CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 ottobre 2018, n. 24446
Imposte indirette – IVA – Accertamento – Deposito fiscale ex art. 50 bis del d.l. 30 agosto 1993, n. 331 – Importazione merci extra UE
Rilevato che
– con sentenza n. 291/29/2011 depositata in data 23 novembre 2011, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva l’appello proposto dalla Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di C.A. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso la sentenza n. 47/23/2010 della Commissione tributaria provinciale di Napoli, dichiarando, in riforma di quest’ultima, la legittimità di venti inviti al pagamento di Iva e altro, relativi agli anni di imposta 2004-2006, emessi dall’Agenzia delle dogane nei confronti della detta società;
– nell’accertamento impugnato i funzionari della dogana di Napoli avevano contestato l’utilizzo meramente virtuale del deposito fiscale ex art. 50 bis del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427 con riferimento alle merci extra UE importate attraverso i varchi doganali e avevano invitato la importatrice C.A. s.p.a., in solido con la S.A. s.p.a., quale gestore del deposito fiscale, a corrispondere la somma di euro 113.594,12 a titolo di IVA all’importazione evasa, oltre interessi di mora e spese di notificazione;
– la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, osservava che:
1) dai documenti doganali, di transito e dalle dichiarazioni dei trasportatori si evinceva che il trasporto delle merci era avvenuto direttamente al cliente destinatario della merce senza alcun passaggio presso il deposito Iva di Marcianise della S.A. s.p.a.; 2) l’autofatturazione dell’Iva interna non poteva compensare il mancato pagamento dell’Iva all’importazione in quanto il sistema di accertamento dei tributi era diverso; 3) la competenza dell’Agenzia delle dogane di Napoli 1° derivava dal fatto che le importazioni erano state effettuate presso il porto di Napoli, sezione Porto; 4) non era decorso il termine di triennale ex art. 84 del d.P.R. n. 43 del 1973 per la prescrizione del diritto al recupero dell’Iva, in quanto il mancato pagamento del tributo traeva origine dal reato di contrabbando e il procedimento penale a carico del responsabile del deposito fiscale Iva non si era ancora concluso in maniera irrevocabile alla data di notifica degli avvisi al pagamento in questione;
– avverso la sentenza della CTR, la C.A. s.p.a. propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, l’Agenzia delle dogane;
– la C.A. s.p.a. ha depositato “note integrative” con le quali ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, secondo comma, e dell’art. 380-bis. 1 cod. proc. civ., introdotti dall’art. 1 – bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.
Considerato che
– con il primo motivo, la ricorrente denuncia: 1) la violazione degli artt. 2697 c.c. e 24 Cost. per erronea valutazione da parte del giudice di appello degli elementi di prova acquisiti in ordine al transito delle merci presso il deposito Iva in Marcianise gestito dalla S.A. s.p.a; 2) la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio del transito delle merci importate presso il deposito fiscale;
– la CTR, a dire della ricorrente, non avrebbe esaminato tutte le dichiarazioni rese dai trasportatore G.T., da cui sarebbe emerso che la merce trasportata, o almeno parte, transitava presso il deposito della Salma in Marcianise per l’apertura delle porte dei containers, il cambio del piombo e la registrazione dei documenti;
– il motivo è inammissibile perché, come già ritenuto da questa Corte in casi sovrapponibili (Cass. n 16988 del 2016; n. 15995 del 2015, n. 16109 del 2015) la censura non è autosufficiente, là dove richiama le dichiarazioni del trasportatore T., senza allegare gli elementi dai quali si evinca che tali dichiarazioni siano state oggetto di discussione fra le parti, perché dedotte in primo grado e reintrodotte in appello;
– il motivo è altresì articolato su fatti privi di decisività;
– invero le dichiarazioni di T. riportate, che la società assume non siano state adeguatamente considerate dalla Commissione, riferiscono in generale soltanto sul transito e sulla breve sosta degli automezzi, per di più soltanto “qualche volta”, presso il deposito della ricorrente, non già sull’immagazzinamento o sullo stoccaggio nel deposito della merce trasportata per conto della C.A. s.p.a.
– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia: 1) la violazione e falsa applicazione dell’art. 70 del d.P.R. n. 633 del 1972 nonché dell’art. 50 bis, comma 6, del D.L. n. 331 del 1993, come convertito, per avere il giudice di appello erroneamente ritenuto, in spregio al principio di neutralità dell’Iva, non assolto il tributo mediante autofatturazioneall’atto dell’estrazione delle merci dal deposito Iva;
2) la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio dell’assolvimento dell’imposta mediante autofatturazione;
– il primo profilo del secondo profilo è fondato;
– in materia di depositi fiscali questa Corte ha affermato il principio secondo il quale «l’Amministrazione finanziaria non può pretendere il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione dal soggetto passivo che, non avendo materialmente immesso i beni nel deposito fiscale, si è illegittimamente avvalso del regime di sospensione di cui all’art. 50-bis, comma 4, lett. b), del d.l. n. 331 del 1993, conv., con modif., dalla L. n. 427 del 1993, qualora costui abbia già provveduto all’adempimento, sebbene tardivo, dell’obbligazione tributaria nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile mediante un’autofatturazione ed una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite, atteso che la violazione del sistema del versamento dell’IVA, realizzata dall’importatore per effetto dell’immissione solo virtuale della merce nel deposito, ha natura formale e non può mettere, pertanto, in discussione il suo diritto alla detrazione, come chiarito dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 17 luglio 2014, in C-272/13, a tenore della quale detta violazione può essere punita, in relazione allo scarto temporale tra la dichiarazione e l’autofatturazione, con una specifica sanzione per il ritardo – non fissa e che può consistere anche nel computo degli interessi di mora, purché sia rispettato il principio di proporzionalità – la cui adeguata determinazione, implicando un accertamento di fatto, compete al giudice di merito» (cfr., ex multis, Cass. n. 1327 del 2018; n. 12231 del 2017; v. anche Cass. n. 15988 e n. 17814 del 2015);
– va evidenziato che la CGUE, con la pronuncia del 17 luglio 2014, Equolund, in causa C-272/13, ha stabilito che «l’articolo 16, paragrafo 1, della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che subordini la concessione dell’esenzione dal pagamento dell’IVA all’importazione, prevista da tale normativa, alla condizione che le merci importate e destinate a un deposito fiscale ai fini dell’IVA siano fisicamente introdotte nel medesimo». La normativa italiana prevede appunto, per la sospensione d’imposta, l’introduzione fisica della merce nel deposito, come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis n. 10911 del 2016; n. 17815 e da n. 15987 a n. 15995 del 2015) e come riconosciuto dalla citata sentenza della CGUE («il legislatore italiano ha previsto che, al fine di poter beneficiare dell’esenzione dal pagamento dell’IVA all’importazione, il soggetto passivo abbia l’obbligo di introdurre fisicamente la merce importata nel deposito fiscale»). Tuttavia, come specificato nella medesima sentenza della CGUE, «la sesta direttiva deve essere interpretata nel senso che, conformemente al principio di neutralità dell’IVA, essa osta ad una normativa nazionale in forza della quale uno Stato membro richiede il pagamento dell’IVA all’importazione sebbene la medesima sia già stata regolarizzata nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile, mediante un’autofatturazione e una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite del soggetto passivo» ;
– nella specie, la CTR non si è attenuta ai suddetti principi per non avere, a fronte dell’accertamento della mancata fisica introduzione della merce nel deposito fiscale e della avvenuta autofatturazione, dato rilevanza all’adempimento, sebbene tardivo, dell’obbligazione tributaria nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile;
– l’accoglimento del primo profilo del secondo motivo, comporta l’assorbimento del secondo profilo;
– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia: 1) la violazione dell’art. 50 bis, comma 5, del D.L. n. 331 del 1993 per avere erroneamente il giudice di appello ritenuto territorialmente competente ad emettere gli inviti al pagamento l’Ufficio delle dogane di Napoli 1 in luogo dell’Ufficio delle dogane di Caserta, quale esercente il controllo sul “deposito Iva” gestito dalla S.A. s.p.a. in Marcianise; 2) la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio della competenza territoriale dell’Ufficio delle dogane emittente gli inviti al pagamento in questione;
– il motivo è infondato;
– ai fini della trattazione della dedotta questione della “incompetenza territoriale” dell’Agenzia delle dogane di Napoli 1 in luogo dell’Ufficio delle dogane di Caserta, quale esercente il controllo sull’assunto deposito fiscale, è necessario preliminarmente chiarire l’ambito della “competenza funzionale” in capo all’Agenzia delle dogane in ordine alla riscossione dell’Iva all’importazione;
