CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 settembre 2019, n. 22212
Partecipazioni azionarie – Rivalutazione – Versamento imposta sostitutiva – Istanza di rimborso
Rilevato che
1. F.S., A.S. e F.S., titolari di partecipazioni azionarie nella P.s.p.a., si avvalevano, ai sensi dell’art. 5 legge 448/2001, della facoltà di procedere alla rivalutazione azionaria, all’1-1-2002, con stima del perito, con contestuale versamento dell’imposta sostitutiva. Il valore del capitale sociale era fissato ad € 6.000.000, sicché il versamento era di € 241.411,00, suddiviso in tre rate. Successivamente i S., titolari di quote della trasformata P. s.r.l., si avvalevano della nuova facoltà di rivalutazione consentita dall’art. 1 comma 91 della legge 244/1997, con stima della partecipazione per € 2.900.000 all’1-1-2008 e con il versamento della somma di € 49.590,00.
I contribuenti, quindi, versavano la prima rata dell’imposta sostitutiva, ma presentavano contestualmente, in data 15-12-2008, istanza di rimborso delle somme versate a seguito della prima rivalutazione effettuata.
2. A seguito del rigetto dell’istanza di rimborso, i contribuenti proponevano ricorso deducendo che in data 30-6-2008 avevano versato la prima delle tre rate relative all’imposta sostitutiva per il nuovo affrancamento, che i versamenti effettuati il 13-12-2002 ed il 16-12-2003 non erano viziati all’origine da alcun errore, ma la duplicazione si era verificata per effetto dell’adesione dei ricorrenti alla seconda rivalutazione, sicché solo dal pagamento della prima rata della seconda rivalutazione, in data 30-6-2008, decorreva il termine di 48 mesi per la presentazione della domanda di rimborso di cui all’art. 38d.p.r.602/1973. Tra l’altro, la normativa non consentiva all’epoca la possibilità di compensazione dei versamenti dovuti per la prima e la seconda rivalutazione.
3. La Commissione tributaria provinciale di Milano accoglieva parzialmente i ricorsi dei contribuenti, escludendo il rimborso solo per le rate per le quali era già maturata la decadenza.
4. I contribuenti proponevano appello per l’accoglimento integrale delle loro richieste, rilevando che l’art. 7 comma 2 lettere dadd) a gg) deld.l. 70/2011, oltre ad avere “riaperto” i termini per effettuare la rideterminazione del costo di acquisto delle partecipazioni, possedute al 1° gennaio 2011, aveva anche consentito la possibilità di chiedere a rimborso, entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge (entro il 14-5-2012) i versamenti effettuati entro il 14-5-2011 in relazione a partecipazioni oggetto di “doppia rivalutazione”.
5. Proponeva appello incidentale l’Agenzia delle entrate, in quanto il rimborso della somma di € 82.815,00, versata il 16-12-2004, non era dovuto, essendo il versamento effettuato a seguito della seconda rivalutazione (€ 49.590,00) di importo inferiore rispetto al versamento effettuato nel 2002 ,a seguito della prima rivalutazione. Secondo la circolare 47/E della Agenzia delle entrate, l’importo del rimborso non poteva essere superiore all’importo dovuto in base all’ultima rideterminazione del valore effettuata.
6. La Commissione tributaria regionale accoglieva gli appelli riuniti dei contribuenti in ordine al rimborso di tutte le somme già versate con la prima rivalutazione e rigettava l’appello incidentale proposto dall’Ufficio. L’art. 7 deld.l.70/2011, infatti, aveva consentito la possibilità di chiedere il rimborso dei versamenti effettuati entro il 14-5-2011 in relazioni a partecipazioni oggetto di doppia rivalutazione. La prima rivalutazione, dunque, era come se non esistesse, anche nel caso in cui il valore su cui era stata calcolata la seconda rivalutazione faceva scaturire una imposta inferiore alla prima. Applicava, poi, la disciplina sulla ripetizione di indebito.
7. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.
