CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 dicembre 2018, n. 31626
Ritenute operate a titolo di Irpef ed altre imposte sull’ “assegno alimentare” – Processo tributario – Silenzio rifiuto formatosi su una istanza di rimborso – Dimostrazione da parte del contribuente che non sussiste nessuna delle ipotesi che legittimano il rifiuto
Rilevato che
L.A., con due distinti ricorsi notificati alla Agenzia delle Entrate di Vibo Valentia ed alla Direzione Territoriale del Ministero dell’Economia e delle Finanze di Vibo Valentia, impugnava il silenzio rifiuto formatosi in conseguenza della istanza diretta ad ottenere il rimborso delle ritenute operate a titolo di Irpef ed altre imposte sull’ “assegno alimentare” attribuito dal Ministero della Giustizia a seguito di “sospensione cautelare facoltativa dalle funzioni e dallo stipendio”, deducendo che, a norma del comma 3 dell’art. 34 del d.P.R. 601/1973, “sono esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche e dall’imposta locale sui redditi nei confronti dei percipienti le somme corrisposte dallo Stato o da altri enti pubblici a titolo assistenziale” e che, di conseguenza, in ragione della sua natura assistenziale e non retributiva, l’assegno alimentare non era assoggettabile a ritenute previdenziali; chiedeva, pertanto, l’annullamento del silenzio rifiuto ed il rimborso delle somme trattenute a titolo di Irpef e di altri tributi sull’assegno alimentare, con decorrenza dal 10 gennaio 2009.
L’Agenzia delle Entrate eccepiva la mancanza di legittimazione passiva e la Ragioneria Territoriale dello Stato di Vibo Valenta, costituendosi in giudizio, si limitava a sostenere che “in base al dettato delle disposizioni contenute nel d.lgs. n. 300/1999 e successive modificazioni, questa Amministrazione difetta di legittimazione passiva nel giudizio”.
La Commissione tributaria provinciale accoglieva i ricorsi riuniti e avverso la sentenza proponeva appello la Agenzia delle Entrate con ricorso notificato esclusivamente a L.A., evidenziando che il trattamento tributario dell’assegno alimentare era regolato dall’art. 46 del t.u.i.r. e contestando la formazione del silenzio rifiuto.
La Commissione regionale, accogliendo le eccezioni preliminari sollevate dall’appellato, dichiarava inammissibile l’appello per omessa notifica del ricorso alla Direzione Territoriale del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che aveva partecipato al giudizio di primo grado, e per la novità delle eccezioni sollevate solo in secondo grado dall’Agenzia delle Entrate, in violazione dell’art. 57 del d.lgs. n. 546/1992. Aggiungeva che l’appello appariva comunque infondato nel merito “per le condivisibili motivazioni della sentenza di primo grado” e che tutte le altre eccezioni restavano assorbite dalla accertata fondatezza delle eccezioni di inammissibilità.
L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della suddetta decisione, con cinque motivi.
L.A. resiste con controricorso, eccependo in via preliminare la improcedibilità del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 369 cod. proc. civ., per omesso deposito, nel termine prescritto, degli atti sui quali esso è fondato.
Considerato che
1. Preliminarmente, va disattesa la eccezione di improcedibilità del ricorso, per violazione dell’art. 369, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., in quanto le Sezioni Unite (sentenza n. 22726 del 3/11/2011), con specifico riguardo al giudizio tributario, hanno affermato il principio secondo il quale “per i ricorsi avverso le sentenze delle commissioni tributarie, la
indisponibilità dei fascicoli delle parti (i quali, ex art. 25, secondo comma, d.lgs. n. 546/1992, restano acquisiti al fascicolo d’ufficio e sono restituiti solo al termine del processo) comporta la conseguenza che la parte ricorrente non è onerata, a pena di improcedibilità ex art. 369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., della produzione del proprio fascicolo e per esso di copia autentica degli atti e documenti ivi contenuti, poiché detto fascicolo è già acquisito a quello d’ufficio di cui abbia domandato la trasmissione alla S.C. ex art. 369, terzo comma, cod. proc. civ., a meno che la predetta parte non abbia irritualmente ottenuto la restituzione del fascicolo di parte dalla segreteria della commissione tributaria, e neppure è tenuta, per la stessa ragione, alla produzione di copia degli atti e dei documenti su cui il ricorso si fonda e che siano in ipotesi contenuti nel fascicolo della controparte” (Cass. 28695 del 30/11/2017; Cass. n. 6021 del 25/3/2015, n. 16813 del 24/7/2014).
