CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 aprile 2020, n. 7689
Tributi – Accertamento analitico – Reddito d’impresa – Rettifica valore di cessione immobile basata su contratto preliminare – Disconoscimento del preliminare – Validità – Onere di valutazione del giudice
Fatti di causa
1. I. B.L. s.a.s. nonché L.B., in proprio, ricorrono con due motivi, per la cassazione della sentenza, indicata in epigrafe, di rigetto dell’appello dagli stessi proposto avverso la sentenza n. 54/04/2011 dalla CTP di Treviso.
2. Il Giudice di primo grado rigettò l’impugnazione proposta avverso un avviso di accertamento IRAP e IVA 2006 ed un avviso di accertamento IRPEF 2006 (notificati nel 2010) conseguenti all’accertamento, ex art. 39, comma 1, lett. c) e lett. d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, di un maggiore reddito d’impresa con riferimento alla vendita di sei unità immobiliari.
3. La CTR, con la sentenza oggetto di attuale impugnazione, confermò la statuizione di primo grado con riferimento ad entrambi gli avvisi di accertamento ed in merito tanto alla ripresa fondante sull’accertamento analitico (art. 39, comma 1, lett. c., d.P.R. n. 600 del 1973) quanto a quella frutto di accertamento analitico-induttivo (lett. d del citato comma 1).
In particolare, quanto alla rettifica con metodo analitico (relativa ad un immobile), la CTR ritenne utilizzabile e probante il contratto preliminare concluso con i successivi acquirenti, facente riferimento ad un importo maggiore rispetto a quello di effettiva vendita ed utilizzato per concludere l’inerente contratto di mutuo. Il Giudice d’appello, rifacendosi espressamente e letteralmente alla sentenza di primo grado, con riferimento al contratto preliminare, ritenne in particolare che «le parti ricorrenti» si fossero «limitate a presentare una denuncia penale senza mai azionare, avanti al giudice ordinario, la formale querela di falso di cui agli artt. 221 e segg. c.p.c.» e che, in sede d’appello, si fosse sostenuta la sufficienza, ai fini dell’inutilizzabilità della detta documentazione, del già operato disconoscimento «senza però documentarlo».
In merito alla rettifica con metodo analitico-induttivo (relativa a cinque immobili), la CTR ritenne la sussistenza delle attività non dichiarate (derivanti dai maggiori importi delle relative alienazioni) ed il loro accertato ammontare sulla base non dei meri valori O.M.I., comunque applicati con valori inferiori a quelli di effettivo mercato con riferimento ad immobili di nuova costruzione ed in relazione alla loro posizione, ma in ragione di un procedimento logico-inferenziale fondante su presunzioni semplici di riscontrata gravità, precisione e concordanza.
In particolare, la Commissione regionale motivò in forza: dell’antieconomicità dell’attività relativa al cantiere in oggetto; di significative oscillazioni del valore per mq., con riferimento ad immobili ceduti quasi contemporaneamente e siti nello stesso complesso edilizio; della mancanza, in taluni casi, di contratti preliminari in presenza di acconti versati e di assegni non datati, nonché dal rilevante scostamento tra somme prese a mutuo e corrispettivi dichiarati. A fronte di quanto innanzi, la CTR, per converso, ritenne non assolto l’onere gravante in capo ai contribuenti di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla loro contestata antieconomicità.
4. Contro la sentenza d’appello I.B.L. s.a.s. nonché L.B., in proprio, ricorrono con unico atto affidato a due motivi, sostenuti da memoria, mentre l’Agenzia delle Entrate («A.E.») si difende con controricorso (prospettando anche profili di inammissibilità del secondo motivo di gravame).
Ragioni della decisione
1. Il solo motivo n. 1 del ricorso merita accoglimento.
2. Con il motivo n. 1, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., si deducono, «violazione ed errata applicazione degli artt. 2702 c.c. e 214-216 c.p.c. … quanto alla (negata) sufficienza del disconoscimento giudiziale (non seguito da giudizio di verificazione) delle sottoscrizione di una scrittura privata a escludere l’efficacia probatoria che le è propria».
2.1. Il motivo è fondato nei termini che seguono.
Per quanto è dato comprendere dal tenore della sentenza impugnata (come innanzi letteralmente riportato al paragrafo n. 3 della ricostruzione dei fatti di causa), la CTR ha ritenuto utilizzabile e probante il contratto preliminare concluso con i successivi acquirenti, nonostante l’intervenuto disconoscimento giudiziale ed in assenza di verificazione, solo perché non oggetto di formale querela di falso, ciò in violazione degli artt. 214 e ss. e 221 e ss. c.p.c.