8. Resiste con controricorso F.S., depositando memoria scritta.
9. Restano intimati A.S. e F.S..
Considerato che
1. Con un unico motivo di ricorso, che concerne solo F.S., l’Agenzia delle entrate deduce “art. 360, 1 comma, n. 3c.p.c.: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7, comma 2,lett. dd), ff) d.l. 13-5-2011, conv. Legge 106/2011”, in quanto l’art. 7 del d.l. 70/2011 ha consentito, in caso di doppia rivalutazione dei valori delle partecipazioni possedute, non solo di detrarre l’imposta sostitutiva dovuta, ma anche di presentare istanza di rimborso dell’imposta già pagata ai sensi dell’art. 38 d.p.r. 602/1973. Tale disposizione ha carattere retroattivo perché concerne anche i versamenti già effettuati alla data di entrata in vigore del decreto legge. Tuttavia, l’art. 7 del d.l. 70/2011, alla lettera ff prevede che l’importo del rimborso non può essere comunque superiore all’importo dovuto in base all’ultima rideterminazione del valore effettuata. Ciò è stato ribadito anche dalla circolare della Agenzia delle entrate 47/E. Pertanto, poiché il contribuente a seguito della prima perizia di stima ha versato la somma di € 241.411,00, mentre successivamente alla seconda rivalutazione ha versato la somma di € 49.590,00, inferiore al primo versamento, non spettava il rimborso richiesto. La Commissione ha, quindi, applicato l’istituto della ripetizione di indebito ai sensi dell’art. 2033 c.c. Tuttavia, non ha tenuto conto di quanto previsto all’art. 7 lett. ff) d.l. 70/2011 ove si prevede che “l’importo del rimborso non può essere comunque superiore ;
all’importo dovuto in base all’ultima rideterminazione del valore effettuata”. Nel i caso in esame, poiché il contribuente ha versato a seguito della prima rivalutazione la somma di € 241.411,00, mentre, con la seconda rivalutazione, ha versato la somma di € 49.590,00, il rimborso non può essere superiore alla somma di € 49.590,00.
1.1.Tale motivo è fondato.
1.2. Invero, ai sensi dell’art. 5 della legge 448 del 2001 “agli effetti della determinazione delle plusvalenze e minusvalenze di cui all’articolo 81, comma uno, lettere C) e C-bis), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, numero 917, e successive modificazioni, per i titoli, le quote o i diritti non negoziati nei mercati regolamentati, posseduti alla data del 1 gennaio 2002, può essere assunto, in luogo del costo o valore di acquisto, il valore a tale data della frazione del patrimonio netto della società, associazione o ente, determinato sulla base di una perizia giurata di stima, cui si applica l’articolo 64 del codice di procedura civile, redatta da soggetti iscritti all’albo dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali, nonché nell’elenco dei revisori contabili, a condizione che il predetto valore sia assoggettato ad un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, secondo quanto disposto dai commi da 2 a 7”.
Nel secondo comma si prevede che “l’imposta sostitutiva di cui al comma 1 è pari al 4% per le partecipazioni che risultano qualificate… e al 2% per quelle che alla predetta data, non risultano qualificate…”
L’imposta sostitutiva è “volontaria” (Cass., 2 agosto 2017, n. 19215), in quanto è frutto di una libera scelta del contribuente, il quale opta per la rideterminazione del valore del bene, con conseguente versamento dell’imposta sostitutiva, nella prospettiva, in caso di futura cessione, di un risparmio sull’imposta ordinaria altrimenti dovuta sulla plusvalenza non affrancata. L’Amministrazione finanziaria, invece, riceve un immediato introito finanziario (Cass., 24057/2014).
L’art. 2, comma 2, del d.l. 24-12-2002, n. 282 (convertito nella legge 21 febbraio 2003, n. 27), ha esteso la facoltà di rideterminare il valore delle partecipazioni non negoziate in mercati regolamentati possedute alla data del gennaio 2003. Inoltre, l’art. 6 bis del d.l. 24-12-2003, n. 355 (convertito in legge 27 febbraio 2004, n. 47), ha esteso tale possibilità alle partecipazioni possedute alla data del 1 luglio 2003 (Cass., 26845/2014 che tratta proprio di una seconda rideterminazione del valore delle partecipazioni ai sensi dell’art. 6 bis della legge 47/2004).
Nel caso in esame, l’art. 1 comma 91 della legge 244/2007 ha modificato il comma 2 dell’art. 2 del d.l. 24 dicembre 2002, n. 282, sostituendo al primo periodo, le parole “1 gennaio 2005” con quelle “1 gennaio 2008” ed al secondo periodo le parole “30 giugno 2006”, con le parole “30 giugno 2008”.
1.3. Il contribuente F.S. (solo per la posizione di questi, infatti, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione) ha versato, quanto alla prima rivalutazione delle partecipazioni nel 2002, quale imposta sostitutiva, la somma di € 241.411,00, in relazione al valore delle azioni della P. s.p.a., pari ad € 6.000.000,00. Successivamente, nel 2008, a seguito di una seconda rivalutazione, consentita dall’art. 1 comma 91 della legge 244/1997, il contribuente ha versato la somma di € 49.590,00, in relazione al valore delle quote della P. s.r.l. Pari ad € 2.900.000,00.
1.4. Con l’entrata in vigore del d.l. 70/2011, l’art. 7 ha, poi, consentito al contribuente di chiedere il rimborso della imposta sostitutiva già pagata, ma nei limiti dell’importo dovuto in base all’ultima rideterminazione di valore effettuata.