– si osserva che, fini dell’importazione definitiva, occorre adempiere non soltanto i dazi, ma anche gli altri diritti di confine, tra i quali si annovera l’iva all’importazione (art. 34 del d.P.R. 43/73); l’iva all’importazione condivide, peraltro, con i dazi la caratteristica di trarre origine dal fatto dell’importazione nell’Unione e della susseguente introduzione nel circuito economico degli Stati membri (Corte giust. 11 luglio 2013, in causa C-272/12, Harry Winston SA, punto 41), con la conseguenza che fatto generatore ed esigibilità dell’iva all’importazione sono collegati a quelli dei dazi, pur rimanendo da questi distinti (Cass. n. 16463 del 2016);
– questa Corte (da ultimo, Cass. n. 16463 del 2016 cit.) ha già chiarito che, l’iva all’importazione non colpisce esclusivamente il prodotto importato in quanto tale, ma s’inserisce nel sistema fiscale uniforme dell’iva, che colpisce, sistematicamente e secondo criteri obiettivi, sia le operazioni degli Stati membri, sia quelle all’importazione (Corte giust. 5 maggio 1982, causa C – 15/81, Schul, punto 21): ne consegue che, come emerge anche dalla sentenza Equoland della Corte di giustizia, l’iva all’importazione e l’iva intracomunitaria costituiscono la medesima imposta, soltanto che, l’iva all’importazione è segnata da specificità procedimentali e sanzionatone, correlate al meccanismo dell’importazione:
– sul piano procedimentale, l’iva alle importazioni va versata per effetto ed in occasione di ciascuna importazione (giusta l’art. 70 del d.P.R. n. 633/72), al momento dell’accettazione della dichiarazione in dogana ed il relativo obbligo incombe sul dichiarante, oltre che, in caso di rappresentanza indiretta, sulla persona per conto della quale è presentata la dichiarazione in dogana (art. 201 del reg. n. 2913/92); l’iva “intracomunitaria” relativa alle merci introdotte nel deposito fiscale va assolta al momento dell’estrazione mediante il meccanismo dell’inversione contabile ed a cura del cessionario o committente;
– su quello sanzionatorio, l’applicabilità, in caso di violazioni concernenti l’iva all’importazione, delle sanzioni contemplate dalle leggi doganali relative ai diritti di confine (art. 70, 1° comma, secondo nucleo normativo) è giustificata dalla diversità degli elementi costitutivi dell’infrazione (l’iva è riscossa all’atto dell’ingresso fisico del bene nel territorio dello Stato membro interessato, indipendentemente dallo scambio), che determina maggiore difficoltà a scoprirla (Corte giust. in causa C-299/86, punto 22);
– occorre, a tal punto, precisare che, ai sensi dell’art. 63 del d.lgs. n. 300 del 1999, l’Agenzia delle dogane è funzionalmente competente in ordine ai diritti doganali e alla «fiscalità interna agli scambi internazionali», nel cui ultimo ambito rientra anche la riscossione dell’Iva all’importazione, all’interno degli spazi doganali, allorquando l’immissione in libera pratica e l’immissione al consumo coincidano;
– nel caso di mancata coincidenza dell’immissione in libera pratica con l’immissione al consumo, l’art. 50 bis del d.l. n. 331 del 1993, introdotto dalla legge n. 28 del 1997, disciplina i “depositi Iva” (sono, altresì, considerati “depositi Iva” i depositi fiscali per i prodotti soggetti ad accisa e i depositi doganali) che, con riguardo ai beni ivi custodi bili (nazionali, comunitari e non comunitari preventivamente immessi in libera pratica), comportano il differimento della riscossione dell’imposta al momento della estrazione di questi ultimi (e dunque della loro immissione al consumo); la competenza in ordine al controllo sulla “gestione” dei “depositi Iva” è demandata all’ufficio doganale o all’ufficio tecnico di finanza che già esercita la vigilanza sull’impianto ovvero, nei casi di cui al comma 2, all’ufficio delle entrate indicato nell’autorizzazione; in particolare, mentre spetta all’Ufficio doganale che già esercita la vigilanza sull’impianto, la competenza ad accertare, tra l’altro, le irregolarità connesse all’immissione in libera pratica di merci non comunitarie, individuabili dal riscontro della documentazione contabile in sede di controllo presso il deposito Iva, spetta all’Agenzia delle entrate la competenza a recuperare l’Iva “intracomunitaria”, al momento dell’estrazione della merce dal deposito Iva, per indebite detrazioni operate con il sistema dell’autofatturazione, in violazione dell’art. 50 bis, comma 6, – pertanto, è funzionalmente competente: 1) ai sensi dell’art. 63 del d.lgs. n. 300 del 1999, l’Agenzia delle dogane allorquando l’atto impositivo si fondi, in base alla prospettazione della stessa Agenzia, sulla supposta evasione dell’Iva all’importazione non corrisposta in dogana, al momento dell’importazione, all’interno degli spazi doganali (ad es. per una infedele dichiarazione del contribuente nella bolletta doganale circa la destinazione della merce importata); 2) ai sensi dell’art. 50 bis, comma 5, del d.l.n. 331 del 1993, l’ufficio doganale che già esercita il controllo sulla gestione dei “depositi Iva” nel caso di riscontrate irregolarità nell’utilizzo del “deposito Iva” in base alla documentazione contabile verificata presso il medesimo deposito, prima della estrazione delle merci; 3) ai sensi degli artt. 62 del d.lgs. n. 300 del 1999 e 50bis del d.l. n. 331 del 1993, l’Agenzia delle entrate nel caso di estrazione delle merci in violazione delle disposizioni di cui all’art. 50 bis comma sesto, cit.)
