l. n. 488 del 1999, art. 18; disposizione, questa, che aveva rimodulato, per l’appunto, i parametri di liquidazione della T., sul criterio cd. dell’utenza, superando la previgente disciplina (d.lgs. n. 507, cit., artt. 46 e 47), incentrata sul criterio dell’effettività dell’occupazione;
– legittimamente, pertanto, l’ente aveva liquidato il canone applicando detto criterio dell’utenza, attesa anche la piena compatibilità, e cumulabilità, del canone concessorio con la T.;
– del pari destituita di fondamento doveva ritenersi l’interpretazione della disposizione di cui al terzo comma dell’art. 63, cit., nel senso che l’importo della T. avrebbe dovuto rappresentare «una sorta di tetto massimo invalicabile in sede di determinazione della entità del canone concessorio», in quanto, da un lato, il testo della disposizione normativa non autorizzava una siffatta lettura, – esclusivamente prevedendo, all’inverso, che dal canone o dalla T. si dovesse detrarre quanto dovuto per altri canoni previsti dalla legge, – e, dall’altro, il meccanismo compensatorio adottato dall’Ente locale era volto (proprio) ad evitare l’integrale coesistenza del canone concessorio e della T.;
2. – E.D. S.p.a. (ora e.-d- S.p.a.) ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di due motivi, illustrati con memoria;
– il Libero Consorzio Comunale di Catania resiste con controricorso.
Considerato che
1. – il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge con riferimento al regolamento approvato con deliberazione n. 39 del 27 aprile 1995, art. 15, al d.lgs. n. 507 del 1993, artt. 38, 39 e 42, al d.lgs. n. 285 del 1992, artt. 25 e 27 nonché alla l. n. 488 del 1999, art. 18; assume, in sintesi, la ricorrente che, – avendo operato l’art. 15 del regolamento approvato dalla Provincia regionale di Catania un rinvio recettizio alla disciplina che, in tema di T., risultava posta dal d.lgs. n. 507 del 1993, – inconcludente rimaneva il rilievo del giudice del gravame in ordine alle modifiche apportate al d.lgs. n. 446 del 1997, art. 63, dalla l. n. 488 del 1999, art. 18, posto che, in ragione della natura materiale del rinvio, il canone non ricognitorio previsto dal d.lgs. n. 285, cit., art. 27, andava, ad ogni modo, applicato (anche) secondo i criteri di misurazione delle aree occupate posti dal d.lgs. n. 507 del 1993, art. 47 e, così, – alla stregua della giurisprudenza della Corte di legittimità, – secondo il principio dell’arrotondamento al km lineare da operare sull’ultima frazione della rete complessivamente intesa e non anche, così come in concreto avvenuto, in relazione a ciascun provvedimento concessorio avente ad oggetto, in quanto tale, singoli tratti della rete;
– soggiunge la ricorrente che, ad ogni modo, l’unitarietà della rete avrebbe imposto di computare il canone non ricognitorio, – che, secondo l’allegato n. 2 al citato regolamento, doveva liquidarsi in € 51,65 al chilometro, – in ragione della complessiva consistenza della stessa rete, non dunque in relazione ai singoli segmenti di rete oggetto di distinti provvedimenti concessori; conclusione, questa, del resto suffragata: – dai principi di effettività, e di proporzionalità, implicati dalla disciplina della T. oggetto di rinvio, principi alla cui stregua doveva tenersi conto dell’area effettivamente occupata, con liquidazione del canone in proporzione a detta effettiva occupazione e, così, avuto riguardo a quelle disposizioni del d.lgs. n. 507 del 1993 (artt. 38 e ss.) che non avevano subito modifiche normative; – dalla stessa disciplina primaria del canone in questione (art. 27, cit.), alla cui stregua doveva tenersi conto dell’effettiva consistenza della rete in relazione alle soggezioni che ne conseguivano per la strada oggetto di occupazione;
