CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 aprile 2021, n. 9214
Tributi – Riscossione – Cartella di pagamento – Crediti erariali – Tributi, sanzioni e interessi – Prescrizione – Termini
Rilevato che
1. Risulta dalla sentenza impugnata che il contribuente P.S. ha impugnato un’intimazione di pagamento notificatagli in data 16 marzo 2016, relativa a una cartella di pagamento già notificatagli il 15 luglio 2006, avente ad oggetto il recupero di crediti erariali, comprensivi di interessi e sanzioni, del periodo di imposta di cui all’anno 2001, invocando la prescrizione quinquennale dei tributi, essendo decorsi «quasi dieci anni», oltre che dei crediti per sanzioni ed accessori.
La CTP di Varese ha accolto il ricorso e la Commissione tributaria regionale della Lombardia, con la sentenza n. 799/05/2019, depositata il 21 febbraio 2019, ha rigettato l’appello principale dell’Ufficio, ritenendo di applicare la prescrizione quinquennale a tutti i crediti erariali controversi.
Propongono, contestualmente, ricorso per cassazione sia l’Agenzia delle entrate che l’Agenzia delle entrate-riscossione affidandolo ad un unico motivo; resiste con controricorso il contribuente.
La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’articolo 380-bis cod. proc. civ.
Il controricorrente ha depositato memoria.
Considerato che
1. Con l’unico motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2946; 2948, n. 4; e 2953 cod. civ.; nonché degli artt. 19 e 20 d.Igs. 13 aprile 1999, n. 112, per avere la sentenza impugnata ritenuto applicabile al caso di specie la prescrizione quinquennale, trattandosi di tributi erariali.
2. Preliminarmente, discostandosi dalla proposta effettuata dal precedente relatore, va accolta l’eccezione di giudicato, formulata dal controricorrente rispetto al ricorso dell’Agenzia delle entrate- riscossione, che è quindi inammissibile.
Infatti il concessionario, allora Equitalia Nord s.p.a., convenuto in primo grado dal contribuente unitamente all’Agenzia delle entrate e rimasto contumace nel secondo grado, non risulta aver appellato la sentenza della CTP, favorevole allo stesso contribuente, mentre ora, quale Agenzia delle Entrate-Riscossione, propone ricorso per cassazione, unitamente alla medesima Agenzia delle entrate.
Tuttavia, come questa Corte ha chiarito in fattispecie simile, «In tema di contenzioso tributario, l’agente della riscossione soccombente nel giudizio di opposizione a cartella esattoriale, in cui il contribuente abbia denunciato il difetto di regolare notifica degli atti propedeutici da parte dell’ente impositore, è tenuto a contestare con l’appello l’insussistenza dei presupposti della propria soccombenza e la statuizione assunta sulle spese di lite, non potendo introdurre le relative censure, per la prima volta, con il ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa in esito al procedimento di secondo grado nel quale sia rimasto contumace, attesa la sua concorrente legittimazione passiva ed il suo interesse ad impugnare in considerazione della situazione di litisconsorzio processuale.». ( Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 8186 del 29/03/2017).
Rimane fermo, poi, che – a prescindere dalla partecipazione del concessionario, parte dei giudizi di merito, al giudizio di legittimità- l’Agenzia delle entrate è comunque ex se legittimata passiva sostanziale e processuale in merito all’eccepita prescrizione dei crediti erariali (cfr. Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 8257 del 2019, in motivazione, ex plurimis).
Infondata è invece l’eccezione di inammissibilità del ricorso per omessa indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali esso si fonda e per insufficiente esposizione dei fatti di causa, dovendo ritenersi autosufficiente il ricorso che, in relazione al contenuto della sentenza impugnata, consente di individuare la questione controversa ed i dati a fondamento della stessa, compresa la cartella di cui si discute, che (non ignota al contribuente, che l’ha impugnata) è chiaramente descritta, per quanto rileva ai fini di questo giudizio, nel ricorso e nella stessa sentenza d’appello.
2.1. Infondata è, poi, anche l’eccezione di novità della questione dedotta nel ricorso, trattandosi nella specie dell’applicazione ai tributi erariali della prescrizione decennale che, come risulta dalla sentenza impugnata, l’Agenzia aveva sostenuto già nei giudizi di merito.
3. Il ricorso dell’Agenzia delle entrate è manifestamente fondato, nei limiti di cui si dirà.
Si premette che risulta dalla sentenza impugnata che l’atto di intimazione di pagamento è stato notificato «in data 16/03/2016»; che la cartella in oggetto aveva ad oggetto «crediti erariali, anno di imposta 2001», oltre a sanzioni ed interessi; e che la stessa cartella era stata «notificata al contribuente in data 15/07/2006».
Tali dati fattuali ( ed in particolare l’avvenuta notifica della cartella, la sua data e la sua idoneità ad ogni effetto ai fini della prescrizione) non sono stati oggetto di ricorso incidentale, eventualmente condizionato, del contribuente.
