CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 luglio 2018, n. 17873
Appalto per servizi di pulizia industriale – Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato – Assenza di un formale atto di assunzione – Variazione dell’orario di lavoro – Comunicazione
Rilevato che
1. Il Tribunale di Napoli aveva accolto la domanda proposta da C. C. nei confronti di C. s.p.a., subentrata ad altra società nell’appalto per servizi di pulizia industriale, e, per l’effetto, dichiarato l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a far data dall’1.4.2007, con orario di lavoro dalle 17 alle 21 per cinque giorni alla settimana; aveva condannato la società al pagamento delle differenze retributive tra quanto indicato in busta paga e quanto spettante in conseguenza del predetto orario di lavoro, sulla base del rilievo che il rapporto era sorto in via di fatto con esecuzione di prestazione lavorativa pari a 20 ore settimanali, non contestata dalla società, che aveva provveduto a comunicare la variazione dell’orario di lavoro soltanto con la lettera di assunzione dell’11.6.2007, con ritardo che aveva consolidato il rapporto contrattuale nei termini in cui lo stesso era stato eseguito dal lavoratore ed accettato dalla società;
2. con sentenza del 28.7.2012, la Corte d’appello di Napoli, in accoglimento del gravame della società ed in riforma dell’impugnata decisione, rigettava la domanda del C.: richiamato il contenuto della norma contrattuale (art. 4 c.c.n.l.) per le ipotesi di cessazione dell’appalto a parità o con modificazione di termini, modalità e prestazioni contrattuali, norma prevedente la risoluzione del rapporto di lavoro con l’impresa cessante e la costituzione ex novo del rapporto con impresa subentrante, la Corte riteneva che fosse incontestata tra le parti la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, pure in assenza di un formale atto di assunzione, avendo il C. posto le proprie energie lavorative a disposizione della C. sin dal 1.4.2007, data da cui questa era subentrata nell’appalto di pulizie affidato dalla SPEA s.p.a.; osservava che il lavoratore aveva rifiutato di ricevere la lettera raccomandata dell’aprile del 2007, contenente nuova assunzione con riduzione dell’orario (7,30 ore settimanali), nonché altra proposta di assunzione del giugno 2007, cui era seguita una contestazione per mancata osservanza dell’orario di lavoro e l’irrogazione di sanzione della sospensione per 2 giorni, e che tali circostanze portavano ad escludere che la società avesse prestato acquiescenza alla condotta del C., essendo il lasso temporale intercorso tra passaggio di cantiere e data di lettera di riduzione dell’orario di lavoro affatto compatibile con le vicende contrattuali; evidenziava che il C. aveva tenuto un comportamento contrario ai doveri di correttezza e buona fede, nel rifiutare ogni confronto sulla questione dell’orario di lavoro, con ciò impedendo alla controparte di determinare le condizioni contrattuali, perseverando nel suo comportamento anche dopo la lettera del n. 1.6.2007 ed eseguendo la prestazione invito domino. Non poteva, pertanto, affermarsi, secondo il giudice del gravame, l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a far data dal 1.4.2007, con orario di lavoro 17-21 per cinque giorni alla settimana, né poteva applicarsi l’art. 2126 c.c., che equiparava il contratto invalido a quello valido, essendovi comunque un rapporto in atto per il quale il lavoratore chiedeva l’adeguamento della retribuzione commisurata al maggior numero di ore prestate;
3. di tale decisione domanda la cassazione il C., affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste la società, con controricorso; quest’ultima ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis.l c.p.c.
