CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 febbraio 2019, n. 3464
Lavoro – Impresa familiare – Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato – Erronea qualificazione del rapporto
Rilevato che
La Corte di appello di Bari con la sentenza n. 1730/2016 aveva rigettato gli appelli proposti da C.A. e V.R. avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Foggia aveva ritenuto non accertata l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra la V. e T.A. (dante causa della C.) dall’ottobre 2000 al gennaio 2006, che la prestazione fornita dalla V. era inquadrabile in una ipotesi di partecipazione a una impresa familiare di cui all’art. 230 bis c.c., e che pertanto nulla le spettava per il periodo sino al gennaio 2006. Per il periodo successivo era stato stipulato tra le parti un contratto di apprendistato (decorrenza 1 febbraio 2006) conclusosi per recesso datoriale, rispetto al quale spettavano alla lavoratrice le differenze retributive non percepite dal recesso alla scadenza del detto contratto.
La sentenza del Tribunale era stata impugnata da entrambe le parti.
La Corte di appello ha sostanzialmente confermato la decisione del primo giudice peraltro rilevando come il rapporto di lavoro in questione fosse terminato in data 28 agosto 2006, a nulla rilevando la documentazione attestante la chiusura in tale data della pizzeria, e rilevando altresì come non fosse risultata provata la circostanza delle dimissioni della lavoratrice ma quella della iniziativa datoriale. Quest’ultima era quindi considerata quale illegittimo recesso ante tempus dal contratto di apprendistato stipulato tra le parti rispetto al quale correttamente il tribunale aveva liquidato il danno conseguito ex art. 1226 c.c.
Quanto all’appello incidentale della lavoratrice la corte territoriale rilevava la erronea qualificazione del rapporto in questione quale compartecipazione all’impresa familiare, e, a seguito delle risultanze istruttorie acquisite, escludeva la esistenza di un rapporto lavorativo tra le parti per il periodo antecedente al contratto di apprendistato.
Avverso detta decisione proponeva ricorso C.A. A. affidandolo a due motivi cui resisteva con controricorso V.R. che provvedeva a depositare anche successiva memoria.
Considerato che
1) Con il primo motivo del ricorso è denunciata la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.) in relazione al D.lgs. n. 276/2003, l. n. 604/66 art. 18 l. n. 300/70 e art. 1226 c.c., per aver la corte territoriale errato nel qualificare il rapporto di lavoro in esame quale apprendistato, assoggettato a termine di scadenza anziché a tempo indeterminato e nel ritenere lo stesso cessato per licenziamento orale.
Ritiene il ricorrente errata tale qualificazione e da ciò la applicazione dell’art. 1226 cc.
La sentenza impugnata ha effettivamente fatto riferimento a contratto di apprendistato a tempo determinato, non confrontandosi con la qualificazione di tale tipo di rapporto secondo i principi in proposito, enucleati dal giudice di legittimità. A riguardo è stato chiarito che “Il contratto di apprendistato, anche nel regime normativo di cui alla l. n. 25 del 1955, si configura come rapporto di lavoro a tempo indeterminato a struttura bifasica, nel quale la prima fase è contraddistinta da una causa mista (al normale scambio tra prestazione di lavoro e retribuzione si aggiunge l’elemento specializzante costituito dallo scambio tra attività lavorativa e formazione professionale), mentre, nella seconda, soltanto residuale, perché condizionata al mancato recesso ex art. 2118 c.c., il rapporto (unico) continua con la causa tipica del lavoro subordinato; ne consegue che, nel caso di licenziamento intervenuto nel corso del periodo di formazione, è inapplicabile la disciplina relativa al licenziamento “ante tempus” nel rapporto di lavoro a tempo determinato” (Cass. 17373/2017; Cass. n. 5051/2016).
Deve peraltro rilevarsi che se pur in rapporto fosse stato correttamente qualificato a tempo indeterminato, lo stesso sarebbe cessato per effetto del recesso datoriale come accertato dalla stessa corte con la conseguente evidente carenza di attuale interesse in capo al ricorrente rispetto al motivo di censura. Il motivo deve essere rigettato,
2) Con il secondo motivo è denunciato l’omesso e contraddittorio esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c.). In particolare la ricorrente si duole della mancata valutazione della missiva 5.12.2006 con la quale il datore di lavoro si dichiarava disponibile alla ripresa del lavoro da parte della V. nonché la circostanza della chiusura della pizzeria nel giorno in cui la lavoratrice sarebbe stata licenziata.
Il motivo risulta inammissibile in quanto si è in presenza di una “doppia conforme”, ovvero di una eguale valutazione di entrambi i giudici di merito sul punto specifico. A riguardo questa Corte ha precisato che “alla stregua dell’art. 348-ter ultimo comma c.p.c., nella specie applicabile, il ricorrente in cassazione, per evitare la delibazione di inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., avrebbe dovuto indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrandone la diversità” (cfr., da ultimo, Cass. 14416/2015; inoltre, ex multis, Cass. 5528/2014); ciò, nel ricorso all’esame non è stato fatto, così come non è stato indicato il “dove” e “come” le missioni denunciate sono state trattate negli altri gradi, in tal modo costituendo ulteriore profilo di inammissibilità della censura.
Il ricorso è infondato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E. 4.000,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Con distrazione al procuratore antistatario.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis, dello stesso articolo 13.
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