CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 luglio 2018, n. 17785
Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Appello – Sentenza – Omessa pronuncia su motivo di appello – Nullità
Rilevato che
Con sentenza in data 22 settembre 2016 la Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione distaccata di Lecce respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 276/3/13 della Commissione tributaria provinciale di Lecce che aveva parzialmente accolto il ricorso di M.S. contro l’avviso di accertamento per II.DD. ed IVA 2005. La CTR osservava in particolare che, come i primi giudici, non potevasi considerare corretta la rideterminazione delle basi imponibili, secondo la metodologia induttiva ex artt. 39, 41 d.P.R. 600/1973, effettuata dall’Ente impositore, posto che era illogico ritenere pari a zero il valore delle rimanenze finali dell’annualità fiscale oggetto della verifica, avendo di contro il contribuente dimostrato che tale valore era di euro 75.715, sicché ne conseguiva un diverso ammontare dei suoi debiti tributari di periodo.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’ Agenzia delle entrate deducendo due motivi.
L’intimato non si è difeso.
Considerato che
Con il primo motivo – ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. – l’agenzia fiscale ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112, cod. proc. civ., poiché la CTR ha omesso di pronunciarsi sul suo motivo di appello inerente la statuizione della CTP in ordine alle sanzioni.
La censura è fondata.
Va ribadito che «Il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato ex art. 112 cod. proc. civ., ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto» (Sez. 5, Sentenza n. 7653 del 16/05/2012, Rv. 622441 – 01).
Dimostrato dalla ricorrente per autosufficienza che tale punto della sentenza appellata era stato specificamente impugnato, in nessuna sua parte la sentenza impugnata tratta di tale motivo del gravame agenziale e quindi è senza dubbio affetta dal denunciato vizio processuale, non potendosi peraltro ritenere che vi sia nella sentenza impugnata stessa una pronuncia implicita di rigetto del motivo medesimo.
Con il secondo motivo —ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- la ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione degli artt. 39, secondo comma, 41, d.P.R. 600/1973, 2697, cod. civ., poiché la Commissione tributaria regionale, sovvertendo e quindi male applicando la regola generale dell’onere della prova, ha ritenuto inficiante delle valutazioni induttivamente contenute nell’atto impositivo impugnato i documenti prodotti in lite dal contribuente, negandone ogni efficacia contro probatoria.
La censura è fondata.
Va ribadito che «In tema di imposte sui redditi di impresa minore deve ritenersi legittima l’adozione, da parte dell’ufficio tributario, ai fini dell’accertamento di un maggior reddito d’impresa, del criterio induttivo di cui all’art. 39, secondo comma, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, qualora il contribuente nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo in contestazione abbia omesso di indicare il valore delle rimanenze di esercizio e tale omissione incida sull’attendibilità complessiva della dichiarazione, salva restando la facoltà per il contribuente di documentare adeguatamente l’effettiva sussistenza ed entità delle rimanenze» (Sez. 1, Sentenza n. 9912 del 12/11/1996, Rv. 500514- 01);
–«In tema di imposte sui redditi dell’impresa minore, qualora il contribuente, in violazione dell’obbligo previsto dall’art. 18, secondo comma, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, abbia omesso di indicare il valore delle rimanenze a fine anno nel registro degli acquisti tenuto ai fini dell’I.V.A., deve ritenersi legittimo il recupero a tassazione dei ricavi, induttivamente ricostruiti tramite attribuzione al venduto di tutte le merci acquistate nell’anno, in difetto di adeguati elementi di prova, incombenti al contribuente, idonei a documentare l’effettiva sussistenza ed entità delle rimanenze» (Sez. 1, Sentenza n. 11601 del 08/11/1995, Rv. 494578 – 01).
La sentenza impugnata non si è attenuta ai principi di diritto espressi in tali arresti giurisprudenziali.
Il giudice tributario di appello infatti ha ritenuto assolto l’onere probatorio gravante sul contribuente in ordine all’effettivo valore delle rimanenze finali nell’annualità fiscale oggetto della verifica, nella pacifica totale assenza di un’indicazione contabile regolare, solo sulla base di prospetti allegati in sede processuale dal contribuente medesimo e senza alcuna verifica ulteriore.
E’ perciò necessario che il giudizio meritale su questo punto venga nuovamente effettuato attenendosi a detti principi di diritto e secondo una corretta applicazione del generale principio di cui all’art. 2697, cod. civ.
La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione ad entrambi i motivi, con rinvio al giudice a quo per nuovo esame.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione distaccata di Lecce, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
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