CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 ottobre 2018, n. 24454
Imposte indirette – IVA – Prestazioni rese nei confronti di enti pubblici – Tardivo versamento – Sanzioni
Rilevato che
1. con sentenza n. 05/14/10 del 25/01/2010 la CTR della Emilia Romagna riformava la sentenza n. 71/01/09 della CTP di Modena, che aveva rigettato il ricorso della A.I. s.r.l. (d’ora in poi solo A.) avverso l’irrogazione della sanzione per tardivo versamento dell’imposta IVA a seguito di prestazioni rese nei confronti di enti pubblici;
1.1. il giudice di appello premetteva che: a) la CTP aveva rigettato il ricorso della A. affermando che per valutare la tardività ai fini della sanzione rileva il momento della registrazione del pagamento e che l’esigibilità del bonifico non decorre dalla sua comunicazione ma dalla sua concreta riscossione; b) la sentenza della CTP era impugnata dalla A.;
1.2. su queste premesse, la CTR motivava l’accoglimento dell’appello come segue: a) ai sensi dell’art. 6, quinto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 «il momento della insorgenza del debito d’imposta e la esigibilità del tributo vengono differiti al momento dell’incasso del corrispettivo pattuito, con obbligo per il cedente di effettuare l’operazione nel periodo d’imposta nel quale è avvenuto l’incasso»; b) il momento rilevante al quale la norma ricollega l’obbligo di versamento dell’imposta è quello della concreta riscossione del pagamento, non riscontrabile agli atti del giudizio, e, poiché l’Ufficio aveva fatto decorrere l’irrogazione della sanzione dalla data di emissione del bonifico, la sentenza andava annullata; c) la sentenza impugnata indicava per la verifica del ritardo la registrazione del pagamento, con contrasto tra motivazione e dispositivo e l’Ufficio, non impugnando la motivazione della sentenza sul punto, aveva determinato il passaggio in giudicato della stessa, con conseguente necessità di annullare l’atto di irrogazione della sanzione anche per questa ragione;
2. l’Agenzia delle entrate impugnava la sentenza della CTR con tempestivo ricorso per cassazione, affidato a tre motivi;
3. la A. resisteva con controricorso.
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 5, del d.P.R. n. 633 del 1972, dell’art. 1182, terzo comma, cod. civ. e dell’art. 3 del d.P.R. 10 febbraio 1984, n. 21, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.;
1.1. in buona sostanza, si sostiene che l’espressione «pagamento dei corrispettivi» di cui al citato art. 6, comma 5, del d.P.R. n. 633 del 1972 non equivale a riscossione dello stesso, dovendosi applicare la disciplina in vigore per i pagamenti degli enti pubblici, che prevede che l’estinzione del debito si verifica al momento dell’emissione del mandato di pagamento e, in caso di bonifico bancario, al momento dell’emissione del bonifico;
2. il motivo non è fondato;
2.1. l’art. 6, comma 5, del d.P.R. n. 633 del 1972, nella parte che interessa, così recita: «L’imposta relativa alle cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi diviene esigibile nel momento in cui le operazioni si considerano effettuate secondo le disposizioni dei commi precedenti e l’imposta è versata con le modalità e nei termini stabiliti nel titolo secondo. Tuttavia (…) per le cessioni (…) fatte allo Stato, agli organi dello Stato ancorché dotati di personalità giuridica, agli enti pubblici territoriali e ai consorzi tra essi costituiti ai sensi dell’articolo 25 della legge 8 giugno 1990, n. 142, alle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, agli istituti universitari, alle unità sanitarie locali, agli enti ospedalieri, agli enti pubblici di ricovero e cura aventi prevalente carattere scientifico, agli enti pubblici di assistenza e beneficenza e a quelli di previdenza, l’imposta diviene esigibile all’atto del pagamento dei relativi corrispettivi, (…)»;
2.2. la ratio legis di quella che è chiaramente una norma di favore per chi contratta con soggetti pubblici specificamente individuati si rivela sufficientemente chiara nel senso di porre il cedente il più possibile al riparo dai ritardi e dagli altri impedimenti nell’esecuzione dei pagamenti che la normativa contabile degli enti pubblici cessionari può talvolta comportare, affine di evitare che il primo debba fatturare l’operazione e pagare l’imposta relativa fin dal momento della consegna o spedizione, mentre l’incasso del corrispettivo potrebbe intervenire a notevole distanza di tempo (cfr. la motivazione di Cass. n. 20540 del 22/09/2006);