Rifacendosi espressamente e letteralmente alla sentenza di primo grado, con riferimento al contratto preliminare, la Commissione ha difatti ritenuto che «le parti ricorrenti» si fossero «limitate a presentare una denuncia penale senza mai azionare, avanti al giudice ordinario, la formale querela di falso di cui agli artt. 221 e segg. c.p.c.» e che, in sede d’appello, si fosse sostenuta la sufficienza, ai fini dell’inutilizzabilità della detta documentazione, del già operato disconoscimento «senza però documentarlo».
2.2. Ne consegue l’accoglimento del motivo in esame, dovendo la CTR, in sede di rinvio fare applicazione, del principio per il quale nel processo tributario, in forza del rinvio operato dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 alle norme del codice di procedura civile, trova applicazione l’istituto di cui all’art. 214 e ss. c.p.c., con la conseguenza che, in presenza del disconoscimento della firma – la cui tempestività, in forza della struttura del giudizio tributario, deve valutarsi con riferimento alla proposizione del ricorso con cui è impugnato l’atto impositivo fondato sulla scrittura privata – il giudice ha l’obbligo di accertare l’autenticità delle sottoscrizioni, altrimenti non utilizzabili ai fini della decisione, ed a tale accertamento procede ove ricorrano le condizioni per l’esperibilità della procedura di verificazione (in termini, Cass. sez. 5, 17/05/2019, n. 13333, Rv. 653994-01, che ha ritenuto tardivo il disconoscimento della firma per girata apposta su un assegno effettuato solo in sede di udienza di trattazione).
3. Con il motivo n. 2, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 5 e 3, c.p.c., si deducono, «omessa, contraddittoria o insufficiente motivazione in ordine al mancato esame di una prova scritta decisiva idonea a condurre ad una decisione diversa da quella adottata, con violazione del d.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma I, lett. d), nonché degli artt. 2727 e 2729 c.c.; il tutto … anche in relazione all’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di controversia».
Al di là della tecnica utilizzata tanto nella formulazione della rubrica quanto nell’articolazione della censure, in sostanza ci si duole dell’assoluto difetto di motivazione con riferimento al capo inerente la ripresa fondante sull’accertamento analitico-induttivo, avendo la CTR, a detta dei ricorrenti, fondato la propria decisione (anche in merito al quantum) sui meri valori OMI e non su presunzioni semplici (gravi, precise e concordati), peraltro non considerando documentazione asseritamente prodotta in giudizio circa l’ubicazione degli immobili.
Quanto innanzi avrebbe altresì concretizzato una violazione di legge (sindacata ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) «in tema di onere della prova».
3.1. Il motivo è infondato, laddove non inammissibile per l’incompatibilità tra le dedotte omessa motivazione ed insufficienza della stessa (ovvero violazione di legge) in merito agli stessi profili, oltre che in quanto involgente valutazioni di merito (anche di ordine probatorio) nonché per difetto di specificità (in termini di autosufficienza), circa l’asserita documentazione prodotta e la (mancata) trasposizione (in ipotesi anche indiretta) del relativo contenuto.
3.2. Quanto al merito (cassatorio), in particolare, l’inconferenza delle doglianze emerge dalla circostanza per la quale, in ordine alla rettifica con metodo analitico-induttivo (art. 39, comma 1, lett. d, d. P.R. n. 600 del 1973), la CTR, diversamente da quanto vorrebbero sostenere i ricorrenti, ritiene la sussistenza delle attività non dichiarate (derivanti dai maggiori importi delle relative alienazioni) ed il loro accertato ammontare sulla base non dei meri valori O.M.I., comunque applicati con valori inferiori a quelli di effettivo mercato con riferimento ad immobili di nuova costruzione ed in relazione alla loro posizione, ma in ragione di un procedimento logico-inferenziale fondante su presunzioni semplici di riscontrata gravità, precisione e concordanza. Essa si riferisce, in particolare: all’antieconomicità dell’attività relativa al cantiere in oggetto; alle significative oscillazioni del valore per mq., con riferimento ad immobili ceduti quasi contemporaneamente e siti nello stesso complesso edilizio; alla mancanza, in taluni casi, di contratti preliminari in presenza di acconti versati e di assegni non datati, nonché al rilevante scostamento tra somme prese a mutuo e corrispettivi dichiarati. A fronte di quanto innanzi, la CTR, per converso, ritiene non assolto l’onere gravante in capo ai contribuenti di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla loro contestata antieconomicità.