L’art. 7 del d.l. 70/2011 (semplificazione fiscale) dispone al comma 2 lettera ee) che “i soggetti che si avvalgono della rideterminazione dei valori di acquisto di partecipazioni non negoziate nei mercati regolamentati, ovvero dei valori di acquisto dei terreni edificabili e con destinazione agricola, di cui agli articoli 5 e 7 della legge 28 dicembre 2001, numero 448, qualora abbiano già effettuato una precedente rideterminazione del valore dei medesimi beni, possono detrarre dall’imposta sostitutiva dovuta per la nuova rivalutazione l’importo relativo all’imposta sostitutiva già versata”.
Al comma 2 lettera ff) si precisa che “i soggetti che non effettuano la detrazione di cui alla lettera ee) possono chiedere il rimborso dell’imposta sostitutiva già pagata, ai sensi dell’articolo 38 del decreto del presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e il termine di decadenza per la richiesta di rimborso decorre dalla data del versamento dell’intera imposta o della prima rata relativa all’ultima rideterminazione effettuata”, con la precisazione che ” l’importo del rimborso non può essere comunque superiore all’importo dovuto in base all’ultima rideterminazione del valore effettuata”.
L’art. 7 comma 2 lettera gg) chiarisce che “Le disposizioni di cui alla lettera ff) si applicano anche ai versamenti effettuati entro la data di entrata in vigore del presente decreto”.
Pertanto, con l’art. 7 comma 2 lettera ee) si è consentito per la prima volta ai soggetti che si avvalgono della rideterminazione delle partecipazioni e dei terreni posseduti alla data del 1 luglio 2011 di scomputare dall’imposta sostitutiva dovuta l’imposta sostitutiva eventualmente già versata in occasione di precedenti procedure di rideterminazione effettuate con riferimento ai medesimi beni. In tal caso il contribuente non è tenuto al versamento delle rate “ancora pendenti” della precedente procedura di rideterminazione e detrae l’imposta già versata dall’imposta dovuta per effetto della nuova rideterminazione (in tal senso anche circolare n. 47/E del 24-10-2011 della Agenzia delle entrate).
L’art. 7 comma 2 lettera ff), poi, disciplina l’ipotesi in cui il contribuente che, in passato, abbia già rideterminato il valore delle partecipazioni e dei terreni posseduti, in sede del nuovo versamento non effettua lo scomputo dell’imposta già versata come indicato nella lettera ee). È prevista, quindi, la possibilità di chiedere il rimborso dell’imposta sostitutiva pagata in passato, ai sensi dell’articolo 38 del d.p.r., 29 settembre 73, n. 602. Il termine di decadenza per la richiesta del suddetto rimborso decorre dalla data in cui si verifica la duplicazione del versamento e cioè dalla data di pagamento dell’intera imposta sostitutiva dovuta per effetto dell’ultima rideterminazione effettuata ovvero dalla data di versamento della prima rata (cfr. anche circolare della Agenzia delle entrate 47/E cit.).
La norma specifica anche che l’importo del rimborso non può essere superiore all’importo dovuto in base all’ultima rideterminazione del valore effettuata.
1.5. Per questa Corte, in tema di imposta sostitutiva sui “capitai gains”, il contribuente, dopo aver effettuato una prima rivalutazione del bene (nella specie, partecipazioni non negoziate nei mercati regolamentati), con conseguente versamento dell’imposta, può chiedere, se è ancora in possesso di tale bene, ove venga introdotta una disciplina fiscale più favorevole, una nuova determinazione del valore, con diritto – anche nell’assetto antecedente alla vigenza dell’art. 7 del d.l. n. 70 del 2011, conv. in I. n. 106 del 2011 – ad usufruire del rimborso, stante il generale principio del divieto di doppia imposizione, in misura non superiore a quanto dovuto, in base all’ultima rideterminazione del valore effettuata, fino alla concorrenza dei due importi (Cass., 13 luglio 2018, n. 18712).
Si è precisato, in particolare, che è ammessa la facoltà di richiedere una nuova valutazione delle partecipazioni in applicazioni di leggi sopravvenute. Inoltre, proprio in applicazione del divieto della doppia imposizione di cui all’art. 163 d.p.r. 917/1986, nell’ipotesi di successiva rivalutazione delle partecipazioni sociali possedute, il primo versamento dell’imposta sostitutiva è legittimamente effettuato in forza della precedente disciplina di rideterminazione del valore e la duplicazione si verifica solo al momento del secondo versamento dell’imposta sostitutiva, sulla base del nuovo valore stimato, per effetto della riapertura dei termini introdotta dal legislatore (Cass. 18712/2018 cit.). L’opzione per la rideterminazione dei valori e la relativa obbligazione tributaria si perfezionano, infatti, con il versamento dell’intero importo dell’imposta sostitutiva ovvero, in caso di pagamento rateale, con il versamento della prima rata, tanto che il contribuente può immediatamente avvalersi del nuovo valore di acquisto ai fini della determinazione delle plusvalenze di cui all’art. 67 del d.p.r. 917/1986 (art. 81 vecchio Tuir).
