CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 febbraio 2019, n. 3457
Tributi – IRPEF – Ritenute operate su redditi di lavoro dipendente – Lavoratore italiano residente in Belgio che svolgeva l’attività lavorativa esclusivamente in Belgio – Istanza di rimborso del sostituto d’imposta – Legittimità
Rilevato che
1. C.L.S. Inc., società statunitense, con stabile organizzazione in Italia, con istanza ex art. 38, del d.P.R. n. 602/1973, datata 29/07/2004, chiedeva all’Agenzia delle entrate di Bologna il rimborso delle ritenute d’acconto IRPEF, per le annualità 2000-2002, effettuate, come sostituto d’imposta, sui redditi di lavoro dipendente, per l’attività svolta all’estero, da G. M., residente in Belgio ed iscritto all’AIRE dal 10/08/2000, assumendo di averle versate all’erario per mero errore in quanto il lavoratore non era più residente in Italia e svolgeva la propria attività lavorativa esclusivamente in Belgio, dove pagava le tasse;
il 13/01/2006 l’Agenzia delle entrate comunicava alla società che la pratica era stata trasmessa, per competenza, al Centro Operativo di Pescara;
in data 20/06/2008, la società impugnava il silenzio-rifiuto dell’Amministrazione finanziaria dinanzi alla CTP di Pescara, la quale, con sentenza n. 199/2009, accoglieva il ricorso;
2. avverso tale decisione l’Ufficio ha interposto appello dinanzi alla CTR dell’Abruzzo che, con la sentenza indicata in epigrafe, ha rigettato il gravame;
in particolare, la Commissione tributaria regionale, disattendendo la relativa eccezione dell’appellante, ha ravvisato la legittimazione ad agire della società, in qualità di sostituto d’imposta; quanto al merito della vicenda tributaria, la CTR ha escluso che alla fattispecie concreta sia applicabile la Convenzione Italia-Belgio contro le doppie imposizioni per mancanza di un qualche criterio di collegamento che rendesse il reddito di lavoro dipendente imponibile in entrambi i paesi aderenti alla Convenzione;
al riguardo, la CTR ha ritenuto provato, da parte della società, avente una stabile organizzazione in Italia (che manteneva attiva, in Italia, la posizione previdenziale di M., senza però pagargli lo stipendio), che il lavoratore, per il quale era stata effettuata la ritenuta, non era un suo dipendente, risiedeva in Belgio, dove lavorava – da anni – presso una filiale della compagine statunitense;
in altre parole, egli non produceva redditi né era residente in Italia e non prestava nemmeno la propria attività lavorativa in favore di un ente residente in Italia, sicché il suo reddito di lavoro era tassabile solo in Belgio e C. L. S. Inc., per mero errore, aveva versato delle somme, che le dovevano essere rimborsate;
3. l’Agenzia delle entrate ricorre, sulla base di cinque motivi, per la cassazione della sentenza della CTR;
la società resiste con controricorso, illustrato con una memoria ex art. 380-bis 1. cod. proc. civ.;
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso, denunciando la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 38, del d.P.R. n. 602/1973, 100 cod. proc. civ., l’Ufficio censura l’errore di diritto della sentenza impugnata per avere ravvisato la sussistenza dell'”interesse ad agire” della società, trascurando che, ai sensi dell’art. 38, cit., come si esprime la ricorrente: “è la società che agisce per conto di un terzo soggetto, che invece era l’unico legittimato attivo ad azionare ¡1 diritto in base alle norme sopra indicate. Ne consegue sul punto la totale carenza di legittimazione del soggetto istante” (cfr. pag. 4 del ricorso per cassazione);
2. con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 75, del d.P.R. n. 600/1973, 28 della Convenzione Italia-Belgio, l’Ufficio censura la sentenza impugnata per non avere dichiarato l’improponibilità/inammissibilità del ricorso, per carenza d’interesse della C. L. S. Inc. poiché, ai sensi delle norme appena richiamate, l’unico soggetto “legittimato ad agire” era il dipendente M.;
2.1. i primi due motivi, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono infondati;
la CTR ha riconosciuto la legittimazione ad agire dell’appellata, dopo avere rimarcato che persino l’Ufficio aveva ammesso che, ai sensi dell’art. 38, del d.P.R. n. 602/1973, la società era legittimata a chiedere il rimborso della somma erroneamente versata come sostituto d’imposta;
a giudizio di questa Corte tale profilo della sentenza d’appello è conforme al fermo orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui: «In tema di rimborso delle imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973, sono legittimati a richiedere all’Amministrazione finanziaria il rimborso della somma non dovuta e ad impugnare l’eventuale rifiuto dinanzi al giudice tributario sia il soggetto che ha effettuato il versamento (cd. “sostituto d’imposta”), sia il percipiente delle somme assoggettate a ritenuta (cd. “sostituito”).» (Cass. 29/07/2015, n. 16105);
3. con il terzo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 28, comma 2, della Convenzione Italia-Belgio e la mancata formazione del silenzio-rifiuto a causa dell’incompletezza documentale dell’istanza di rimborso, l’Ufficio censura la sentenza impugnata per non avere dichiarato l’improponibilità del ricorso per carenza, di un “valido provvedimento impugnabile”, in quanto l’istanza di rimborso della C. L. S. Inc. non era corredata dell’idoneo attestato ufficiale previsto dall’art. 28, comma 2, della detta Convenzione, il che, appunto, secondo la tesi erariale, impediva il formarsi di qualsiasi silenzio- rifiuto impugnabile;
