CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 febbraio 2020, n. 2841
Tributi – TARSU – Attività di accertamento e riscossione – Affidamento del servizio a società concessionaria – Delibere del Comune – Validità
Fatto
Considerato che:
Con sentenza nr 4911/2017 la CTR della Campania, sez distaccata di Salerno, accoglieva l’appello proposto da Assoservizi avverso la sentenza della CTP con cui era stata accertata la carenza di legittimazione attiva in capo alla società concessionaria in relazione all’avviso di accertamento Tarsu emesso nei confronti di P. M. per il periodo 2009 e 2012 per effetto dell’annullamento delle delibere nr 38, 90 e nr 187 del 2014 da parte del Comune di Avellino relative all’affidamento del servizio.
Il Giudice di appello osservava che doveva ritenersi sussistente il potere di accertamento non ravvisandosi, nella predette delibere che ben possono essere vagliate, in via incidentale, alcuno vizio di legittimità sia sotto il profilo formale che sostanziale.
Evidenziava, comunque, che la delibera con cui il comune aveva annullato le delibere di affidamento del servizio era stata annullata dal Tar con sentenza nr 2338/2015 sicché non vi era alcuna ragione per ritenere insussistente il potere di riscossione e di accertamento, potere che era stato in ogni caso confermato dalla delibera nr 239 che aveva convalidato l’attività svolta sino al 16.3.2015. Rilevava che le contestazioni di merito sollevate dalla parte contribuente erano connotate da una estrema genericità e che pertanto si doveva confermare la correttezza del calcolo dell’imposta anche in relazione alla superficie tassabile. Avverso tale sentenza P. M. propone ricorso per cassazione affidato a 3 motivi cui resiste con controricorso la società Assoservizi s.r.l.
Diritto
Considerato che
Con un primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art 360 nr 3 e 5 c.p.c. in riferimento all’art 52 del Dlvo 446/1997 nonché agli art 56 e 57 del Divo 2006/163.
Censura, in particolare, la valutazione espressa dalla CTR in relazione alle delibere comunali nr 83,90 e 187 del 2014 ritenendola carente di motivazione. Con un secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art 360 nr 3 c.p.c. in riferimento alle norme fondamentali in materia tributaria.
Critica, in specie, l’affermazione della CTR laddove esclude che l’avviso di accertamento dovesse recare la firma del responsabile del servizio tributi e ciò in contrasto con gli art 1 e 2 del RD nr 639/1910 e dell’art 49 del DPR 602/1973 e degli art 67 e 68 del DPR nr 43/1988 quantunque abrogato dall’art 68 del Dlvo nr 112/1999.
Con il terzo motivo deduce la violazione dell’art 360 nr 3 e 5 c.p.c. in relazione alle norme riguardanti i criteri di determinazione delle superfici degli immobili da utilizzare come base di calcolo.
Sostiene che sin dal ricorso introduttivo e successivamente in sede di costituzione avanti alla CTR aveva contestato l’erronea applicazione dei criteri utilizzati dalla Assoservizi per la determinazione delle superfici da assoggettare a tassazione.
Lamenta in particolare che l’ente concessionario non avrebbe fatto buon governo dei principi contenuti nel DPR 138/1998.
In ordine al primo motivo di ricorso e alla prospettata carenza di motivazione circa la legittimità dell’affidamento in concessione del servizio di accertamento, liquidazione e riscossione della tarsu in cui sarebbe incorso il giudice di appello la censura è generica e non si confronta con la ratio decidendi.
La decisione impugnata sul punto ha ritenuto non solo di poter sindacare incidenter tantum la legittimità delle delibere comunali di affidamento dell’incarico oggetto di annullamento, sulla base dell’art 2 del divo nr 546/1992 esprimendo una sua valutazione ma ha anche rilevato che il provvedimento caducatorio emesso dal Comune era stato, a sua volta, annullato dal Giudice amministrativo sottolineando altresì che il potere di accertamento e riscossione era stato con delibera nr 239 sino al 16.3.2013 arco temporale in cui rientrava ratione temporis anche l’avviso di accertamento oggetto di causa.
Con riguardo al secondo punto (mot. n. 2) la decisione si sottrae alla critica che le viene mossa.
Questa Corte ha più volte ribadito il principio generale per cui in caso di affidamento in concessione dei servizi di accertamento e riscossione dei tributi locali, la legittimazione impositiva attiva deve intendersi trasferita dal Comune in capo al concessionario e, quindi, quest’ultimo è il soggetto tenuto all’emissione dell’avviso di accertamento e all’introito diretto del gettito tributario, essendo tali attività riconducibili al circuito di applicazione-gestione-riscossione del tributo (Cass 2017 nr 17491; 26401/2019; 7794/2019)
Non varrebbe obiettare che, trattandosi di materia impositiva, la legittimazione all’accertamento non potrebbe che spettare, in via esclusiva, all’ente pubblico in quanto titolare della relativa pretesa; oltre che destinatario finale dell’introito.
