CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 giugno 2019, n. 15374
Mobilità volontaria – Inquadramento – Rivendicazioni
Rilevato che
1. con sentenza n. 237/2014 del 10 aprile 2015 la Corte di appello di Ancona confermava la decisione del Tribunale di Macerata che aveva respinto la domanda proposta, nei confronti dell’INPS, da A.M.D.L. – già segretario comunale, poi transitata in data 1/10/1998, per mobilità volontaria nei ruoli dell’Istituto convenuto ex art. 18 d.P.R. 465 del 1997, intesa ad ottenere il riconoscimento del suo diritto ad essere inquadrata, ai sensi dell’art. 1, comma 49, della legge n. 311 del 2004, nella qualifica di dirigente di seconda fascia del ruolo unico dirigenziale dell’INPS a decorrere dall’1/1/2005;
riteneva la Corte territoriale che, pur avendo l’appellante i requisiti di legge per aver diritto al superiore inquadramento, tuttavia la stessa avesse lasciato trascorrere sei anni e mezzo tra il primo inquadramento e l’entrata in vigore della normativa che consentiva l’opzione per il passaggio al ruolo di dirigente ed ulteriori quattro anni senza che tale opzione venisse esercitata e ciò precludeva, pur in assenza di esplicite previsioni di decadenza o prescrizione, ogni rivendicazione in termini di trattamento più favorevole;
2. avverso tale sentenza A.M.D.L. ha proposto ricorso affidato a due motivi;
3. l’INPS ha resistito con controricorso;
4. la ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che
1. con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 commi 48 e 49 della legge n. 311/2004, dell’art. 16 della I. n. 246/2005, degli artt. 31, 32, 35 e 39 del c.c.n.I. segretari comunali o provinciali per il quadriennio normativo 1998/2001 sottoscritto il 16/5/2001, dell’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale in relazione agli artt. 1175, 1362, 1366, 1367, 1368, 1369, 1375 cod. civ. relativi al comportamento secondo correttezza e buonafede, violazione degli artt. 24, 35 e 36 Cost.;
2. con il secondo motivo la ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio;
3. censura la sentenza impugnata per aver ritenuto violati i principi di correttezza contrattuale nell’aver la D.L. fatto decorrere un lungo lasso di tempo senza esercitare l’opzione in presenza della sussistenza di tutti i requisiti per il richiesto inquadramento, requisiti riconosciuti come sussistenti dalla stessa sentenza impugnata;
4. i motivi da trattarsi congiuntamente in ragione della intrinseca connessione sono infondati;
5. pur essendo il dispositivo della sentenza impugnata conforme a diritto, la motivazione della sentenza va corretta, ai sensi dell’art. 384, comma 3, cod. proc. civ., nei termini di seguito esposti, dovendo ritenersi insussistente ‘a monte’ il preteso diritto;
5.1. la questione relativa alla interpretazione dell’art. 1, commi 48 e 49, della legge n. 311/2004 e della sua applicabilità anche alle procedure di mobilità già concluse alla data di entrata in vigore della nuova normativa presentando il requisito di particolare importanza previsto dall’art. 374, comma 2, cod. proc. civ. – è stata decisa dalle Sezioni unite di questa Corte (sentenze nn. 784, 785, 786/2016) che, effettuando una approfondita ricostruzione del quadro normativo e contrattuale in materia di procedure di mobilità dei segretari comunali (disciplinate, inizialmente, dagli artt. 18 e 19 del d.P.R. n. 465 del 1997 e successivamente dall’art. 32 del contratto collettivo nazionale di lavoro dei segretari comunali e provinciali 1998-2001, dalla legge 27 luglio 2004, n. 186, che abrogò l’art. 18 dal d.P.R. 465 del 1997, dalla legge 30 dicembre 2004, n. 311, interpretata autenticamente dalla legge 246 del 2005) hanno ritenuto che l’art. 1, comma 49, della legge n. 311 del 2004 – che disciplina la possibilità del reinquadramento e dell’accesso alla dirigenza a seguito del passaggio ad altra P.A. – non si applica, alla luce di una interpretazione letterale, sistematica e teleologica della norma, ai segretari comunali o provinciali trasferiti per effetto di procedure di mobilità già esaurite alla data di entrata in vigore della citata legge;
5.2. la disposizione normativa si riferisce ai soli processi di mobilità eventuali e futuri, dovendosi ritenere che una diversa interpretazione sarebbe lesiva del principio costituzionale dell’accesso alla P.A. per concorso pubblico, applicabile anche alla dirigenza;
5.3. il suddetto circoscritto ambito di applicazione è stato desunto, dalle Sezioni unite, non solo da elementi testuali della disposizione normativa (quali: l’incipit del comma 49, che rinvia ai processi di mobilità disciplinati dal comma 48; lo stesso comma 48, collegato al blocco delle assunzioni previsto dal comma 47, che detta una disciplina derogatoria rispetto al contratto collettivo di settore 1998-2001 e rivolta al futuro in quanto delimitata dalle regole che le parti sociali, in sede di rinnovo del contratto collettivo, vorranno adottare; la previsione del limite del contingente di spesa contenuto nel comma 49) ma, altresì, da una interpretazione sistematica e teleologica della normativa del 2004, che si colloca nell’ambito di un graduale e costante processo di limitazione dell’accesso alla dirigenza delineato sia dal legislatore che dalle parti sociali. Invero, la regola dettata dal d.P.R. n. 465 del 1997 prevedeva – in caso di passaggio ad altra P.A. – l’attribuzione della qualifica di provenienza;
