CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 febbraio 2019, n. 3450
Tributi – ICI – Terreno di pertinenza del fabbricato adibito ad abitazione principale – Esclusione – Separata iscrizione nel catasto terreni – Mancata indicazione nella dichiarazione ICI – Eccezione del vincolo di pertinenzialità in sede contenziosa – Inammissibile
1. Ritenuto che
La controversia concerne l’impugnazione di un accertamento ai fini ICI per l’anno 2005 in relazione ad un terreno che non veniva riconosciuto dal Comune come pertinenza del fabbricato adibito ad abitazione principale del contribuente, bensì ritenuto quale area edificabile autonoma. Il ricorso era respinto sulla base della rilevata separata iscrizione in catasto del terreno in questione almeno fino al 2010 e della attualità di una potenzialità edificatoria favorita dalle apprezzabili dimensioni del terreno stesso che misurava mq 1477.
L’appello era rigettato con la sentenza in epigrafe, ritenendo il giudicante assenti nella specie gli elementi fattuali da cui inferire la sussistenza di un vincolo di pertinenzialità tra fabbricato e terreno adiacente, anche alla luce della mancata dichiarazione in denuncia da parte del contribuente di siffatta pertinenzialità: l’utilizzazione del terreno come giardino non poteva ritenersi elemento sintomatico di un asservimento dell’area al servizio e ornamento dell’edificio.
Avverso tale sentenza il contribuente propone ricorso per cassazione con tre motivi.
L’ente locale resiste con controricorso.
2. Preso atto che il RG. non ha depositato conclusioni scritte e che le parti non hanno prodotto memorie;
3. Considerato che occorre valutare preliminarmente – in quanto l’eventuale accoglimento potrebbe esser risolutivo della controversia – l’eccezione di giudicato sollevata dalla parte controricorrente in relazione alla sentenza della CTP di Pescara n. 186/1/2012 pronunciata tra le stesse parti e non impugnata, con la quale sarebbe stato accertato, con riferimento all’accertamento ICI per l’anno 2004, il carattere non pertinenziale del terreno oggetto della presente controversia.
4. Considerato che l’eccezione non merita accoglimento sulla base dell’orientamento espresso da questa Corte secondo il quale «in tema di ICI, la sentenza che abbia deciso con efficacia di giudicato relativamente ad alcune annualità fa stato con riferimento anche ad annualità diverse, in relazione a quei fatti che appaiano elementi costitutivi della fattispecie a carattere tendenzialmente permanente ma non con riferimento ad elementi variabili» (Cass. n. 1300 del 2018; Cass. n. 18923 del 2011). Il vincolo pertinenziale va infatti considerato tra quest’ultimi in quanto esso presuppone «un elemento oggettivo, consistente nella materiale destinazione del bene accessorio ad una relazione di complementarità con quello principale, e un elemento soggettivo, consistente nella effettiva volontà del titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale sui beni collegati, di destinare il bene accessorio al servizio o all’ornamento del bene principale» (Cass. n. 869 del 2015): sicché dal fatto che un immobile non costituisca nel 2004 una pertinenza di altro immobile (come emerge nel caso dalla sentenza CTP Pescara n. 186/18/2012), non può inferirsi, per questo solo fatto, che tra di essi manchi il vincolo pertinenziale anche nel successivo anno 2005 (al quale si riferisce l’accertamento in questa sede contestato), ma occorre una specifica e diretta verifica della situazione esistente in tale ultimo anno.
5. Considerato che tuttavia la sentenza CTP Pescara n. 186/18/2012, se non può avere l’efficacia risolutiva che avrebbe ove potesse ad essa essere riconosciuta la forza del giudicato, può essere illuminante per comprendere se effettivamente la situazione sia mutata e il vincolo pertinenziale che non era stato possibile riconoscere esistente per il 2004, lo fosse invece per il 2005.
6. Considerato che tanto premesso può essere esaminato il ricorso valutando unitariamente il primo (con il quale la sentenza impugnata è censurata per violazione dell’art. 817 cod. civ.) e il secondo motivo dell’impugnazione (con il quale la sentenza impugnata è censurata per violazione dell’art. 10, d.lgs. n. 504 del 1992), in quanto strettamente correlati con riferimento al sistema della decisione.
7. Considerato che ad avviso della parte ricorrente il giudice d’appello avrebbe erroneamente disatteso l’orientamento della Suprema Corte sull’interpretazione dell’art. 817 cod. civ. assegnando rilevanza decisiva al difetto della “graffatura” della pertinenza nella mappa catastale (da valere, invece, come mera rappresentazione grafica del rapporto tra due immobili legati da vincolo pertinenziale).
8. Considerato che in verità non è così: il giudice d’appello ha accertato in fatto, con compiuta motivazione non adeguatamente censurata, la mancata prova da parte del contribuente che il terreno, presunta pertinenza, fosse stato con inequivoca espressione di volontà asservito in concreto e stabilmente al servizio del fabbricato (una ragione, non a caso, posta a fondamento anche della ricordata sentenza CTP Pescara n. 186/18/2012 relativa all’accertamento ICI per l’anno 2004 sul medesimo bene). Sicché il motivo è inammissibile, perché estraneo alla ratio decidendi, e comunque infondato.
9. Considerato che lo stesso può dirsi in ordine al secondo motivo di ricorso. Diversamente da quanto argomenta la parte ricorrente il giudice d’appello non ha contraddetto la giurisprudenza della Suprema Corte sull’emendabilità della denuncia ICI anche in sede contenziosa, in quanto nel caso di specie non si è in presenza di errori materiali o solo formali che possono per questo ritenersi emendabili. Basterà far riferimento alla ordinanza di questa Corte n. 13017 del 2012, che la parte ricorrente cita espressamente come se dalla stessa fosse ricavabile un sostegno alle tesi esposte nel ricorso, per comprendere quanto errata sia la prospettiva nella quale il ragionamento della parte ricorrente si muove. Infatti, la citata ordinanza enuncia il seguente principio : «In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), al contribuente che non abbia evidenziato nella dichiarazione l’esistenza di una pertinenza non è consentito contestare l’atto con cui l’area asseritamente pertinenziale viene assoggettata a tassazione, deducendo solo nel giudizio la sussistenza del vincolo di pertinenzialità» (il principio è stato confermato recentemente da Cass. n. 25753 del 2018).
10. Considerato, infine, che infondato è il terzo motivo di ricorso con il quale si imputa alla sentenza impugnata una supposta violazione dell’art. 15, d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 91 cod. proc. civ. per aver condannato il contribuente alle spese di lite, liquidate in euro 1.000, 00. Orbene la condanna alle spese risponde nel caso di specie al criterio della soccombenza, a nulla rilevando né la circostanza (peraltro indimostrata) che il contribuente non abbia arrecato un danno erariale, né la misura dell’imposta dovuta.
10. 1. Peraltro nessuna censura appare mossa nel ricorso in ordine al provvedimento di liquidazione delle spese circa la non correttezza dei parametri utilizzati e il mancato rispetto delle relative tabelle: è inammissibile una censura generica circa una supposta eccessività delle spese liquidate, senza che siano specificate «analiticamente le voci e gli importi considerati in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore» (v. Cass. n. 18086 del 2009; Cass. n. 30716 del 2017).
11. Ritenuto pertanto che il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente alle spese della presente fase del giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese della presente fase del giudizio che liquida in complessi euro 500,00 per compensi, oltre spese forfettarie e oneri di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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