2. Anche la eccezione con la quale il controricorrente deduce il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado n. 343/1/11 pronunciata dalla C.T.P. di Vibo Valentia nei confronti della Direzione Territoriale del Ministero dell’Economia e Finanze di Vibo Valentia, per omessa proposizione dell’appello da parte di quest’ultima, è infondata.
2.1. Come affermato da questa Corte con sentenza n. 10746 del 16/5/2014, e, successivamente, con la sentenza n. 8196 del 22/4/2015, nel processo tributario, l’art. 52, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 non è più applicabile una volta divenuta operativa – in forza del d.m. 28 dicembre 2000 del Ministero dell’Economia – la disciplina recata dall’art. 57 del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, che ha istituito le Agenzie fiscali, attribuendo ad esse la gestione della generalità delle funzioni in precedenza esercitate dai dipartimenti e dagli uffici del Ministero delle Finanze e trasferendo alle medesime i relativi rapporti giuridici, poteri e competenze, spettando a ciascuna Agenzia appellare le sentenze ad esse sfavorevoli delle commissioni tributarie provinciali.
Ne consegue che l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza emessa dalla Commissione provinciale di Vibo Valentia ha impedito il passaggio in giudicato della decisione.
3. Va, parimenti, rigettata la eccezione di improcedibilità del ricorso sollevata dal controricorrente, ai sensi dell’art. 369 cod. proc. civ., per mancato deposito, nel termine prescritto, della istanza di trasmissione del fascicolo d’ufficio munita di visto della cancelleria del giudice a quo.
3.1. L’istanza ex art. 369 cod. proc. civ. depositata dalla ricorrente risulta, infatti, munita di “visto” della Commissione Tributaria regionale della Calabria, apposto in data 8/6/2012.
4. Con il primo motivo di ricorso, la difesa erariale – deducendo “violazione e falsa applicazione degli artt. 49 e 53 del d.lgs. n. 546/1992 e 332 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4 cod. proc. civ.” — evidenzia che, sebbene il ricorso in appello debba essere notificato nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado, in presenza di procedimenti di impugnazione con pluralità di parti occorre distinguere i casi in cui vi siano cause scindibili da quelli in cui si sia in presenza di cause inscindibili.
Poiché nel caso in esame la controversia ha ad oggetto la esistenza di una obbligazione tributaria, in base al disposto di cui all’art. 332 cod. proc. civ., risulta del tutto irrilevante la mancata notifica del ricorso in appello alla Direzione Territoriale del Ministero dell’Economia e delle Finanze, essendo quest’ultima estranea al rapporto sostanziale dedotto in giudizio.
5. Con il secondo motivo di ricorso, rubricato: “violazione e falsa applicazione degli artt. 102 e 331 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.”, la ricorrente sostiene che, anche laddove si volesse ipotizzare una ipotesi di litisconsorzio necessario, la dichiarazione d’inammissibilità dell’appello sarebbe comunque erronea, perché il giudice avrebbe comunque dovuto limitarsi a disporre, ai sensi dell’art. 331 cod. proc. civ., l’integrazione del contraddittorio.
6. Il primo ed il secondo motivo che, per evidenti ragioni di connessione, possono essere trattati unitariamente, sono fondati e vanno accolti.
6.1. Questa Corte ha affermato che «in tema di contenzioso tributario ed in ipotesi di litisconsorzio, per l’esistenza di una situazione che comporti l’obbligo di chiamare in causa anche in appello, ai sensi dell’art. 331 cod. proc. civ., tutte le parti presenti nella prima fase del processo, è necessario che i rapporti dedotti in causa siano inscindibili, e quindi non suscettibili di soluzioni differenti nei confronti delle varie parti del giudizio, o che due (o più) rapporti dipendano logicamente l’uno dall’altro, o da un presupposto di fatto comune, in modo tale da non consentire razionalmente l’adozione nei confronti delle diverse parti di soluzioni non conformi perché comporterebbero capi di decisione logicamente in contraddizione tra loro» (Cass. 17698 del 2/9/2004).
Né rileva in senso contrario il disposto del secondo comma dell’art. 53 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, secondo cui l’appello dev’essere proposto nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado, atteso che tale disposizione normativa non fa venire meno la distinzione tra cause inscindibili e cause scindibili (Cass. n. 25588 del 27/10/2017).