– col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della l. n. 488 del 1999, art. 18, deducendo, in sintesi, che, – in ragione della riformulazione del terzo comma, ultima proposizione, dell’art. 63, d.lgs. n. 446 del 1997, ad opera dell’art. 18, cit., – il prelievo a titolo di C. (art. 63, c. 1, cit.), – o, così come nella fattispecie, di T. (d.lgs. n. 507 del 1993, artt. 38 ss.), – segna il limite massimo dell’onere economico che può essere prefigurato in relazione all’occupazione di aree e spazi pubblici (anche) a titolo di canone non ricognitorio (ex d.lgs. n. 285 del 1992, art. 27), laddove il giudice del gravame aveva impropriamente identificato quest’ultimo canone, nella fattispecie in contestazione, col C. e, così, ritenuto che da quello, – e non dalla T. in concreto applicata, – dovesse operarsi la detrazione di altri canoni previsti da disposizioni di legge;
2. – i due motivi di ricorso, – che si prestano ad una congiunta trattazione, – sono fondati e vanno senz’altro accolti;
3. – come anticipato, il giudice del gravame ha rilevato che il rinvio disposto dall’art. 15 del regolamento, cit., – recante disciplina della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (T.; d.lgs. n. 507 del 1993, artt. 38 e ss.), oltreché del canone non ricognitorio di cui al d.lgs. n. 285 del 1992, art. 27, – doveva ritenersi superato, – e, così, non utilmente riferibile alla disciplina di detto canone, – in ragione del nuovo criterio impositivo correlato alla novella di cui alla l. n. 488 del 1999, art. 18, c. 2, che, a sua volta, aveva esteso alla T. quel criterio di applicazione che, già previsto in relazione al canone per l’occupazione di spazi ed aree pubblici (C.; d.lgs. n. 446 del 1997, art. 63, c. 1), era incentrato, – con riferimento alle «occupazioni permanenti, realizzate con cavi, condutture, impianti o con qualsiasi altro manufatto», – alla stregua di una liquidazione forfetaria, sul numero delle utenze di «aziende di erogazione dei pubblici servizi e … quelle esercenti attività strumentali ai servizi medesimi» [d.lgs. n. 446 del 1997, art. 63, c. 2, lett. f)]; ed ha soggiunto, per di più, che legittimamente la Provincia regionale di Catania aveva fatto applicazione di detto criterio di liquidazione («criterio di utenza») «nell’avviso di liquidazione-accertamento» in contestazione;
3.1 – come condivisibilmente denuncia la ricorrente, i rilievi in questione sottendono un’erronea sussunzione della fattispecie che, così com’è inequivoco, viene in considerazione tra le parti, queste disputando in ordine ai criteri, ed ai conseguenti limiti, di applicazione del canone patrimoniale, di natura cd. non ricognitoria, previsto in relazione all’attraversamento ed all’uso della sede stradale (d.lgs. n. 285 del 1992, artt. 25 ss.; d.p.r. 16 dicembre 1992, n. 495, artt. 65 e ss.), e non anche del canone (C.) che, quale prestazione anch’essa di natura patrimoniale, agli enti locali è stato concesso di istituire in alternativa alla T. (d.lgs. n. 446, cit., art. 63, c. 1);
– erroneità, quella in discorso, che risulta, quindi, replicata tanto in punto di individuazione del criterio determinativo dell’importo del canone in contestazione, – che, non identificandosi col C., nemmeno può ritenersi riconducibile al quel criterio, cd. dell’utenza, che è giustappunto previsto esclusivamente per quest’ultima fattispecie, – quanto con riferimento al principio di assorbimento degli altri canoni previsti per legge (e purché non connessi a prestazioni di servizi; d.lgs. n. 446, cit., art. 63, c. 3, ultima proposizione), assorbimento deputato ad operare in relazione all’importo (per l’appunto assorbente) riscosso a titolo di C., – ovvero, così com’è nella fattispecie, di T., – ma non anche all’importo del canone non ricognitorio di cui al d.lgs. n. 285, cit., art. 27, che, diversamente, al delineato meccanismo partecipa quale entità destinata a rimanere assorbita;