1.6. Inoltre, questa Corte ha affermato che il d.l. 70/2011 ha “chiarito” che il rimborso non può essere superiore all’importo dovuto in base all’ultima rideterminazione del valore effettuata, operando fino a concorrenza dei due importi (Cass., 18712/18 cit.). Deve, dunque, essere escluso il rimborso in misura superiore all’importo dovuto in base all’ultima rideterminazione di valore della partecipazioni sociale effettuata. La ratio del legislatore è quella di evitare che il contribuente possa ritrattare la scelta già operata in passato, in quanto ciò non sarebbe coerente con le finalità – di interesse reciproco tra fisco e contribuente – della disciplina in esame, sopra descritte.
La nuova normativa, quindi, per tale aspetto, relativo alla ammissibilità di chiedere a rimborso un importo non superiore a quello dovuto per il nuovo affrancamento, svolge una funzione chiarificatrice, pur se l’art. 7 del d.l. 70/2011 non ha portata retroattiva quanto alla possibilità di effettuare compensazioni con i pagamenti pregressi (Cass. 12 novembre 2014, n. 24057, che si riferisce proprio ad una seconda rivalutazione a seguito del d.l. 282/2002, dopo una prima rivalutazione ai sensi dell’art. 5 della legge 448/2001). Infatti, la compensazione non è consentita prima del 2011 (lettera ee dell’art. 7 comma 2 del d.l. 70/2011), essendo previsto, prima di tale data, solo il rimborso. Solo con riferimento alle modalità di “recupero” di quanto pagato in più con la seconda determinazione la norma non ha portata retroattiva, non essendo consentita in precedenza la compensazione, ma essendo sempre necessario il versamento integrale dell’imposta sostitutiva dovuta, seppure con rateizzazione.
Pertanto, non può essere condivisa la tesi del contribuente, per cui, in realtà, non avendo l’art. 7 d.l. 70/2011 alcuna portata retroattiva, non è applicabile il limite quantitativo al rimborso di cui alla lettera ff) del comma 2 dell’art. 7, poiché il giudizio era stato incardinato il 16-12-2010.
Del resto, lo stesso contribuente nel controricorso ammette di avere presentato la richiesta di rimborso proprio ai sensi dell’art. 7 comma 2 lettera ff) del d.l. 70/2011, norma ove è previsto espressamente il limite quantitativo di cui si duole. Il S. richiama, poi, il punto 4 della circolare 47/E della Agenzia delle entrate 24-10-2011, ove è previsto che “la disposizione di cui alla lettera gg) [che statuisce “le disposizioni di cui alla lettera ff) si applicano anche ai versamenti effettuati entro la data di entrata in vigore del presente decreto”] si applica anche ai giudizi in corso”.
Nei precedenti di legittimità citati, che hanno ritenuto applicabile il limite quantitativo del ricorso, i processi erano stati instaurati ben prima del d.l. 13 – 5-2011 n. 70 (Cass., 12 novembre 2014, n. 24057, in cui la sentenza della Commissione regionale impugnata era stata depositata il 23-5-2008; Cass., 13 luglio 2018, n. 18712, in cui la sentenza della Commissione regionale impugnata era stata depositata il 19-1-2011);
1.7. Nel caso, in esame, però, la richiesta di rimborso (€ 241.411,00) è superiore all’importo della dovuto in base all’ultima rideterminazione del valore (€ 49.590,00), sicché deve essere accolto il ricorso presentato dalla Agenzia delle entrate.
2. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti istruttori, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384c.p.c., con l’accoglimento della istanza di rimborso nei limiti della somma di € 49.590,00.
3. Le spese dei giudizi dei gradi di merito vanno compensate per intero tra le parti, in ragione della peculiarità della fattispecie e delle nuove normative intervenute nel tempo.
Le spese del giudizio di legittimità devono essere poste a carico del contribuente nella misura della metà, per la parziale soccombenza, avendo chiesto il contribuente il rimborso della maggiore somma di € 241.411,00. La residua metà deve essere compensata tra le parti.
P.Q.M.
In parziale accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie il ricorso originario del contribuente nei limiti dì cui in motivazione.
Compensa interamente tra le parti le spese dei giudizi dei gradi di merito.
Condanna il contribuente a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate la metà delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano, per tale misura, in complessivi € 2.000,00, oltre € 200,00 per esborsi, le spese generali nella misura forfettaria del 15 % e gli accessori di legge. Compensa tra le parti la residua metà.
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