Sicché, la sentenza impugnata oltre ad essere sul punto congruamente motivata applica correttamente i principi governati la materia inerente l’accertamento analitico-induttivo (accertamento cd. misto), come sanciti da questa Corte.
In tema di accertamento induttivo, gli artt. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973, e 54, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, come modificati dall’art. 24 della l. n. 88 del 2009, hanno effetto retroattivo, in considerazione della finalità della citata l. n. 88 di adeguare l’ordinamento interno a quello comunitario, sicché, venuta meno ex tunc la presunzione legale relativa di corrispondenza del corrispettivo effettivo al valore normale del bene, introdotta nei menzionati artt. 39 e 54 dal d.l. n. 223 del 2006 (conv., con modif., dalla l. n. 248 del 2006) la prova dell’esistenza di attività non dichiarate può essere desunta anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti (ex plurimis: Cass. sez. 5, 18/11/2016, n. 23485, Rv. 641876-01; Css. sez. 5, 15/03/2017, n. 6736, Rv. 643594-01; Sez. 6, n. 21/03/2018, n. 7025, Rv. 647552-01, per la quale l’accertamento analitico induttivo presuppone, a differenza di quello induttivo «puro», che la documentazione contabile sia nel complesso attendibile, sicché la ricostruzione fondata sulle presunzioni semplici, di cui all’art. 39, comma 1, lett. d), cit., non ha ad oggetto il reddito nella sua totalità, ma singoli elementi attivi e passivi, dei quali risulta provata aliunde la mancanza o l’inesattezza).
In detta materia, peraltro, l’atto di rettifica, qualora l’Ufficio abbia sufficientemente motivato, specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio e dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, è assistito da presunzione di legittimità circa l’operato degli accertatori, nel senso che null’altro l’Ufficio è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte.
Nelle condizioni di cui innanzi, grava quindi sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla contestata antieconomicità delle stesse, senza che sia peraltro sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili, perché proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni inesistenti o di valore di gran lunga eccedente quello effettivo (ex plurimis, tra le più recenti: Cass. sez. 5, 31/10/2018, n. 27804, Rv. 651084-01; si veda, altresì Cass. sez. 5, 22/12/2017, n. 30803, Rv. 646681-01, la quale chiarisce che il convincimento del giudice in ordine alla sussistenza di maggiori ricavi non dichiarati da un’impresa commerciale può fondarsi anche su una sola presunzione semplice, purché grave e precisa).
Con particolare riferimento poi ai c.d. valori OMI, nella specie valutati dalla CTR in uno con gli innanzi evidenziati elementi posti a fondamento del procedimento inferenziale da essa motivato, questa Corte ha costantemente precisato che nell’ipotesi di contestazione di maggiori ricavi derivanti dalla cessione di beni immobili, la reintroduzione, con effetto retroattivo, della presunzione semplice, ai sensi dell’art. 24, comma 5, della l. n. 88 del 2009 (legge comunitaria 2008), che ha modificato l’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e l’art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, sopprimendo la presunzione legale (relativa) di corrispondenza del prezzo della compravendita al valore normale del bene, introdotta dall’art. 35 del d.l. n. 223 del 2006 (conv. in l. n. 248 del 2006), non impedisce al Giudice tributario di fondare il proprio convincimento su di un unico elemento, purché dotato dei requisiti di precisione e di gravità. Tale elemento, tuttavia, come nella specie ritenuto dalla CTR, non può, essere costituito dai soli valori OMI, che devono essere corroborati da ulteriori indizi, onde non incorrere nel divieto di presumptio de presumpto (si veda, ex plurimis, Cass. sez. 5, 25/01/2019, n. 2155, Rv. 652213-01; in senso sostanzialmente conforme anche, ex plurimis: Cass. sez. 5, 07/09/2018, n. 21813, Rv. 650330-01; Cass. sez. 5, 12/04/2017, n. 9474, Rv. 643928-01).
4. In conclusone, il solo motivo n. 1 merita accoglimento, con conseguente cassazione della sentenza impugnata, nei limiti del motivo accolto, e rinvio alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, che provvederà anche a regolare le spese del presente giudizio di legittimità, no accoglimento.
P.Q.M.
Accoglie il motivo n. 1 del ricorso, con rigetto del motivo n. 2, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, che provvederà anche a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.
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