3.2 – tanto premesso, il primo motivo di ricorso è fondato, e va accolto, proprio perché, – erroneamente identificato lo stesso oggetto del giudizio in relazione alla prestazione patrimoniale tra le parti controversa, – il giudice del gravame ha omesso di considerare che il rinvio alla regolamentazione della T. (d.lgs. n. 507 del 1993, artt. 38 e ss.), qual operato dall’art. 15 del regolamento approvato dalla Provincia Regionale di Catania ai fini della disciplina (anche) del canone non ricognitorio di cui al d.lgs. n. 285 del 1992, cit., – e con riferimento «alle modalità di riscossione, ai criteri di misurazione delle aree» previsti dalla disciplina della T., – non poteva ritenersi ex se sterilizzato in ragione dell’introduzione del (nuovo) criterio tariffario (cd. dell’utenza) di liquidazione della T.; criterio, questo, per l’appunto riferibile alla disciplina della tassa, – e, ancor prima, a quella del canone (C.), – ma non anche al canone non ricognitorio che, nel giudizio, viene per l’appunto in considerazione;
– così che, come la Corte ha ripetutamente rilevato (v., tra le innumerevoli, Cass., 28 febbraio 2017, n. 5039), il rinvio di una norma ad un’altra, – che può essere di tipo formale (rinvio mobile, o non recettizio) o materiale (rinvio fisso o recettizio), – nel caso di rinvio recettizio, – ove la norma rinviante incorpora il contenuto regolatorio della disposizione normativa richiamata, – rimane insensibile ai successivi mutamenti del contenuto regolatorio della disposizione richiamata; contenuto questo che, per vero, nella fattispecie nemmeno può ritenersi integralmente oggetto di abrogazione, le disposizioni di cui all’art. 47, cit., continuando ad operare, tra l’altro, con riferimento alle occupazioni (ad es. temporanee) non riconducibili a quelle disciplinate dal d.lgs. n. 446 del 1997, art. 63, c. 2, lett. f), cit.;
– e va rimarcato che la natura (recettizia) del rinvio in discorso deve essere interpretata in relazione (anche) agli stessi criteri di liquidazione del canone non ricognitorio in contestazione, secondo la prospettazione di parte ricorrente, che la controricorrente non contesta, detti criteri risultando incentrati sull’unità di misura dell’occupazione costituita dal chilometro lineare (alla stregua dell’all. 2 del regolamento, cit.) e, dunque, sulla medesima unità di misura (già) prevista, per la T., dal d.lgs. n. 507 del 1993, artt. 46 e 47, quanto alle occupazioni del sottosuolo e del soprassuolo stradale con condutture, cavi, impianti in genere ed altri manufatti destinati all’esercizio e alla manutenzione delle reti di erogazione di pubblici servizi;
3.3 – la Corte, poi, in tema di criteri di applicazione del d.lgs. n. 507 del 1993, artt. 46 e 47, ha rimarcato che dette disposizioni dettano un criterio differenziato, ed agevolato, di determinazione della tassa (per ragioni di pubblica utilità), di tipo forfetario, fondato sui parametri costituiti dalla lunghezza della strada e dalla parte di essa effettivamente occupata, e calcolato sulla base dell’unità di misura del chilometro lineare; ove, dunque, l’agevolazione consiste in ciò che, – abbandonato il criterio della tassazione per metro lineare o quadrato, e prevista, invece, l’unità di misura costituita dal km. lineare, quale che sia la sezione delle condutture, o l’ingombro dei cavi, o l’area occupata,
– la base imponibile del tributo va determinata tenendo conto dei due limiti costituiti, rispettivamente, dalla lunghezza del cavo, – con conseguenza indifferenza dei tratti che non siano effettivamente occupati, – e dalla lunghezza della strada (qualora quella del cavo risulti superiore, come nel caso di posa di più cavi o condutture parallele, o di realizzazione di “bretelle” di allacciamento laterali; così Cass., 22 febbraio 2002, n. 2555);
– ne consegue, altresì, che il concetto di rete di erogazione di pubblici servizi, cui il legislatore ha inteso attribuire un ruolo assorbente nella determinazione del particolare regime impositivo in esame, va inteso in senso unitario, con esclusione, pertanto, della possibilità di considerare (e di tassare) autonomamente i singoli segmenti di rete, – così come nella fattispecie la ricorrente assume essere avvenuto con riferimento ai distinti provvedimenti concessori, – e che gli arrotondamenti al chilometro, previsti dal citato D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 47, c. 2, debbono essere riferiti all’ultima frazione di rete che non raggiunga l’unità di misura minima (v. Cass., 22 febbraio 2002, n. 2555, cit., cui adde, ex plurimis, Cass., 20 ottobre 2008, n. 25479);