– quindi, mentre l’Agenzia delle dogane è funzionalmente competente al recupero dell’Iva all’importazione sia nel caso di coincidenza dell’immissione in libera pratica con l’immissione al consumo (al momento del passaggio in dogana presso gli uffici doganali, incluse le ipotesi di contestata evasione di imposta non corrisposta in dogana per assunta mancata utilizzazione dei “depositi Iva” – utilizzo c.d. virtuale – in base ad una asserita infedele dichiarazione nelle bollette doganali circa l’effettiva destinazione della merce importata) che in quello di mancata coincidenza dell’immissione in libera pratica con l’immissione al consumo (nell’ipotesi di riscontrata irregolarità nella gestione degli utilizzati “depositi Iva” fino al momento della estrazione delle merci da questi ultimi), l’Agenzia delle entrate è funzionalmente competente alla riscossione dell’Iva “intracomunitaria”, in caso di mancata coincidenza dell’immissione in libera pratica con l’immissione al consumo, all’atto della estrazione delle merci dai “depositi Iva”, nell’ipotesi di riscontrate indebite detrazioni operate con il sistema dell’autofatturazione, non trattandosi più di «fiscalità interna negli scambi internazionali»;
– premessa questa chiarificazione in ordine all’ambito della competenza funzionale in capo all’Agenzia delle dogane, all’IVA all’importazione in virtù del rinvio operato dall’art. 70 del d.P.R. n. 633 del 1972, si applicano le norme sui «diritti di confine» per l’accertamento e la riscossione (artt. da 3 a 8 e da 10 a 17 del d.lgs. n. 374 del 1990 e d.P.R. n. 43 del 1973), nonché per le modalità di pagamento, termini di adempimento, effetti del ritardo nel pagamento, interessi moratori, prescrizione del credito doganale, rimborsi, sanzioni;
– tutta la normativa in materia prevede o presuppone, per ogni attività o situazione considerata, una precisa dogana competente per territorio, individuabile in ragione di un criterio di collegamento esplicitamente o implicitamente indicato, per le diverse ipotesi, dalla medesima legislazione, e corrispondente, in linea generale, al luogo in cui si è radicato un rapporto ovvero è sorta un’obbligazione o è accaduto un fatto (v., tra i numerosi esempi possibili, i luoghi di arrivo delle merci, oppure di uscita, quelli di imbarco ovvero di sbarco, o anche quelli dove è stata commessa una infrazione, ripetutamente considerati dalle norme in materia per indicare le dogane competenti territorialmente a compiere o ricevere determinati atti), con la conseguenza che un’attività espressamente considerata e regolamentata dal legislatore non può essere, salvo espresse previsioni in contrario, compiuta da (o presso) qualunque ufficio doganale competente per materia dislocato sul territorio nazionale, ostandovi non solo i principi generali sopra esposti ed i principi costituzionali di efficienza, buon andamento e ragionevolezza ai quali deve essere improntata l’attività amministrativa, ma anche il sistema delineato dalle disposizioni legislative applicabili, che prevede espressamente la competenza territoriale delle varie dogane e comunque regolamenta la diverse attività e situazioni anche nel presupposto di una distribuzione della competenza tra i vari uffici territoriali (Cass. n. 14786, n. 14787, n. 14788, n. 14789, 14790 e 14791 del 2011, sulla “competenza territoriale” quanto alla revisione dell’accertamento divenuto definitivo in capo alla dogana presso la quale è sorta l’obbligazione tributaria, ossia la dogana dove si sono svolte le operazioni di importazione);