Considerato che
1. con il primo motivo, è denunziata insufficiente e contraddittoria motivazione rispetto ad un punto decisivo della controversia, rappresentato dall’avvenuta costituzione o meno del rapporto di lavoro del C. in via di fatto con l’esecuzione della prestazione per 20 ore settimanali, avendo prima la Corte prima ritenuto che il rapporto era sorto in via di fatto con l’esecuzione della prestazione con il detto orario di lavoro, e poi, contraddittoriamente, asserito che la formale assunzione con la specifica indicazione delle condizioni contrattuali era stata ostacolata dal comportamento del lavoratore, che aveva rifiutato la comunicazione datoriale diretta ad impedire la conclusione del nuovo rapporto e che non poteva affermarsi che tra le parti esistesse un rapporto di lavoro subordinato con 20 ore settimanali. Peraltro, la società aveva ricevuto la prestazione in tali termini, per cui una modifica della stessa avrebbe presupposto l’accettazione da parte del lavoratore, che non vi era stata. La società aveva riconosciuto che la prima lettera non era stata ricevuta e che il C. non aveva sottoscritto il contratto e che, solo con nota dell’11.6.2007, era stato comunicato al predetto un differente orario di lavoro e contestato il mancato rispetto dell’orario di lavoro, nota comunque anch’essa non sottoscritta, sicché nessuna modifica della prestazione di 20 ore era intervenuta, posto che la società l’aveva ricevuta in tali termini e che ogni modifica avrebbe richiesto il consenso del lavoratore;
2. violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 1, D. Igs. 61/2000 e violazione e falsa applicazione dell’art. 1326 c.c. sono dedotte nel secondo motivo, osservandosi che la mancanza di un contratto scritto, non formalizzato a causa del comportamento del C., doveva indurre la Corte a ritenere applicabili l’art. 8 d. Igs. 61/2000 ed il regime sanzionatorio ivi previsto e che la proposta di modifica, mai accettata dal lavoratore, non aveva potuto spiegare i suoi effetti giuridici, modificando il contenuto del contratto;
3. insufficiente ed illogica motivazione è ascritta all’impugnata sentenza col terzo motivo, assumendosi che le motivazioni addotte sono inidonee a sorreggere il decisum, posto che, pure avendo la Corte riconosciuto la fondatezza della ricostruzione dei fatti di causa del C. (costituzione di un rapporto di lavoro dall’aprile 2007), non ha speso alcuna motivazione per supportare l’adesione ed accettazione delle modifiche delle modalità temporali di svolgimento della prestazione proposte dalla società con lettera raccomandata del 12.4.2007, omettendo di qualificare giuridicamente il comportamento tenuto dal C., reputato decisivo in quanto idoneo a costituire manifestazione della volontà esplicita o per facta concludentia di accettare la proposta della C. di assunzione a tempo parziale per 7,30 ore settimanali;
4. i motivi possono essere trattati congiuntamente, per l’evidente connessione delle questioni che ne costituiscono l’oggetto, pur considerandosi la differente articolazione della censura di cui al secondo motivo, riferita a vizio di violazione di legge;
5. premesso che correttamente è stata esclusa la continuità del rapporto di lavoro con quello svolto alle dipendenze del precedente appaltatore, osservandosi, altresì, che il lavoratore non era titolare di un diritto all’assunzione a tempo pieno con il subentrante, la Corte di Napoli, con una valutazione congrua e logica, ha ritenuto che l’esecuzione della prestazione lavorativa implicasse accettazione di proposta di lavoro per facta concludentia, vincolante tra le parti; ha, poi, osservato che il contegno del C., di rifiuto della comunicazione datoriale, fosse volto ad ostacolare illegittimamente il potere datoriale di decidere l’assetto organizzativo dell’attività dell’impresa attraverso l’imposizione di un ridotto orario di lavoro e che, in tema di determinazione dell’oggetto del contratto di lavoro, ove si fosse ritenuto che l’esecuzione della prestazione avesse comportato anche la fissazione di un orario di lavoro di venti ore settimanali, sarebbe stato necessario il consenso del lavoratore alla modifica riduttiva dell’orario;
6. tuttavia, con riguardo a tale ultimo profilo, diversamente da quanto ritenuto del primo giudice, la Corte ha osservato che l’invio della raccomandata del 12.4.2007, che conteneva la definizione delle modalità della prestazione anche con riferimento all’orario, fosse seguita in termini ragionevoli rispetto al passaggio di cantiere, sicché, vertendo la causa sulla determinazione dell’oggetto del contratto di lavoro, ancora controverso tra le parti, non poteva trascurarsi la valutazione del contegno tenuto dal C.;