Va infatti considerato che – ferma restando la natura tributaria e non corrispettiva della TIA (C. Cost. sent. 238/09) come della Tarsu – non si verte tuttavia, nella specie, di estrinsecazione autoritativa di attività impositiva; bensì di attuazione in concreto di una pretesa impositiva i cui presupposti applicativi e parametri economici di debenza sono stati, in effetti, precedentemente tutti individuati proprio dal Comune, nell’osservanza di quanto stabilito dalla legge. In altri termini, se è vero che l’attività impositiva delegata dalla legge statale non può che spettare in via esclusiva all’ente locale (art. 49 cit., comma 8: “la tariffa è determinata dagli enti locali, anche in relazione al piano finanziario degli interventi relativi al servizio”), inteso quale soggetto attivo e responsabile dell’imposizione, altrettanto indubbio è che l’emissione dell’avviso di accertamento non rientra nell’esercizio di siffatta attività, quanto in quella di gestione e recupero del tributo secondo la disciplina già emanata dallo stesso Comune con le Delib. di approvazione dei regolamenti concernenti il servizio raccolta rifiuti e della relativa tariffa.
Non viene dunque qui inficiato il principio secondo cui: “l’affidamento da parte dell’ente locale della gestione dei rifiuti urbani ad un gestore esterno, ai sensi del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 23, non comporta, né consente, il trasferimento del potere di determinare la tariffa prevista dal successivo art. 49; sia perché deve essere l’ente impositore, assumendosene la responsabilità politica, ad individuare il gettito ritenuto sufficiente per la gestione del servizio da affidare a terzi, sia perché, altrimenti, operando il gestore in regime di monopolio, la tariffa sarebbe sostanzialmente determinata al di fuori di ogni tipo di controllo, sia quello privato della concorrenza, sia quello politico” (Cass. SSUU n. 8313/10).
In ambito analogo (ICI) è stato affermato il principio di legittimità secondo cui: “qualora il Comune, in applicazione del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 52, che regola la potestà regolamentare generale delle Province e dei Comuni / in materia di entrate, anche tributarie, affidi il servizio di accertamento e riscossione della tassa, mediante apposita convenzione, ai soggetti terzi indicati nelle norme suddette, il potere di accertamento del tributo spetta non già al Comune, ma al soggetto concessionario, ai quali è pertanto attribuita anche la legittimazione processuale per le relative controversie” (Cass. n. 1138 del 21/01/2008; così 6772/10 e 20852/10).
Lo stesso principio è inoltre desumibile – sebbene a contrario – anche da quella giurisprudenza di legittimità formatasi proprio in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani del D.Lgs. 5 febbraio 1997. n. 22. ex art. 49: dalla quale si evince che, fermo restando il potere del Comune di accertare e riscuotere la tassa di smaltimento (TARSU) in vigore prima della sua sostituzione ad opera della tariffa (TIA), tale potere va invece riconosciuto – all’esito del regime transitorio di introduzione di quest’ultima, come qui rilevante – proprio al “soggetto che gestisce il servizio” in forza di concessione; e ciò anche per quanto concerne la legittimazione processuale nelle relative controversie (Cass. 4893/13; 1179/04).
Correttamente pertanto in questo quadro la CTR ha escluso che fosse richiesta la sottoscrizione del responsabile comunale del servizio in calce all’avviso di accertamento in quanto all’epoca lo stesso era svolto dal concessionario cui spettavano i poteri di accertamento, liquidazione e riscossione.
Con riguardo al terzo motivo occorre premettere che, dopo la modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito in L. n. 134 del 2012 – applicabile alla sentenza impugnata in quanto pubblicata successivamente alla data del 11 settembre 2012 di entrata in vigore della norma modificativa – non trova più accesso al sindacato di legittimità della Corte il vizio di mera insufficienza della motivazione, qualora dalla sentenza sia evincibile una relazione logica tra la premessa in fatto e la conseguenza in diritto che deve giustificare il decisum.
Resta, dunque, estranea al vizio di legittimità in esame sia la censura di “contraddittorietà” della motivazione, quanto la censura di “insufficienza” dello svolgimento argomentativo.
La nuova formulazione del vizio di legittimità introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b) convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134, ha infatti limitato la impugnazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, sicché, al di fuori di tale omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, ed individuato in relazione alle ipotesi che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità.
Ciò posto nel caso di specie la CTR ha ritenuto che la genericità dei rilievi mossi all’avviso di accertamento non ne consentissero di scalfire la sua fondatezza anche per quel che attiene alla superficie.
Rispetto alla suddetta valutazione compiuta dal giudice del gravame, parte ricorrente si limita a contestare l’insufficienza della motivazione per quanto riguarda le modalità di calcolo senza tuttavia riprodurre, in difetto del principio di specificità del motivo di ricorso, il contenuto dell’avviso di accertamento e quanto in esso riportato nonché delle censure sollevate in sede di appello, al fine di consentire a questa Corte di apprezzare la rilevanza del motivo di censura in esame e di consentirne il controllo al giudice di legittimità, che non può sopperire alle lacune dell’atto di impugnazione con indagini integrative.
Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo secondo i criteri vigenti.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese della presente fase che si liquidano in complessive € 400,00 oltre accessori di legge ed al 15% per spese generali; dà atto ,ai sensi del DPR nr 115 del 2002, art 13,comma quater,della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo dì contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso se dovuto.
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