CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 aprile 2020, n. 7700
Settore scolastico – Criteri per l’assegnazione dei docenti – Risarcimento del danno
Rilevato che
1. B. S., docente di scuola primaria dal 1995 e dal settembre 2002 insegnante presso l’Istituto comprensivo di Predazzo,Tesero, Panchià e Ziano, plesso di Predazzo, così come per i dieci anni successivi, ove completava due cicli scolastici dalla I alla V classe, conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Trento la Provincia Autonoma di Trento, l’Istituto Comprensivo e le controinteressate A.B. e D.N., per sentire accertare il suo diritto ad essere assegnata, per l’a.s. 2012-2013 alla classe I o in subordine alla classe V B o ad altra classe del plesso scuola elementare di Predazzo dell’Istituto comprensivo di Predazzo, Tesero, Panchià e Ziano ed il diritto alla medesima assegnazione per l’a.s. 2014-2015 e per quelli successivi, come se l’assegnazione per l’anno 2102-2013 fosse stata effettiva e per ottenere la condanna dell’Istituto a stipulare il contratto relativo alle classi richieste ed in particolare la condanna all’assegnazione per l’a.s. 2013/2014 oltre che al risarcimento del danno per lesione della reputazione;
2. il Tribunale, dato atto della sopravvenuta rinuncia della S. alla domanda intesa ad ottenere la risoluzione dei contratti stipulati con le insegnanti B. e N. e di quella di condanna dell’Istituto ad assegnarla al plesso di Predazzo per l’anno 2013/2014, dichiarava il diritto della ricorrente ad essere assegnata alle classi prime del plesso di Predazzo per l’a.s. 2012/2013 e ad essere assegnata, per quelli successivi, come se in detto a.s. fosse stata assegnata alle classi prime dello stesso plesso e condannava le amministrazioni al risarcimento del danno liquidato in complessivi euro 7.960,00 (per le maggiori spese sostenute nel periodo di assegnazione ad altro presso e per il pregiudizio derivato dalla alla reputazione);
3. la decisione era confermata dalla Corte d’appello di Trento;
3.1. escludeva la Corte territoriale ogni vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata per avere la S., dopo il ricorso di primo grado, rinunciato alla domanda (inizialmente formulata) di risoluzione dei contratti stipulati dall’amministrazione con le controinteressate convenute in giudizio ritenendo che l’accertamento del diritto della S. ad essere assegnata al plesso in precedenza rispetto alle insegnanti B. e N. implicasse necessariamente una disamina della legittimità dell’assegnazione di queste ultime al plesso medesimo;
3.2. rilevava, poi, quanto alla fissazione dei criteri per l’assegnazione dei docenti di cui all’art. 6 del contratto decentrato di Istituto, che la stessa previsione di specifici criteri escludesse una discrezionalità libera del dirigente nelle assegnazioni;
3.3. riteneva che, nella specie, né dal provvedimento della dirigente né dalle deduzioni versate in atti fosse desumibile a quale delle diverse fattispecie di cui all’art. 6 fossero state ricondotte le posizioni delle insegnanti B. e N.;
3.4. evidenziava l’irrazionalità di far prevalere su un docente di ruolo che insegna da anni nel plesso e manifesta la sua preferenza a rimanervi, un docente a tempo determinato la cui garanzia di continuità didattica è comunque precaria o far prevalere quest’ultimo su un perdente posto;
3.5. quanto alla previsione, tra i criteri di cui all’art. 6, del personale beneficiario dell’art. 21 e/o 33 della I. 104/1992 (lett. b) , richiamava il principio secondo cui la stessa non individuasse una precedenza assoluta ma soffrisse di due limiti, da un lato la disponibilità del posto da coprire, dall’altro l’esigenza per l’amministrazione di coprirlo (Cass. n. 1386/2008; Cass., Sez. Un., n. 7945/2008);
3.6. riteneva che, nella specie, mancasse il requisito del posto da coprire atteso che, per quanto previsto dalla lett. a) del medesimo art. 6, in una scala di criteri di ordine gerarchico, il posto scoperto andava necessariamente assegnato all’insegnante titolare nell’Istituto e in servizio nel plesso nell’a.s. precedente;
3.7. considerava, poi, che in assenza di ogni riscontro alla fondatezza delle lamentele di taluni genitori (posta a base delle ragioni che, esplicitate nel corpo della risposta al reclamo della S., integravano la motivazione – mancante – del provvedimento di assegnazione al plesso di Panchià) vi fosse una effettiva lesione dell’onore e della reputazione dell’insegnante;
3.8. in particolare evidenziava che l’assegnazione della S. ad altro plesso, letta in connessione tra le lamentele di genitori e la condotta di implicita (quanto ingiustificata) condivisione da parte della dirigente, in un piccolo paese come Predazzo, determinasse una lesione effettiva e non solo soggettivamente percepita del giusto sentimento di dignità e onore che ogni lavoratore ha rispetto alla qualità della propria attività professionale;
4. per la cassazione della sentenza la Provincia Autonoma di Trento ha proposto ricorso con quattro motivi;
5. B. S. ha resistito con controricorso;
6. non sono state depositate memorie.