6.2. Pertanto, ove l’appello, come nel caso di specie, abbia ad oggetto l’esistenza dell’obbligazione tributaria, non può ritenersi sussistente l’obbligo di disporre la notificazione del ricorso nei confronti della Direzione Territoriale del Ministero delle Finanze, convenuta in primo grado – che aveva, peraltro, eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva – in quanto la Direzione Territoriale risulta estranea al rapporto sostanziale dedotto in giudizio.
6.3. Deve, peraltro, considerarsi che, nel caso di specie, il ricorso introduttivo è successivo al 1° gennaio 2001, data di entrata in funzione dell’Agenzia delle Entrate, succeduta all’Amministrazione finanziaria dello Stato nelle funzioni concernenti le entrate tributarie erariali, per cui alla data di notifica del ricorso competente a provvedere sulla istanza di rimborso era l’Agenzia delle Entrate, nei cui confronti doveva, quindi, essere eseguita la notifica del ricorso.
Ne consegue che la controversia poteva essere decisa anche senza la partecipazione in giudizio della Direzione Territoriale del Ministero delle Finanze.
6.4. Va, inoltre, rilevato che, in ipotesi di cause inscindibili, la notificazione dell’impugnazione eseguita nei termini di legge nei confronti di uno solo dei litisconsorti necessari introduce validamente il giudizio di gravame nei confronti di tutte le altre parti, dovendo in tali ipotesi il giudice d’appello limitarsi a disporre, ai sensi dell’art. 331 cod. proc. civ., l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti gli altri litisconsorti necessari (Cass. n. 26902 del 19/12/2014).
La decisione resa dalla Commissione regionale non si uniforma ai principi sopra richiamati e non interpreta correttamente le disposizioni normative sopra richiamate.
7. Con il terzo motivo, l’Agenzia delle Entrate denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 57 del d.lgs. n. 546/1992 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4 cod. proc. civ.. Sostiene che, diversamente da quanto ritenuto dalla C.T.R., in sede di appello non ha proposto una domanda nuova, ma ha piuttosto contestato la sentenza di primo grado nella parte in cui accoglieva acriticamente le ragioni del contribuente, nonostante quest’ultimo non avesse dimostrato il diritto al rimborso delle somme richieste, e sottolinea che, vertendosi nella fattispecie in esame in una impugnazione avverso il silenzio-rifiuto formatosi su istanza di rimborso e non avverso un atto impositivo, il ricorrente avrebbe dovuto provare i fatti costitutivi della propria pretesa, mentre l’Ufficio poteva limitarsi ad eccepire e provare fatti impeditivi di essa.
7.1. La censura è fondata.
Questa Corte ha già chiarito che « nel processo tributario, quando il contribuente impugni il silenzio rifiuto formatosi su una istanza di rimborso, deve dimostrare che, in punto di fatto, non sussiste nessuna delle ipotesi che legittimano il rifiuto, e l’amministrazione finanziaria può, dal canto suo, difendersi “a tutto campo”, non essendo vincolata ad una specifica motivazione di rigetto, con la conseguenza che “le eventuali falle” del ricorso introduttivo possono essere eccepite in appello dall’Amministrazione a prescindere dalla preclusione posta dall’art. 57 del d.lgs. n. 546/1992, in quanto, comunque, attengono all’originario “thema decidendum” (sussistenza o insussistenza dei presupposti che legittimano il rifiuto di rimborso), fatto salvo il limite del giudicato » (Cass. 11682 del 21/5/2007; n. 1133 del 19/1/2009; n. 21314 15/10/2010; n. 3338 del 11/2/2011).
7.2. Il divieto di proporre nuove eccezioni in appello, posto dall’art. 57, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, riguarda le eccezioni in senso tecnico, ma non limita la possibilità dell’Amministrazione di difendersi dalle contestazioni già dedotte in giudizio, perché le difese, le argomentazioni e le prospettazioni dirette a contestare la fondatezza di un’eccezione non costituiscono, a loro volta, eccezioni in senso tecnico.
Nella specie l’Agenzia delle Entrate si è limitata in appello a contestare, come emerge dalla sentenza impugnata, che il trattamento tributario dell’assegno alimentare era regolato dall’art. 46 del t.u.i.r. e non dal trattamento agevolativo di cui all’art. 34, comma 3, del d.P.R. 917/1986, applicabile esclusivamente ad indennità straordinarie, ed a mettere in dubbio la formazione del silenzio rifiuto e, quindi, a contestare i fatti costitutivi del rimborso richiesto dalla controparte, sicchè la pronuncia di inammissibilità resa dai giudici di appello risulta errata.