– nella specie, il giudice a quo – trattandosi di una contestazione dell’Ufficio doganale circa l’evasione dell’imposta non corrisposta in dogana, al momento dell’importazione, in base ad una assunta infedele dichiarazione nelle bollette doganali circa la effettiva destinazione della merce importata – pur richiamando impropriamente l’art. 50 bis, comma 5, del d.l. n. 331 del 1993 – ha correttamente disatteso l’eccezione di “incompetenza territoriale” per essere competente ad emettere gli inviti al pagamento (della supposta Iva all’importazione non versata al momento dell’importazione) il medesimo Ufficio doganale che aveva curato le operazioni di importazione, dalle quali era originata l’obbligazione di pagamento dei “diritti di confine”;
– con il quarto motivo, la ricorrente denuncia: 1) la violazione degli artt. 221, 3° paragrafo del Codice Doganale Comunitario e dell’art. 84, comma 1, del d.P.R. n. 43 del 1973, per non avere il giudice a quo rilevato il decorso, alla data di notifica degli inviti al pagamento, del termine triennale per la prescrizione del diritto al recupero dell’Iva non pagata per l’anno 2004; 2) la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio quale il decorso del termine triennale per la prescrizione del diritto al recupero dell’Iva non versata; il motivo è inammissibile;
– premesso che, con riferimento all’art. 221, comma 3 del Reg. CEE 2913/92, e dell’art. 84 del d.P.R. n. 43 del 1973, la giurisprudenza di questa Corte ha, invero, più volte affermato, che l’azione di recupero “a posteriori” dei dazi all’importazione o all’esportazione non può essere avviata – in via di principio – dopo la scadenza del termine di tre anni dalla data di contabilizzazione dell’importo originariamente richiesto o, se questa non ha avuto luogo, dalla data di insorgenza del debito doganale; nondimeno, la comunicazione al debitore dell’importo dovuto può avvenire anche dopo tale termine triennale – che è, pertanto, in tal caso prorogato – nella sola ipotesi in cui la mancata determinazione del dazio sia avvenuta a causa di un atto perseguibile penalmente, senza che tale proroga possa ritenersi esclusa né dalla mancata emersione nel corso delle indagini penali di notizie che l’Amministrazione non avrebbe potuto ottenere avvalendosi dei propri poteri istruttori, né in ragione dell’esito del procedimento penale. E tuttavia, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la menzionata proroga del termine di prescrizione, che verrebbe – in tale ipotesi – a decorrere dalla data del provvedimento penale definitivo, richiede pur sempre che, nel corso del termine di prescrizione e non dopo la sua scadenza, sia trasmessa all’autorità giudiziaria la “notizia criminis”, primo atto esterno prefigurante il nodo di commistione tra fatto reato e presupposto di imposta, destinato ad essere sciolto all’esito del giudizio penale (cfr., in termini, Cass. n. 11642 del 2013; n. 8321 del 2012; n. 22014 del 2006); tanto premesso, nella specie, la ricorrente, in difetto del principio di autosufficienza, non ha trascritto né gli inviti al pagamento in relazione ai quali invoca la prescrizione del diritto all’esazione né ha riportato il ricorso originario in merito a tale eccezione, al fine di consentire a questa Corte di verificare la fondatezza del motivo, senza dovere accedere a fonti esterne al ricorso (ciò quanto alla data di insorgenza del debito doganale e, dunque, alla data precisa delle importazioni nonché alla data di iscrizione nel registro delle notizie di reato della notitia criminis, relativa ai fatti per cui è causa);
– in conclusione, va accolto il primo profilo del secondo motivo, assorbito il secondo profilo del secondo motivo, rigettato il terzo motivo, dichiarati inammissibile il primo e il quarto, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla CTR della Campania in altra composizione per nuovo esame alla luce dei principi espressi e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo profilo del secondo motivo, assorbito il secondo profilo del secondo motivo; rigetta il terzo motivo; dichiara inammissibili il primo e il quarto, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, in diversa composizione.
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