Considerato che
1. con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione di legge (per errata interpretazione di norma contrattuale: art. 6 del contratto decentrato di Istituto per il personale docente del 18/4/2007) nonché violazione dell’art. 12, primo comma, delle disposizioni preliminari al cod. civ.; sostiene che la Corte territoriale avrebbe riconosciuto il diritto della S. sulla base di un’errata interpretazione dell’art. 6 del contratto decentrato di Istituto sui criteri da adottare per l’assegnazione dei docenti ai plessi; lamenta, in particolate, che sia stato ritenuto che detti criteri fossero elencati in rigoroso ordine prioritario e che di conseguenza il dirigente non avesse alcuna possibilità di disattendere tale ordine;
2. il motivo è inammissibile;
2.1. è del tutto improprio il richiamo all’art. 12 disp. preliminari al cod. civ. che riguarda l’interpretazione della legge;
2.2. la censura si incentra sull’interpretazione del contratto integrativo decentrato ma è formulata senza il necessario rispetto dell’onere di specificazione di cui all’art. 366 n. 6 cod. proc. civ.; la norma citata impone “la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” e, quindi, è necessario che il ricorrente, oltre a riportare nel ricorso il contenuto del documento, precisi in quale fase processuale è avvenuta la produzione ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione;
occorre rilevare al riguardo che il requisito di cui al richiamato art. 366 n. 6 cod. proc. civ. non può essere confuso con quello di procedibilità previsto dall’art. 369 n. 4 cod. proc. civ., soddisfatto dal deposito dei fascicoli di parte e dalla richiesta di trasmissione di quello d’ufficio, in quanto il primo risponde all’esigenza di fornire al giudice di legittimità tutti gli elementi necessari per avere la completa cognizione della controversia, senza necessità di accedere a fonti esterne, mentre la produzione è finalizzata a permettere l’agevole reperibilità del documento la cui rilevanza è invocata ai fini dell’accoglimento del ricorso (fra le più recenti, sulla non sovrapponibilità dei due requisiti, Cass. 28 settembre 2016, n. 19048), una volta che sia stato assolto l’onere di specifica indicazione, da intendersi nei termini sopra precisati; nel caso di specie la Provincia ricorrente, che nel ricorso ha riportato solo il testo dell’art. 5 e dell’art. 6 del contratto decentrato d’Istituto, non ha allegato detto documento, non lo ha inserito nel fascicolo formato ex art. 369, comma 2, cod. proc. civ. né ha fornito indicazione sulla sua allocazione nei fascicoli di parte dei precedenti gradi del giudizio di merito;
2.3. alle considerazioni che precedono, già assorbenti, si deve aggiungere che non è espressamente denunciata la violazione delle regole di ermeneutica con specifica indicazione dei canoni interpretativi in concreto inosservati e del modo attraverso il quale si è realizzata la violazione; in tale modo il rilievo si risolve in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice tale da sostanziarsi nella mera contrapposizione all’interpretazione della Corte territoriale di una propria lettura del testo contrattuale sostenendosi che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale, la Sentore, avendo completato il proprio ciclo presso il plesso di precedente assegnazione era una risorsa ‘libera’ da vincoli di continuità e ‘necessaria’ per le pluriclassi di Panchià; d’altronde, per sottrarsi al sindacato di legittimità quella data dal giudice al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (v., ex multis, Cass. 2 maggio 2006, n. 10131; Cass. 20 novembre 2009, n. 24539; Cass. 25 settembre 2012, n. 16254, Cass. 15 novembre 2017, n. 27136);
3. con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 71 I. provinciale n. 18 del 2011; sostiene che l’interpretazione della Corte territoriale dell’art. 6 citato contrasterebbe con la legge finanziaria provinciale 2012 che ha attribuito, modificando l’art. 23 della I. provinciale n. 5/2006, al dirigente scolastico autonomi poteri di gestione, organizzazione del lavoro, di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane;
4. il motivo non è fondato;
4.1. il rilievo risente innanzitutto dei profili di inammissibilità di cui al punto sub 2.2. che precede;
4.2. non è neppure chiaro in quali termini il ragionamento della Corte territoriale avrebbe violato il disposto della norma di legge provinciale;