– laddove l’applicazione del criterio (cd. dell’utenza) che, nell’ipotesi di occupazione permanente, ha segnato il superamento, come detto, del règime incentrato sull’unità di misura del chilometro lineare, ha inteso rispondere «al fine di consentire una più agevole attività di quantificazione e di accertamento del tributo da parte dell’ente impositore» (così Cass., 20 maggio 2015, n. 10345);
4. – il d.lgs. n. 446 del 1997, art. 63, c. 3, ult. prop., – come sostituito dall’articolo 18, c. 2, della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (a decorrere dal 1° gennaio 2000), – dispone nei seguenti termini: «Dalla misura complessiva del canone ovvero della tassa prevista al comma 1 va detratto l’importo di altri canoni previsti da disposizioni di legge, riscossi dal comune e dalla provincia per la medesima occupazione, fatti salvi quelli connessi a prestazioni di servizi.»;
– come anticipato, anche con riferimento a detta disposizione il giudice del gravame è incorso in un travisamento dell’oggetto del giudizio rimarcando che, secondo l’interpretazione letterale di detta disposizione, gli altri canoni previsti dalla legge andavano detratti, così come avvenuto, «dal canone concessorio ovvero dalla T.», senza, con ciò, avvedersi che il canone in contestazione costituiva, – non il canone concessorio (C.) di cui allo stesso d.lgs. n. 446, cit., art. 63, c. 1, ma, – (proprio) uno degli «altri canoni previsti da disposizioni di legge» che, per l’appunto, andava detratto dall’importo della T.;
4.1 – secondo il delineato meccanismo, quindi, le prestazioni, di natura patrimoniale (C.), o tributaria (T.), – ad ogni modo incentrate, quanto ai presupposti del relativo titolo costitutivo, su di un’occupazione di spazi ed aree pubblici, – assumono forza, e natura, assorbente rispetto ad «altri canoni» che, – anch’essi avendo ad oggetto «la medesima occupazione», – risultino, così, riconducibili a presupposti costitutivi omogeneamente delineati dalle diverse disposizioni di legge e, dunque, non correlati alla prestazione di specifici servizi;
4.2 – nella giurisprudenza della Corte si è, quindi, rilevato che il canone per l’occupazione di spazi e aree pubblici dev’essere considerato come un quid ontologicamente diverso, sotto il profilo strettamente giuridico, dal tributo dovuto per la medesima occupazione (T.), in quanto il canone è configurato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici e non già dovuto per la sottrazione al sistema della viabilità di un’area o spazio pubblico (v., ex plurimis, Cass. Sez. U., 7 gennaio 2016, n. 61; Id., 28 ottobre 2015, n. 21950; Id., 30 marzo 2011, n. 7190; Id., 26 novembre 2008, n. 28161; v., altresì, Cass., 20 maggio 2020, n. 9240; Cass., 2 ottobre 2019, n. 24541);
– in tema di T., la Corte ha statuito che il presupposto impositivo va individuato, ai sensi degli artt. 38 e 39 del d.lgs. n. 507 del 1993, cit., nell’occupazione (di spazi ed aree pubblici) cui consegua un’effettiva sottrazione della superficie all’uso pubblico (v., ex plurimis, Cass. Sez. U., 7 maggio 2020, n. 8628; Cass., 1 giugno 2016, n. 11450; Cass., 3 giugno 2015, n. 11442; Cass., 7 marzo 2002, n. 3363); e, peraltro, si è rimarcato che il prelievo a carico dell’occupante, al di là della formale qualificazione come tassa, ha natura d’imposta, dato che prescinde da servizi resi dal concedente, non mira al recupero in tutto od in parte di costi, né comunque è ad essi commisurato, ma trova giustificazione nell’espressione di capacità contributiva rappresentata dal godimento di tipo esclusivo di spazi ed aree altrimenti comprese nel sistema della viabilità pubblica (v. Cass., 8 luglio 1998, n. 6666 cui acide, ex plurimis, Cass. Sez. U., 7 maggio 2020, n. 8628, cit.; Cass., 5 febbraio 2020, n. 2659; Cass. Sez. U., 7 gennaio 2016, n. 61, cit.; Cass., 22 marzo 2002, n. 4124; Cass., 19 maggio 1998, n. 4976; Cass., 14 gennaio 1998, n. 253);