7. la questione dibattuta è pertanto quella del rifiuto, da parte del C., di ritirare la raccomandata del 12.4.2007, pur conoscendo già il predetto le modifiche che sarebbero state apportate al proprio contratto di lavoro, rifiuto considerato dalla Corte partenopea come impeditivo del perfezionamento delle condizioni contrattuali comunicate dalla società;
8. vanno al riguardo considerati i seguenti principi e le circostanze di causa pacificamente accertate: a) soggezione del lavoratore al potere del datore di decidere le modalità di esecuzione della prestazione mediante l’emanazione di ordini di natura direttiva, organizzativa e disciplinare ed impossibilità di costituire per via giudiziale un rapporto lavorativo quando non ne siano stati definiti dalle parti tutti gli elementi essenziali; b) eterodirezione in relazione a rapporto di natura subordinata; c) inadempienza del C. rispetto ad un obbligo primario di adempiere le direttive del datore conosciute o conoscibili utilizzando l’ordinaria diligenza; d) arrivo a destinazione della raccomandata e compimento del periodo di giacenza ai fini della presunzione di conoscenza da parte del destinatario ed onere della parte di provare di essersi trovato senza colpa nella impossibilità di prenderne cognizione o di fornire prova della non corrispondenza della dichiarazione ricevuta con quella di cui il mittente conserva la copia (cfr. tra le altre, Cass. 6.10.2011 n. 20482, Cass. 21.6.2016 n. 12822); e) esecuzione della prestazione invito domino, confermata dall’avere il datore retribuito il lavoratore per sole 1,5 ore giornaliere;
9. va ulteriormente evidenziato che, in tema di formazione del contratto, l’accettazione non può essere desunta dal mero silenzio serbato su una proposta, pur quando questa faccia seguito a precedenti trattative intercorse tra le parti, assumendo il silenzio valore negoziale soltanto se, in date circostanze, il comune modo di agire o la buona fede, nei rapporti instauratisi tra le parti, impongano l’onere o il dovere di parlare, ovvero se, in un dato momento storico e sociale, avuto riguardo alla qualità dei contraenti e alle loro relazioni di affari, il tacere di uno possa intendersi come adesione alla volontà dell’altro (cfr. Cass. 14.5.2014 n. 10533);
10. alla stregua di tali principi, il perfezionarsi del procedimento notificatorio, anche attraverso la compiuta, giacenza (per poter vincere la presunzione legale, è necessario un fatto o una situazione che spezzi od interrompa in modo duraturo il collegamento tra il destinatario ed il luogo di destinazione della comunicazione e che tale situazione sia incolpevole, cioè non superabile con l’uso dell’ordinaria diligenza – cfr. Cass. 6.10.2011 n. 20482, Cass. 21.6.2016 n. 12822) ed il rifiuto della raccomandata sono stati ritenuti espressione della volontà del destinatario di porre in essere un comportamento impeditivo rispetto alle condizioni contrattuali comunicate dal mittente, che non potevano ritenersi neanche rifiutate attraverso l’esplicitazione di un dissenso nella specie non manifestato (si presume solo la conoscenza della dichiarazione del mittente ex 1335 c.c.);
11. la ricostruzione giuridica seguita dalla Corte si pone pertanto in piena coerenza con le norme di riferimento, rispetto alle quali le doglianze di insufficiente e contraddittoria (I motivo) o insufficiente ed illogica (3° motivo) motivazione contengono solo una diversa ricostruzione della vicenda, difforme da quella effettuata dalla Corte di appello;
12. anche la censura riferita al vizio di violazione di legge sconta un difetto di specificità, essendo formulata con richiamo apodittico alla norma asseritamente violata (art. 8 d. Igs 61/2000), senza alcuna specifica argomentazione atta a dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto debbano intendersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie, ovvero con la loro interpretazione (cfr. Cass. 3285/2013, 828/2007, 8932/2006); vi è, poi, una mancanza di pertinenza del richiamo alla norma, per essere il riconoscimento richiesto in domanda riferito ad un diverso orario part time e non all’accertamento di un rapporto di lavoro a tempo pieno;
13. in conclusione, il ricorso va complessivamente respinto;
14. le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza del ricorrente e si liquidano come da dispositivo;
15. sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 115 del 2002;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 3500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R.
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