2.3. si tratta di una ratio legis che, del resto, si pone perfettamente in linea con l’attuale linea della Commissione UE che, in attuazione della direttiva n. 2011/7/UE del 16 febbraio 2011 relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, persegue con molto rigore una politica di riduzione dei tempi di adempimento della pubblica Amministrazione e ha deciso di deferire l’Italia alla Corte di giustizia per non aver garantito il pagamento dei fornitori nei termini previsti dalla menzionata direttiva;
2.4. la sentenza della CTR ha colto appieno il fondamento della disposizione normativa e ha, di conseguenza, correttamente ritenuto che con l’espressione «pagamento dei corrispettivi» ci si volesse rivolgere propriamente all’incasso delle somme da parte del cedente (in questo senso, pur se in un obiter dictum, si veda anche Cass. n. 16662 del 29/07/2011) e non già al momento della formale estinzione dell’obbligazione secondo le regole di contabilità di stato richiamate dalla difesa erariale, che determinerebbe un intuibile arretramento della tutela apprestata dal legislatore;
2.5. del resto, una simile interpretazione è più rispondente all’accezione civilistica di adempimento dell’obbligazione che, come noto, in caso di bonifico bancario necessita che il creditore entri nella materiale disponibilità del denaro (cfr. Cass. n. 149 del 10/01/2003; si veda anche Cass. n. 18877 del 10/07/2008);
2.5. va, dunque, enunciato il seguente principio di diritto: «nel caso di cessioni allo Stato e agli enti pubblici previsti dall’art. 6, comma 5, del d.P.R. n. 633 del 1972, il termine per il versamento dell’IVA decorre dalla data di effettivo incasso del corrispettivo da parte del cedente e non dalla data di emissione del mandato di pagamento o del bonifico bancario da parte del cessionario. La menzionata disposizione contiene, infatti, una norma di favore a beneficio di coloro che contrattano con soggetti pubblici e che intende metterli al riparo da eventuali ritardi nell’esecuzione dei pagamenti, già oggetto di specifica regolamentazione da parte della disciplina eurounitaria (direttiva n. 2011/7/UE del 16/02/2011)».
3. con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., evidenziando che la sentenza della CTR sarebbe viziata per ultrapetizione, avendo deciso la causa sulla base di un contrasto tra motivazione e dispositivo della sentenza della CTP mai sollevato dalla A. e con riferimento ad una data di riscossione del bonifico di cui nessuna parte ha fatto menzione;
4. il motivo è infondato;
4.1. in primo luogo, va sottolineato che, indipendentemente da qualsiasi denuncia del contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza della CTP ad opera della A., tale circostanza è stata messa in risalto dalla CTR senza che la stessa vada a costituire un’autonoma ratio decidendi;
in altri termini, la CTR non ha annullato la sentenza di prime cure in ragione dell’evidenziato contrasto, sicché sotto questo profilo non è certo incorsa nel denunciato vizio;
4.2. quanto poi alla individuazione della data di riscossione del bonifico bancario quale termine di decorrenza per il versamento dell’IVA, essa certamente costituisce il fondamento principale della decisione della CTR, ma non si può certo configurare sulla questione un vizio di ultrapetizione, essendo stata la stessa oggetto di specifica censura: quando la A. propone come termine di decorrenza la data di comunicazione del bonifico al beneficiario ovvero la data di valuta intende sottoporre al giudice un criterio di individuazione del termine di decorrenza dell’imposta diverso da quello indicato dall’Ufficio e il giudice di merito è libero nell’interpretazione della disposizione di legge applicabile;
5. con il terzo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 343 cod. proc. civ. e dell’art. 54 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., evidenziando che, diversamente da quanto ritenuto dalla CTR, l’Ufficio non ha alcun onere di proporre appello incidentale avverso una sentenza della CTP in cui è risultato interamente vincitore;
6. il motivo resta assorbito dal rigetto del primo motivo;
6.1. con tale motivo l’Agenzia delle entrate censura la seconda ratio decidendi che sorregge la sentenza della CTR, fondata sull’asserito passaggio in giudicato di un’affermazione contenuta nella sentenza della CTP e relativa alla circostanza che la tardività del pagamento dell’IVA deve essere valutata con riferimento alla registrazione del pagamento;
6.2. tuttavia, il rigetto del primo motivo implica all’evidenza una carenza di interesse della parte ricorrente all’esame di questo motivo;
7. in conclusione il ricorso va rigettato; la relativa novità della questione di diritto affrontata giustifica la compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio.
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