Fatte tali premesse, fondate sugli accertamenti compiuti dalla sentenza impugnata, in materia di prescrizione dei crediti relativi a tributi erariali deve riaffermarsi il costante principio – erroneamente inteso dalla sentenza impugnata – secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non modifica il termine di prescrizione del credito oggetto della cartella, che ove assoggettato a prescrizione breve (come nel diverso caso dei contributi previdenziali) non può convertirsi in termine ordinario decennale (Cass., Sez. U., 17/11/2016, n. 23397).
Tanto premesso, i tributi erariali, dei quali qui si controverte (come risulta dalla sentenza impugnata) sono, secondo consolidata interpretazione di questa Corte (cfr., ex plurimis, Cass. n. 24322/14; Cass. n. 22977/10; Cass. n. 2941/07; Cass. n. 16713/16; Cass. n.32308/2019), soggetti non già al termine di prescrizione quinquennale previsto all’art. 2948, n. 4, cod. civ. “per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”, bensì all’ordinario termine di prescrizione decennale di cui all’art. 2946 cod. civ., in quanto la prestazione tributaria, attesa l’autonomia dei singoli periodi d’imposta e delle relative obbligazioni, non può considerarsi una prestazione periodica, derivando il debito, anno per anno, da una nuova ed autonoma valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti impositivo (Cass., 29/04/ 2020, n. 8297).
I crediti di imposta sono quindi, in via generale, soggetti alla prescrizione ordinaria decennale, ex art. 2946 cod. civ., a meno che la legge disponga diversamente (come, ad esempio, l’art. 3, comma 9, legge n. 335 del 1995, per i contributi previdenziali) e, in particolare i crediti IRPEF e IVA sono soggetti alla prescrizione decennale (Cass. n. 9906/2018; Cass. n. 32308/2019). In questo senso, quindi, è stato anche recentemente riaffermato da questa Corte che «Il diritto alla riscossione di un’imposta si prescrive nel termine ordinario decennale di cui all’art. 2946 cod. civ., ove la legge non disponga diversamente, salvi, in quest’ultima ipotesi, gli effetti del giudicato sui termini cd. brevi di prescrizione» (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 10547 del 15/04/2019).
Sono invece soggetti alla prescrizione quinquennale gli interessi, ex art. 2948 c.c. , e le sanzioni, ai sensi dell’art. 20 d.lgs. n. 472 del 1997.
Quanto alle sanzioni, questa Corte ha infatti chiarito che «Il diritto alla riscossione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste per la violazione di norme tributarie, derivante da sentenza passata in giudicato, si prescrive entro il termine di dieci anni, per diretta applicazione dell’art. 2953 cod. civ., che disciplina specificamente ed in via generale la cosiddetta “actio iudicati”, mentre, se la definitività della sanzione non deriva da un provvedimento giurisdizionale irrevocabile vale il termine di prescrizione di cinque anni, previsto dall’art. 20 del d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 472, atteso che il termine di prescrizione entro il quale deve essere fatta valere l’obbligazione tributaria principale e quella accessoria relativa alle sanzioni non può che essere di tipo unitario.» (Cass., Sez. U, Sentenza n. 25790 del 10/12/2009; conformi, ex plurimis, Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 5577 del 26/02/2019; Cass. Sez. 6-5 , ordinanza n. 20955 del 10/07/2020).
Riguardo poi agli interessi, è stato precisato che « gli interessi dovuti per il ritardo nella loro esazione, [i quali] integrano un’obbligazione autonoma rispetto al debito principale e suscettibile di autonome vicende, sì che il credito relativo a tali accessori rimane sottoposto al proprio termine di prescrizione quinquennale fissato dall’art. 2948, n. 4, cod. civ » (Cass. Sez. 6-5 , ordinanza n. 20955 del 10/07/2020, cit.; Cass. n. 30901/2019; Cass. n.14049/2006).
La sentenza impugnata non ha, pertanto, fatto corretta applicazione dei suindicati principi, laddove ha applicato la prescrizione quinquennale ai tributi erariali.
Il ricorso va pertanto accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al giudice a quo, essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto.
In particolare, la CTR dovrà accertare, tenendo conto dei principi appena illustrati ed in relazione alla diversa natura dei crediti (tributi, interessi e sanzioni) oggetto della pretesa erariale ed al conseguente termine di prescrizione applicabile, se per ciascuno di essi sia o meno maturata l’eccepita prescrizione.
Al giudice del rinvio è rimessa altresì ogni altra questione rimasta assorbita dalla decisione cassata.
4. La liquidazione delle spese del giudizio di legittimità tra l’Agenzia delle entrate-riscossione ed il controricorrente contribuente segue la soccombenza.
5. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso dell’Agenzia delle entrate riscossione e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento , agli esborsi liquidati in Euro 200,00 , ed agli accessori di legge;
accoglie il ricorso dell’Agenzia delle entrate, cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda anche di provvedere sulle relative spese del giudizio di legittimità.
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