peraltro se la legge finanziaria provinciale del 2012 (L.P. n. 18/2001) modificando l’art. 23 della L.P. n. 5/2006 ha attribuito dirigente scolastico autonomi poteri di gestione, di organizzazione del lavoro, di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane, non si vede in quali termini tale disposizione risulti contrastata dall’interpretazione della Corte territoriale che ha affrontato la questione, del tutto diversa, dell’individuazione dei criteri per l’assegnazione del personale ai plessi; anche autonomi poteri di gestione e di organizzazione non possono portare a disattendere criteri stabiliti a livello di contrattazione decentrata;
5. con il terzo motivo la ricorrente denuncia illogicità della motivazione e violazione degli art. 2697 e 2729 cod. civ. in relazione alla ritenuta offesa alla reputazione che si assume acquista in assenza di prova;
6. Il motivo è inammissibile;
6.1. non è censurata l’erronea applicazione da parte del giudice di merito della regola di giudizio fondata sull’onere della prova e dunque per avere attribuito l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata; in conseguenza la denuncia di violazione dell’art. 2697 cod. civ. si colloca al di fuori del novero di quelle spendibili ex art. 360, co. 1, cod. proc. civ. perché, nonostante il richiamo normativo in esso contenuto, sostanzialmente sollecita una rivisitazione nel merito della vicenda (non consentita in sede di legittimità) affinché si fornisca un diverso apprezzamento delle prove (v. Cass., Sez. un., 10 giugno 2016, n. 11892);
6.2. quanto alla denuncia di violazione dell’art. 2729 cod. civ. non è neppure prospettato che il giudice di merito avrebbe contraddetto il disposto di tale norma affermando (e, quindi, facendone concreta applicazione) che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni (rectius: fatti) che non siano gravi, precise e concordanti ovvero che abbia fondato la presunzione su un fatto storico privo di gravità, o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota; in ogni caso va ribadito il principio affermato da questa Corte secondo cui l’apprezzamento del giudice di merito circa il ricorso al ragionamento presuntivo e la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di prova, sono incensurabili in sede di legittimità, l’unico sindacato in proposito riservato al giudice di legittimità essendo quello sulla tenuta della relativa motivazione (Cass. 18 marzo 2003, n. 3983; Cass. 9 febbraio 2004, n. 2431; Cass. 4 maggio 2005, n. 9225; Cass. 23 gennaio 2006, n. 1216; Cass. 11 ottobre 2006, n. 21745; Cass. 20 dicembre 2006, n. 27284; Cass. 8 marzo 2007, n. 5332; Cass. 7 luglio 2007, n. 15219), tenuta ovviamente oggi sindacabile soltanto nei ristretti limiti dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. come risultante a seguito delle modifiche apportata dal d.l. n. 83/12, convertito in legge n. 134/12;
7. con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.; censura la sentenza impugnata per non aver tenuto conto della rinuncia della S. ad alcune delle iniziali pretese e delle relative conseguenze in termini di sopravvenuta carenza di interesse a coltivare il ricorso nei confronti dell’Amministrazione;
8. il motivo è inammissibile;
8.1. la rinuncia cui si fa riferimento non è trascritta nel suo contenuto né è indicato quando la stessa sia stata allegata agli atti del giudizio di merito;
8.2. peraltro non corrisponde al vero che la sentenza impugnata non abbia dato conto della suddetta rinuncia atteso che vi è una chiara motivazione, espressa sia a pag. 8 della sentenza, ove è stata disattesa analoga denuncia di violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. formulata dalla Provincia appellante proprio con riferimento all’intervenuta rinuncia della S. alla domanda di risoluzione dei contratti stipulati tra l’amministrazione e le insegnanti B. e N. sia a pag. 13, ove è precisato che “il diritto dell’appellata ad essere assegnata alle classi prime ex art. 5 del contratto decentrato non è più oggetto di controversia a seguito delle modificazioni e delle rinunce alle domande inizialmente proposte”;
né, del resto, aveva formato oggetto della decisione del Tribunale (confermata dalla Corte d’appello) la richiesta della S. di essere assegnata alle classi prime del plesso di Predazzo per l’a.s. 2012/2013 (ritenuta rinunciata);
9. da tanto consegue che il ricorso deve essere rigettato;
10. la regolamentazione delle spese segue la soccombenza;
11. ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo risultante dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, ricorrono le condizioni previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo prescritto a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.