5.4. il c.c.n.I. 1998-2001 dei segretari comunali e provinciali ha, da una parte, rivisto il sistema di classificazione e, dall’altra, consentito l’accesso alla dirigenza solamente alle qualifiche più elevate; la legge n. 186 del 2004 ha uniformato la mobilità dei segretari comunali e provinciali alla disciplina generale sulla mobilità dettata dal T.U. sul pubblico impiego (art. 30 d.lgs. n. 165 del 2001); la legge n. 311 del 2004, interpretata autenticamente dalla legge n. 246 del 2005, ha apportato ulteriori modifiche in senso riduttivo, prevedendo che anche per i segretari comunali e provinciali delle qualifiche più elevate l’accesso alla dirigenza non costituisse più la regola;
5.5. interpretare, pertanto, il comma 49 dell’art. 1 della legge n. 311 del 2004 in maniera così estensiva da imporre una generalizzazione dell’accesso alla dirigenza sulla base dei due requisiti ivi previsti (servizio di segretario svolto per almeno tre anni ed esercizio dell’opzione per la mobilità prevista dal d.P.R. n. 465 del 1997) risulterebbe fortemente contraddittorio con l’evoluzione normativa e contrattuale riscontrata in materia di mobilità dei segretari comunali e provinciali;
5.6. né può correttamente invocarsi il principio di conservazione affermato dall’art. 1367 cod. civ., criterio sussidiario e concernente l’interpretazione degli atti negoziali (e non normativi), anche a fronte della sussistenza di casi, seppur modesti, di procedure di mobilità in atto alla data dell’entrata in vigore della legge n. 311 del 2004;
6. il Collegio intende dare continuità all’orientamento giurisprudenziale espresso nelle decisioni sopra richiamate, che hanno ribadito le conclusioni alle quali questa Sezione è pervenuta con le sentenze n. 165/2014, 1047/2014, 1324/2014, orientamento ripreso da numerose ordinanze (ex plurimis nn. 16521, 12035, 12034, 12033, 7620 del 2016 e 19281 del 2017);
7. si aggiunga che di recente questa Corte (v. Cass. 23 novembre 2017, n. 27945) ha precisato che neppure è ipotizzabile un’ingiustificata disparità di trattamento a fronte di una disciplina diversificata in capo alla stessa categoria di soggetti in momenti temporali diversi;
7.1. l’eccezione d’illegittimità costituzionale dell’art. 1, co. 49, della legge n. 311 del 2004 con riferimento all’art. 3 Cost., è stata, così, ritenuta manifestamente infondata, oltre che per quanto già indicato dalle Sezioni unite (cfr. punti 60-64 sentenza n. 784, 59-62 sentenza n. 785, 60-64 sentenza n. 786), per il principio costantemente affermato dalla Corte costituzionale secondo cui «lo stesso naturale fluire del tempo è valido elemento diversificatore delle situazioni giuridiche» (cfr. fra le tante Corte cost. nn. 61/2010, 170/2009, 94/2009, 341/2007);
7.2. ragioni analoghe hanno portano, altresì, a escludere (v. sempre Cass. n. 27945/2017 cit.) ogni eventuale contrasto con il principio di non discriminazione sancito dall’art. 14 della CEDU, giacché, anche a voler prescindere dalla questione dell’applicabilità della norma nelle sole ipotesi in cui vengano in rilievo le altre norme sostanziali della Convenzione preposte a tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (fra le più recenti Corte EDU 7 gennaio 2014, Cusan e Fazzo contro Italia, § 54; 7 febbraio 2013, Fabris contro Francia, § 47; 22 marzo 2012, Konstantin Markin contro Russia), la giurisprudenza della Corte è costante nell’affermare che una disparità di trattamento assume valenza discriminatoria solo qualora «manchi di una giustificazione oggettiva e ragionevole», «quando non persegua un fine legittimo» ovvero non sussista «un rapporto di ragionevole proporzionalità tra i mezzi impiegati ed il fine perseguito» (Corte EDU 7 gennaio 2014, Cusan e Fazzo contro Italia, § 59; 25 ottobre 2005, Niedzwiecki contro Germania; 27 marzo 1998, Petrovic contro Austria, § 30; 1° febbraio 2000, Mazurek contro Francia, § 46 e 48);
7.3. dette condizioni difettano laddove – come nel caso in esame – l’inquadramento è stato disposto nel rispetto della normativa all’epoca vigente in relazione alla quale il diritto di opzione era stato esercitato, per cui nessuna compromissione dei diritti riconosciuti dalla Carta potrebbe mai ravvisarsi, posto che il trattamento più favorevole per gli appartenenti alla categoria, invocato quale termine di comparazione, è sopravvenuto in un momento in cui la procedura di mobilità si era conclusa;
8. da tanto consegue che il ricorso deve essere rigettato;
9. la regolamentazione delle spese segue la soccombenza;
10. deve darsi atto della sussistenza delle condizioni di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’INPS, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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