CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 giugno 2018, n. 14711
Imposte dirette – IRPEF – Accertamento – Redditometro – Riscossione
Rilevato
– che, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento “redditometrico” ex art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973 di maggiori redditi ai fini IRPEF relativi all’anno di imposta 2008, con la sentenza in epigrafe la Commissione tributaria regionale del Veneto annullava il predetto atto impositivo ritenendo che, «con riferimento alla valenza da attribuire alle rate di mutuo relativo all’acquisto di un immobile», doveva farsi applicazione delle disposizioni introdotte dal d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, «che dà rilevanza alle sole rate di mutuo pagate» e che il contribuente avesse fornito la prova di avere la disponibilità di un reddito adeguato per sostenere le spese per gli incrementi patrimoniali accertati dall’amministrazione finanziaria, costituito dallo «smobilizzo patrimoniale che ha operato nel 2008 (cessione di azioni della Società S. S.p.A.)»;
– che avverso tale statuizione l’Agenzia ricorrente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui replica l’intimato con controricorso e ricorso incidentale affidato a due motivi;
– che sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale il controricorrente ha depositato memorie;
– che il Collegio ha deliberato la redazione della motivazione dell’ordinanza in forma semplificata;
Considerato
– che va preliminarmente rigettata, perché infondata, l’eccezione sollevata dal controricorrente, di inammissibilità del ricorso in quanto carente della descrizione dei fatti di causa di cui all’art. 366, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.; invero, anche a prescindere dal rilevare la completezza e chiarezza del contenuto “in fatto” del ricorso, va ricordato che «per soddisfare il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dal n. 3 dell’art. 366 cod. proc. civ., non è necessario che tale esposizione costituisca parte a sé stante del ricorso, ma è sufficiente che essa risulti in maniera chiara dal contesto dell’atto, attraverso lo svolgimento dei motivi»; principio questo, che applicato al caso di specie, rende l’eccezione manifestamente infondata, specie ove con la stessa si pretende, del tutto erroneamente, che in esso risulti «quali siano gli indici […] sulla base dei quali è stato conteggiato il presunto reddito» (controricorso, pag. 9), che è indicazione eventualmente rilevante ad altri fini;
– che con il primo motivo di ricorso, con cui viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973, la ricorrente censura la statuizione d’appello per avere la CTR erroneamente applicato il nuovo redditometro previsto dal d.m. del 24/12/2012, emanato sulla base del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, con riferimento a periodo di imposta precedente all’entrata in vigore di dette disposizioni;
– che in relazione a tale mezzo di cassazione va preliminarmente rilevata l’infondatezza dell’eccezione, sollevata dal controricorrente, di giudicato sulla questione della modalità di applicazione del nuovo redditometro, previsto dalle citate disposizioni, atteso che la CTR, diversamente da quanto si legge nel controricorso (pag. 13), non ha affatto «affermato che il c.d “vecchio redditometro” è stato proprio erroneamente applicato», ma che quel redditometro non doveva essere applicato affatto, perché sostituito da quello “nuovo”;
– che, ciò precisato, osserva il Collegio che il motivo di ricorso è infondato (se non addirittura inammissibile ex art. 360—bis, primo comma, n. 1, cod. proc. civ.) avendo la Commissione territoriale fatto corretta applicazione del condivisibile principio espresso da questa Corte nella sentenza n. 22285 del 2011, in base al quale «In tema di accertamento delle imposte sui redditi, il potere dell’Ufficio di determinare sinteticamente il reddito complessivo sulla scorta di indizi, in base all’art. 38, comma quarto, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, implica l’utilizzo di coefficienti presuntivi e, pertanto, legittima il riferimento a redditometri anche se contenuti in decreti ministeriali successivi, vertendosi in materia non di applicazione retroattiva di disposizioni normative, ma di valutazione di pertinenza nel caso in esame, in mancanza di circostanze di segno contrario, di parametri e calcoli statistici di provenienza qualificata e di attitudine indiziaria indipendente dal tempo dell’elaborazione»;
– che con il secondo motivo di ricorso la difesa erariale deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973 e 2697 cod. civ. sostenendo che aveva errato la CTR ad annullare l’avviso di accertamento redditometrico valorizzando la disponibilità da parte del contribuente del reddito proveniente da smobilizzo di azioni, senza valutare la durata del possesso di tale reddito;