sotto altro profilo (che l’Agenzia qualifica come “requisito soggettivo”), si critica l’errore dei giudici di merito che non avrebbero valutato correttamente la presenza della doppia imposizione (che la Convenzione Italia-Belgio mira ad evitare), in mancanza della dimostrazione, da parte della società statunitense, che i redditi di lavoro del dipendente erano stati dichiarati in Belgio, quale aspetto essenziale del thema decidendum, posto che l’accordo tra i due Stati è volto ad impedire che si crei una sorta di “terra di nessuno”, nella quale un certo reddito non viene assoggettato ad alcuna tassazione;
3.1. il motivo è inammissibile, per varie ragioni;
per un verso, è opportuno ricordare che, in tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni non affrontate dalla sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio (Cass. 9/08/2018, n. 20694);
ebbene, nel caso in esame, la sentenza della CTR non fa menzione della doglianza dell’Ufficio relativa all’assenza di un “valido provvedimento impugnabile”, sicché questa Corte non è posta nella condizione di valutare se l’Agenzia avesse già dedotto, nei gradi di merito, l’inesistenza di un diniego tacito dell’istanza di rimborso ex art. 38 cit., o se, al contrario, la questione sia stata sollevata, per la prima volta, in modo non consentito, in questo giudizio di legittimità;
per altro verso, il Collegio intende dare continuità al pacifico indirizzo della Corte, per il quale la valutazione degli elementi probatori è attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile in cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento (Cass. 26/01/2015; in senso conforme, ex multis: Cass. 30/04/2015, n. 8762);
per di più, si osserva che la scelta dei mezzi istruttori utilizzabili per il doveroso accertamento dei fatti rilevanti per la decisione è rimessa all’apprezzamento discrezionale, ancorché motivato, del giudice di merito, ed è censurabile, quindi, in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione e non della violazione di legge (Cass. 20/09/2013, n. 21603);
anche da tale punto di vista, pertanto, la doglianza è inammissibile perché prospettata come violazione di legge, anziché come lacuna dell’apparato argomentativo della decisione;
la censura, infine, non si misura con la ratio deciderteli della sentenza impugnata che, come suaccennato, nega in radice l’applicabilità del regime convenzionale, muovendo dal presupposto di fatto, accertato dalla CTR, con apprezzamento incensurabile in questa sede (se non come vizio dello sviluppo motivazionale della sentenza), dell’assenza di criteri di collegamento idonei a rendere tassabile, in Italia, il reddito di lavoro del dipendente;
4. con il quarto motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 23 della Convenzione Italia-Belgio, contro la doppia imposizione, l’Ufficio assume che, in caso di tassazione da parte di entrambi gli Stati contraenti, l’art. 23 cit. riconosce la possibilità di concedere un credito d’imposta per i tributi pagati all’estero, ferma la constatazione che, nella specie, non è dato sapere se M. si sia avvalso o meno di tale facoltà;
4.1. il motivo è inammissibile;
in esso, infatti, l’Ufficio non rivolge alcuna specifica censura alla sentenza impugnata, ma si limita ad illustrare il contenuto dell’art. 23 della citata Convenzione bilaterale;
5. con il quinto motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 2697 cod. civ., 28, comma 2, della Convenzione Italia-Belgio, l’Ufficio censura il mancato assolvimento, da parte della società statunitense, dell’onere della prova, quale requisito imprescindibile dell’istanza di rimborso, in assenza della produzione, in sede amministrativa o in sede contenziosa, del certificato di residenza fiscale;
5.1. il motivo è inammissibile, per le stesse ragioni esposte con riferimento al terzo mezzo d’impugnazione;
inoltre, è il caso di rimarcare che la sentenza impugnata non fa menzione del rilievo dell’Ufficio relativo all’omessa produzione, ad opera della controparte, in fase amministrativa e contenziosa, del “certificato di residenza fiscale”, e si limita a riportare, in narrativa, la doglianza dell’Ufficio, secondo cui “la documentazione presentata era incompleta” (cfr. pag. 2 della sentenza), sicché non è dato sapere se l’Agenzia, con quella critica generica, alludesse proprio all’omessa produzione di tale certificato;
pertanto, sarebbe stato onere dell’Agenzia – che, invece, non lo ha assolto – indicare, con precisione, in quale atto del giudizio avesse dedotto l’omessa produzione, da parte della società, del certificato di residenza fiscale;
6. ne consegue il rigetto del ricorso;
7. si reputa congruo compensare, tra le parti, le spese del giudizio di legittimità in quanto la contribuente, con l’erroneo versamento delle ritenute d’acconto IRPEF, ha determinato l’avvio della controversia.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; compensa, tra le parti, le spese del giudizio di legittimità.
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