CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 aprile 2022, n. 11171
Licenziamento – Appalto di servizi – Cessione di ramo di azienda – Obbligo informativo
Rilevato che
1. Il giudice di primo grado confermava l’ordinanza, emessa all’esito della fase sommaria ex art. 1 c. 49 I. n. 92/2012, che aveva rigettato l’impugnativa del licenziamento intimato dalla S. s.r.l. alla dipendente Leone Patrizia il 29/2/2016, all’esito di procedura di licenziamento collettivo avviata con comunicazione 20/10/2015. Rilevava il Tribunale di Cosenza che il licenziamento, determinato da perdite economiche, aveva condotto alla cessazione delle attività e aveva interessato tutti i dipendenti, che la società aveva ceduto nel luglio 2015 un ramo d’azienda a cui afferiva l’appalto per servizi da svolgersi in Puglia, diverso da quello cui era adibita la ricorrente, mentre non si poneva questione in ordine ai criteri di scelta dei lavoratori da porre in mobilità per avere il licenziamento coinvolto tutti I dipendenti dell’azienda;
2. la Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza n. 131 del 7/2/2019, confermava la decisione di primo grado in punto di avvenuta cessazione di tutte le attività della società osservando, quanto ai rilievi attinenti alla comunicazione, che in forza del dettato dell’art. 4 c. 9 I. 223/91 era da escludere che il datore di lavoro debba fornire a ciascun lavoratore la motivazione del recesso, destinata, invece, alle organizzazioni sindacali e agli uffici pubblici indicati dalla norma;
3. in ordine alla pretesa omissione informativa riguardo alla cessione di ramo di azienda, osservava che l’obbligo informativo riguardava non i singoli lavoratori ma le rappresentanze sindacali, mentre l’appartenenza della reclamante al ramo aziendale ceduto era smentita dalla circostanza che la lavoratrice era sempre impiegata in unità produttive in territorio di Cosenza e Rende, mentre il ramo ceduto era quello esercente attività nella regione Puglia;
4. la lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi;
5. controparte si è costituita con controricorso illustrato con memorie;
Considerato che
1. con il primo motivo la ricorrente deduce nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 4 e 5 per violazione dell’art. 132 c. 2 n. 4 c.p.c.; osserva, inoltre, che la sentenza è censurabile per illogicità e ignoranza della legge in relazione all’art. 2 l. 604/66, per avere ritenuto inutile la motivazione del licenziamento collettivo nei suoi confronti;
2. con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 4 c. 9 l. 223 del 1991 in relazione all’art. 24 II c. L. 223/91, violazione e falsa applicazione dell’art. 5 c. 1 l. 223/1991, rilevando l’irregolarità della procedura di licenziamento collettivo, nella quale erano indicati il numero dei lavoratori interessati ma non anche le qualifiche professionali e i nomi e i tempi di attuazione del programma di mobilità e non era stato ottemperato all’informativa preventiva nei confronti delle rappresentanze sindacali aziendali e dei sindacati;
3. con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dei criteri di scelta in base ai quali sono stati individuati i dipendenti da licenziare, anche in relazione alla cessione del ramo di azienda realizzata dalla società e al conseguente trasferimento di un numero di dipendenti ad altra azienda;
4. con il controricorso la società rileva la tardività del ricorso ex art. l.c. 62 I. 92 del 2012, proposto con atto notificato il 10/6/2019 a fronte di comunicazione della sentenza alla parte avvenuta il 7/2/2019, quindi ben oltre i 60 giorni previsti;
5. va preliminarmente rilevato che il rilievo di tardività del ricorso formulato da parte controricorrente non è supportato da adeguata produzione di documentazione comprovante l’avvenuta comunicazione del provvedimento alle parti ad opera della cancelleria, produzione il cui onere grava sulla parte che eccepisce la tardività dell’impugnazione, operando in difetto il termine lungo previsto dall’art. 327 c.p.c., e ciò in conformità a quanto stabilito da questa Corte circa gli oneri delle parti con riferimento al termine breve per impugnare decorrente dalla notifica della sentenza (cfr. Cass. n. 25062 del 07/12/2016: “In tema di impugnazione, incombe sulla parte cui sia stato notificato l’atto di impugnazione entro il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., qualora eccepisca la necessità dell’osservanza del termine breve e l’avvenuto superamento del medesimo, l’onere di provarne il momento di decorrenza, a tal fine producendo copia autentica della sentenza impugnata corredata della relata di notificazione nonché – in caso di notificazione a mezzo posta – dell’avviso di ricevimento della raccomandata, che non ammette equipollenti, con la conseguenza che la mancata produzione di tali documenti determina l’inesistenza della notifica della sentenza, impedendo il decorso del termine breve di impugnazione“);
6. il primo motivo di ricorso è infondato quanto alla presunta violazione dell’art. 132 c.p.c., poiché la sentenza contiene un supporto motivazionale sufficiente, secondo i criteri indicati da Cass. SU 8053/2014, a rendere palese il ragionamento posto a fondamento della decisione;
7. allo stesso modo sono infondate le censure contenute nella seconda parte del primo motivo, quest’ultima attinente a vizio di violazione di legge (specificamente violazione dell’art. 2 I. 604/66), erroneamente veicolato sotto l’intitolazione di error in procedendo o vizio di motivazione e tuttavia esaminabile essendo individuabile il tipo di vizio denunciato (Cass. n. 26310 del 07/11/2017), così come quelle contenute negli altri motivi di ricorso, tutti attinenti a presunti vizi della procedura di licenziamento, specificamente riguardanti la individuazione ed enunciazione dei criteri di scelta dei lavoratori da porre in mobilità;
8. correttamente, infatti, la Corte territoriale ha tenuto conto del fatto, incontestato, che la cessazione aveva riguardato tutta l’attività produttiva, rendendo superflua ogni specificazione in ordine alle ragioni riguardanti i singoli lavoratori, nonché della circostanza, allo stesso modo incontroversa, che la intervenuta cessione di azienda aveva riguardato un ramo della stessa operante in Puglia, mentre la ricorrente era stata addetta esclusivamente a unità operanti in altra regione;
9. in base alle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in € 4.000,00 per compensi, € 200 per esborsi, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13.
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