– che il motivo è fondato e va accolto in quanto l’indirizzo giurisprudenziale, conforme alla statuizione di merito (cfr. Cass. n. 3804 e n. 20477 del 2017, n. 1332 del 2016; n. 22944 del 2015; n. 14885 del 2015, n. 25104 del 2014), in base al quale il contribuente può limitarsi a provare di avere la disponibilità di redditi idonei a giustificare le spese accertate, è stato superato da quelle pronunce della Corte, che il Collegio condivide e alle quali intende dare seguito, che ha invece ritenuto che, in base al contenuto precettivo della disposizione in esame, nella versione applicabile “ratione temporis”, la parte contribuente, seppur non debba dare la prova dell’effettiva destinazione del reddito esente o sottoposto a tassazione separata agli incrementi patrimoniali, deve comunque dare la dimostrazione dell’esistenza di tali redditi oltre che dell’entità degli stessi e della durata del loro possesso, «che costituiscono circostanze sintomatiche del fatto che la spesa contestata sia stata sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta» (Cass. n. 25104 del 2014; successive conformi, Cass. n. 3084 e n. 20477 del 2017, n. 1455, n. 1332 e n. 916 del 2016, nonché n. 22944, n. 14885 del 2015 e la n. 7339 del 2015 citata dalla CTR); al riguardo si è precisato che la norma in esame non richiede «un onere di dimostrazione, aggiuntivo, circa la provenienza oltre che l’effettiva disponibilità finanziaria delle somme occorrenti per gli acquisti operati dal contribuente», in quanto «una diversa interpretazione, in nessun modo correlata al tenore testuale del ricordato art. 38, comma 6, ult. cit., determinerebbe in definitiva, una sorta di trasfigurazione del presupposto impositivo, non più correlato all’esistenza di un reddito ma, piuttosto, all’esistenza di una spesa realizzata da redditi imponibili ordinari e congrui o da redditi esenti o da redditi assoggettati a ritenute alla fonte a titolo d’imposta» (Cass. n. 1455/2016); si è quindi ulteriormente osservato che, seppur la norma chieda qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi, ovvero che «l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione», e, quindi non il loro semplice “transito” nella disponibilità del contribuente, è anche vero che un tale tipo di prova non può ritenersi particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la “durata” di quel possesso (Cass. n. 8995 del 2014; conf. Cass. n. 3804 del 2017);
– che la sentenza della CTR, che a tale insegnamento non si è attenuta, va conseguentemente cassata sul punto;
– che con il primo motivo di ricorso incidentale, al cui esame deve a questo punto passarsi, il controricorrente deduce la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., sostenendo che la CTR aveva omesso di pronunciare sulla domanda con cui aveva contestato l’insussistenza del presupposto dello scostamento (almeno) biennale per avere l’amministrazione finanziaria illegittimamente condotto l’istruttoria fiscale con riferimento ad anno di imposta in relazione al quale erano decorsi i termini di accertamento e che, invece, la CTR si era limitata ad affermare la non necessità dell’emissione da parte dell’amministrazione finanziaria di un avviso di accertamento riferito a tale secondo anno d’imposta;
– che il motivo è manifestamente infondato in quanto si pone in contrasto con il noto principio giurisprudenziale (già affermato da Cass. n. 16788 del 2006; conf. n. 24155 del 2017) secondo cui «ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia»; incompatibilità nella specie ravvisabile con riferimento all’affermazione della CTR di non necessità di emissione di uno specifico avviso di accertamento in relazione al secondo anno di imposta verificato;
– che con il secondo motivo di ricorso incidentale il controricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 38 e 43 d.P.R. n. 600 del 1973 nonché del d.m. 128/1992 e succ. modif., sostenendo che la CTR aveva errato nel ritenere legittimo l’avviso di accertamento omettendo di rilevare che erano decorsi i termini di accertamento con riferimento ad anno di imposta precedente, e che quindi mancava il presupposto dello scostamento biennale;
– che il motivo è infondato; secondo il condivisibile orientamento di questa Corte (cfr. n. 26541 del 2008, n. 10972 del 2017) «ai fini dell’accertamento sintetico di cui all’art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, l’Ufficio non è tenuto a procedere all’accertamento contestualmente per due o più periodi d’imposta per i quali ritenga che la dichiarazione non sia congrua, tuttavia il relativo atto deve contenere, per un determinato anno d’imposta, la pur sommaria indicazione delle ragioni in base alle quali la dichiarazione si ritiene incongrua anche per altri periodi d’imposta, così da legittimare l’accertamento sintetico; con la conseguenza che il giudice tributario, a fronte della specifica eccezione del contribuente, non deve limitarsi ad accertare se l’Ufficio abbia preso in considerazione due o più anni [anche non] consecutivi [Cass. n. 237 del 2009 e n. 25645 del 20171, ma deve verificare se dall’atto di accertamento possano desumersi le ragioni per le quali l’Ufficio stesso abbia ritenuto non congrua la dichiarazioni per tali annualità»; ne consegue che è del tutto irrilevante la circostanza che siano decorsi i termini di accertamento con riferimento all’anno di imposta preso a riferimento ai fini dell’accertamento dell’esistenza di uno scostamento almeno biennale, perché quello che rileva è invece che sussiste detto scostamento anche con riferimento all’altro anno di imposta preso in considerazione e che nell’atto impositivo ne sia data congrua motivazione;
– che, conclusivamente, va accolto il secondo motivo del ricorso principale, rigettati il primo motivo ed i due motivi del ricorso incidentale;
la sentenza va, quindi, cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla competente CTR per nuovo esame e per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso principale, rigetta il primo e i motivi di ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale del Veneto, Sezione staccata di MESTRE„ in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della 1. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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