– il canone non ricognitorio, disciplinato dal d.lgs. n. 285 del 1992, art. 27, è, a sua volta, fondato sull’uso o sull’occupazione delle strade, oggetto di concessione, e deve essere determinato avendo riguardo «alle soggezioni che derivano alla strada o autostrada, quando la concessione costituisce l’oggetto principale dell’impresa, al valore economico risultante dal provvedimento di autorizzazione o concessione e al vantaggio che l’utente ne ricava»; e, al riguardo, la giurisprudenza del Giudice amministrativo ha rilevato che l’imposizione del canone non ricognitorio si giustifica se, a fronte dell’uso singolare della risorsa stradale, di questa consegua una limitazione o modulazione nella possibilità dell’utilizzo pubblico e se, pertanto, l’utilizzo singolare sia destinato ad incidere in modo significativo sull’uso pubblico della risorsa viaria (v. Cons. di Stato, Sez. V, 19 febbraio 2020, n. 1248; Cons. Stato, sez. V, 15 maggio 2019, n. 3146; Cons. Stato, Sez. II, 10 gennaio 2018, n. 133; Cons. Stato, sez. V, 2 novembre 2017, n. 5071; Cons. Stato, Sez. V, 12 maggio 2016, n. 1926);
4.3 – in un siffatto contesto, – che, come reso esplicito dai dati di regolazione, connota in termini sostanzialmente omogenei i presupposti del titolo costitutivo delle prestazioni in discorso, di natura patrimoniale o tributaria, e massimamente con riferimento alla fattispecie delle occupazioni permanenti (realizzate con cavi, condutture, impianti o con qualsiasi altro manufatto) finalizzate all’erogazione di pubblici servizi o di attività strumentali ai servizi medesimi, già oggetto, come detto, di una disciplina di sostanziale favore, – la disciplina posta dal terzo comma dell’art. 63, cit., deve, in effetti, leggersi alla stregua di un assorbimento nelle prestazioni principali dovute (C. o T.) di ogni altro canone che, in quanto previsto per legge in relazione alla «medesima occupazione», – e, quindi, ad omogeni presupposti costitutivi (non incentrati sulla specifica prestazione di servizi), – non può essere richiesto in aumento di quelle prestazioni che, – così come condivisibilmente emerso nella giurisprudenza del giudice amministrativo (cfr. Cons. di Stato, Sez. V, 19 febbraio 2020, n. 1248, cit.; Cons. Stato, sez. V, 2 novembre 2017, n. 5071, cit.; Cons. Stato, II, 19 gennaio 2017, n. 120; v. altresì, ex plurimis, Tar Lombardia, 28 settembre 2020, n. 670; Tar Lombardia sez. II, 1 ottobre 2018, n. 927; Tar Lazio, Sez. I, 10 luglio 2017, n. 387), – operano, dunque, alla stregua di una soglia massima di prelievo con efficacia assorbente;
– conclusione, questa, che l’evoluzione della disciplina delle prestazioni in discorso ha, del resto, reso inequivoca, la I. 27 dicembre 2019, n. 160, art. 1, c. 816, avendo previsto che il canone, di nuova istituzione, deve considerarsi sostitutivo, – non solo della T. e del C., ma anche, – del «canone di cui all’articolo 27, commi 7 e 8, del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, limitatamente alle strade di pertinenza dei comuni e delle province», così che detto canone di nuova istituzione «è comunque comprensivo di qualunque canone ricognitorio o concessorio previsto da norme di legge e dai regolamenti comunali e provinciali, fatti salvi quelli connessi a prestazioni di servizi.»;
5. – l’impugnata sentenza va, pertanto, cassata con rinvio della causa, anche per la disciplina delle spese del giudizio di legittimità, alla stessa Corte di Appello di Catania che, in diversa composizione, procederà al riesame del merito della controversia attenendosi ai principi di diritto sopra esposti.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia la causa, anche per spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Catania, in diversa composizione.