CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 ottobre 2021, n. 26917
Tributi – Imposta di registro – Sentenza di assegnazione di beni ad un condividente
Fatti di causa
G.B. impugnava, innanzi alla CTP di Chieti, l’avviso di liquidazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, con irrogazione di sanzioni, emesso dall’Agenzia delle Entrate a seguito della registrazione della sentenza n. 29/2013 del Tribunale di Chieti che, definendo il giudizio divisorio nel quale la contribuente era parte in causa, aveva dichiarato la comunione ereditaria del de cuius L. B. ed attribuiti, per l’intero, a G.N. le unità immobiliari e nel contempo disposto il versamento, a titolo di conguaglio, della somma di € 145.475,87, a favore dell’altra condividente.
L’adito giudice tributario respingeva il ricorso disattendendo le ragioni esposte dalla contribuente e la decisione, appellata dalla parte privata, veniva riformata dalla CTR dell’Abruzzo, con sentenza n. 466, depositata il 24/5/2017.
Il giudice di secondo grado ha condiviso la doglianza formulata dalla contribuente, secondo cui “poiché il conguaglio da lei ottenuto corrisponde alla propria quota (25%) ereditaria senza eccedenza superiore al 5%, si sarebbe dovuta applicare la tassazione relativa agli atti di divisione non quella relativa agli atti di trasferimento, mentre l’imposta in misura proporzionale, relativa agli atti di vendita, sarebbe dovuta “nei limiti dell’eccedenza della quota spettante ai condividenti sulla comunione”, ipotesi qui insussistente.
Per la cassazione della predetta sentenza l’Agenzia delle Entrate ricorre, con due motivi; resiste la contribuente con controricorso e deposita memoria.
Ragioni i della decisione
La ricorrente deduce, con il primo mezzo d’impugnazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n.4, c.p.c., nullità della sentenza per motivazione apparente e violazione degli art. 36, co.2, e 61, d.lgs. n. 546 del 1992, 132, comma 4, c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., perché la CTR non ha centrato la questione controversa consistente nella esatta individuazione della nozione di conguaglio, limitandosi a riprodurre la motivazione della prima sentenza.
Deduce, con il secondo mezzo d’impugnazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 34, commi da 1 a 3, d.p.r. n. 131 del 1986, 8, co. 1, lett. a), Tariffa, Parte Prima, allagata al d.p.r. citato, perché la CTR non ha considerato che qualora ad un condividente vengano assegnati beni dal valore superiore al 5% della quota di diritto spettante, come accaduto nella specie alla N., ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, l’eccedenza costituisce una vendita ed è assoggettata per intero all’aliquota più gravosa prevista per gli atti traslativi. Erra, pertanto, il giudice di appello nel ritenere applicabile l’aliquota (1%) prevista per gli atti di divisione per la parte corrispondente alla quota spettante diritto alla B., atteso che a fronte di un asse ereditario costituito di soli immobili, per un valore complessivo di C 577.112,11, ed alla assegnazione di tutti i cespiti alla coerede G.N., cui sarebbe spettata per diritto la quote del 75%, l’Ufficio ha correttamente provveduto ad assoggettare a tassazione proporzionale con l’aliquota prevista per i trasferimenti, il relativo conguaglio in denaro di € 145.475,87, a favore dell’altra coerede, G. B., cui spettava di diritto la quota del 25% della massa comune.
La prima censura è infondata.
La ricorrente lamenta la nullità della sentenza impugnata per vizio assoluto di motivazione, in quanto meramente apparente, essendo necessario che si dia conto delle argomentazioni delle parti e delle argomentazioni della pronuncia oggetto del gravame. E’ appena il caso di richiamare l’insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte, secondo cui la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, allorquando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, cioè tali da lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. 19/06/2018, n. 16159 [p. 7.2.], che menziona Cass. Sez. U. 03/11/2016, n. 22232; conf.: Cass. Sez. U. nn. 22229, 22230, 22231, del 2016. I medesimi concetti giuridici sono espressi da Cass. Sez. U. 24/03/2017, n. 766; Cass. Sez. U. 09/06/2017, n. 14430; Cass. Sez. U. 18/04/2018, n. 9557).