8. Con il quarto motivo, l’Agenzia delle Entrate deduce omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Nel rilevare che i giudici di appello, pur dichiarando l’inammissibilità dell’appello, si sono pronunciati anche nel merito della controversia, lamenta, sotto tale profilo, che la motivazione è carente poiché si sostanzia in un mero richiamo per relationem alle valutazioni già compiute dai giudici di primo grado, contestate dall’Ufficio con i motivi di gravame.
8.1. Il motivo è fondato.
8.2. La Commissione regionale, affermando che l’appello appare infondato anche nel merito “per le condivisibili motivazioni della sentenza di primo grado”, ha omesso di esplicitare le ragioni logico-giuridiche poste a fondamento del proprio convincimento, incorrendo in tal modo in un evidente vizio di motivazione.
Infatti, la motivazione omessa o insufficiente è configurabile qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, e non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, n. 24148 del 25/10/2013). La sentenza pronunziata in sede di gravame, pertanto, è legittimamente motivata “per relationem” ove il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo adeguato e corretto, ovvero purché il rinvio sia operato sì da rendere possibile ed agevole il controllo, dando conto delle argomentazioni delle parti e della loro identità con quelle esaminate nella pronuncia impugnata, mentre va cassata la decisione con cui il giudice si sia limitato ad aderire alla decisione di primo grado senza che emerga, in alcun modo, che a tale risultato sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame. (Cass. n. 14786 del 19/07/2016).
9. Con il quinto motivo, la ricorrente deduce che i giudici di secondo grado, accogliendo la tesi espressa dal giudice di primo grado, hanno violato o, comunque, erroneamente applicato l’art. 34, terzo comma, del d.P.R. 601/1973.
9.1. L’accoglimento del quarto motivo consente di ritenere assorbito il quinto motivo.
10. In conclusione, in accoglimento del primo, del secondo, del terzo e del quarto motivo, assorbito il quinto motivo, la sentenza va cassata con rinvio della causa alla Commissione tributaria regionale della Calabria, in diversa composizione, per il riesame, oltre che per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo, il secondo, il terzo ed il quarto motivo, assorbito il quinto motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della Calabria, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- Corte di Cassazione ordinanza n. 18310 depositata il 7 giugno 2022 - L'obbligatorietà dell'integrazione del contraddittorio nella fase dell'impugnazione, al fine di evitare giudicati contrastanti nella stessa materia e tra soggetti già parti del…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 14801 depositata il 10 maggio 2022 - La produzione dell'avviso di ricevimento del piego raccomandato contenente la copia del ricorso per cassazione spedita per la notificazione a mezzo del servizio postale ai…
- Corte di Cassazione sentenza n. 16694 depositata il 24 maggio 2022 - Obbligo del giudice di disporre l'integrazione del contraddittorio nell'ipotesi di litisconsorzio necessario processuale; invero, il concetto di causa" inscindibile" (di cui all'art.…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 11543 depositata l' 8 aprile 2022 - In tema di sospensione del giudizio per pregiudizialità necessaria, salvo i casi in cui essa sia imposta da una disposizione normativa specifica che richieda di attendere la pronuncia…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 27 aprile 2021, n. 11044 - Il rapporto processuale facoltativo tra più soggetti nella fase d'introduzione del giudizio potendo il creditore agire separatamente, a norma dell'art. 1944, comma 1, cod. civ., nei confronti…
- Corte di Cassazione, sezione tributaria, ordinanza interlocutoria n. 6205 depositata il 1° marzo 2023 - Rinvio alle Sezioni unite per accertare se l’art. 53, comma 2, del decreto legislativo n. 546 del 1992, disciplini o meno un litisconsorzio…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- E illegittimo il licenziamento del dipendente in m
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 8381 depositata…
- Illegittimo il licenziamento per inidoneità fisica
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 9937 depositata…
- Nel giudizio civile con il gratuito patrocinio la
La Corte costituzionale con la sentenza n. 64 depositata il 19 aprile 2024, inte…
- Il titolare del trattamento dei dati personali é r
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella causa C-741/2021 depositat…
- Bancarotta fraudolente distrattiva è esclusa se vi
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 14421 depositata il 9…