Ancor più di recente, le Sezioni unite (Cass. Sez. U. 27/12/2019, n. 34476 (che cita, in motivazione, Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 18/04/2018, n. 9558; Cass. Sez. U. 31/12/2018, n. 33679) hanno avuto modo di ribadire che “nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione“.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, il giudice d’appello, seppure in forma succinta, specifica le ragioni della propria decisione, divergenti da quelle della pronuncia di primo grado, richiama l’art. 34, d.p.r. n. 131 del 1986 e rileva che, alla luce della disposizione, si considerano conguagli “solo le somme che la parte riceve in eccedenza rispetto alla propria quota ereditaria” e che “se il conguaglio è nei limiti della quota spettante la causa dell’operazione resta la divisione dei valori astrattamente spettanti a ciascuno; e ciò anche se il conguaglio avviene con beni estranei all’asse ereditario”.
La seconda censura è fondata.
Alla condividente N. sono stati assegnati – in natura – tutti gli immobili facenti parte del compendio ereditario, per un valore oltremodo eccedente rispetto alla quota di diritto alla medesima N. spettante (75% della massa comune).
Ne discende che trova applicazione l’aliquota di vendita limitatamente alla parte in eccedenza rispetto alla quota, come correttamente ritenuto dall’Ufficio nella liquidazione dell’imposta (Cass. n. 17866/2010; n. 20119/2012; n. 17512/2017).
La Corte (Cass. n. 27409/2020) ha avuto modo di chiarire che il dato rilevante, ai fini qui considerati, è il superamento della quota spettante di diritto a taluno dei condividenti, che porta l’operazione divisionale fuori dello schema, di natura dichiarativa, proprio dello scioglimento della comunione, natura che giustifica la minore intensità della imposizione.
La concreta misura del conguaglio rappresenta, invece, un dato per così dire “neutro”, atteso che ai fini del trattamento tributario previsto dall’art. 34, d.p.r. n. 131 del 1986, “per ogni ipotesi di divisione in cui i condividenti ricevano beni di valore non corrispondente (quindi, maggiore o minore rispetto) a quello delle rispettive quote sulla massa comune, non rileva affatto che tale differenza di valore formi oggetto dell’assunzione di un’obbligazione pecuniaria con funzione compensativa a carico di chi riceve di più ed a favore di chi riceve di meno, ovvero di una rinunzia (con o senza corrispettivo) da parte di chi riceve di meno alla corresponsione di un equivalente pecuniario da parte di chi riceve di più”.
I condividenti, inoltre, sono tenuti in via solidale al pagamento delle imposte, ai sensi dell’art. 57, comma 1, d.p.r. n. 131 del 1986, che fissa la regola per cui “Oltre ai pubblici ufficiali, che hanno redatto, ricevuto o autenticato l’atto, e ai soggetti nel cui interesse fu richiesta la registrazione, sono solidalmente obbligati al pagamento dell’imposta le parti contraenti, le parti in causa, coloro che hanno sottoscritto o avrebbero dovuto sottoscrivere le denunce di cui agli articoli 12 e 19 e coloro che hanno richiesto i provvedimenti di cui agli articoli 633, 796, 800 e 825 del codice di procedura civile.” (Cass. n. 20763/2019, n. 3532/2014).
La Commissione tributaria regionale non ha fatto corretta applicazione di tale principio avendo, al contrario, affermato, al fine di escludere l’imposizione, che quel che rileva è che il conguaglio ottenuto alla contribuente non determinasse uno scostamento superiore al cinque per cento rispetto alla quota di spettanza.
La sentenza va cassata e non essendo necessari ulteriori accertamenti la causa può essere decisa con il rigetto dell’originario ricorso della contribuente.
Le spese processuali dei gradi di merito, attesa l’evoluzione della vicenda processuale, sono compensate tra le parti mentre quelle del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta l’originario ricorso della contribuente che condanna al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in € 2.200,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese prenotate a debito. Compensa le spese dei gradi di merito.