CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 luglio 2018, n. 17875
Rapporto di lavoro – Svolgimento di mansioni superiori – Differenze retributive – Mobbing – Configurabilità – Risarcimento del danno biologico, morale e materiale
Rilevato
– che la Corte di appello di Roma con la sentenza n. 6531/2013 aveva confermato la sentenza con cui il Tribunale di Roma aveva respinto la domanda proposta da S.A.R. nei confronti di F. srl, diretta ad ottenere il pagamento delle differenze retributive dovute alle mansioni superiori asseritamente svolte, nonché al risarcimento del danno biologico, morale e materiale patito a causa di “mobbing” subito sul posto di lavoro;
– che la Corte territoriale, partendo dal presupposto di quanto statuito dal Tribunale con riguardo alla natura di rinuncia della dichiarazione sottoscritta dalla parte ricorrente il 6.6.2006, aveva ritenuto che tale statuizione sulla natura dell’atto non era stata oggetto di specifica impugnazione e che dunque sul punto si fosse formato giudicato interno;
– che aveva altresì valutato inammissibile, perché tardiva, la produzione dei documenti inerenti la prova della tempestività della impugnazione della rinuncia in questione;
– che avverso tale pronuncia la S. aveva proposto ricorso affidato a tre motivi, cui resisteva la società con controricorso;
Considerato
1) – che con il primo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (ex art. 360 n. 4 cpc), avendo, la Corte, erroneamente ritenuto l’impugnata la statuizione del Tribunale in ordine alla qualificazione di rinuncia del documento datato 6.6.2006; rilevava la ricorrente di aver contestato nel ricorso in appello la natura di rinuncia ai sensi dell’art. 2113 c.c., non essendo stata in grado di stabilirne l’entità e di aver assunto tali conclusioni in via subordinata ; soggiungeva la ricorrente che la mancata trascrizione nella sentenza delle conclusioni rassegnate in modo completo, aveva determinato l’omissione e mancata valutazione da parte di quel giudice;
– che il motivo risulta inammissibile in quanto parte ricorrente fa riferimento alla interpretazione data alla scrittura del 6.6.2006, ma non inserisce nel ricorso il contenuto della stessa, così violando il principio di autosufficienza del ricorso e non consentendo alla Corte di poter valutare le ragioni rappresentate. Questa Corte, a riguardo ha chiarito che <<II ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza – deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, sicché il ricorrente ha l’onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione>>(Cass. n. 14784/2015);
2) – che con il secondo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 437, 2° co. cpc e dell’art. 345 cpc, per la omessa motivazione su un punto decisivo della controversia inerente la ammissibilità in appello di un documento indispensabile. Parte ricorrente contesta la pronuncia di inammissibilità della produzione documentale inerente la prova della tempestività della impugnazione dell’atto di rinuncia, rilevando che l’art. 437 cpc consente la produzione in appello di documenti indispensabili ai fini della decisione, così come pure l’art. 345 cpc, nella sua formulazione ratione temporis applicabile.
Soggiunge peraltro, nel terzo motivo del ricorso – (Violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c.) – di non aver potuto depositare prima la detta documentazione in quanto si sarebbero succeduti diversi difensori nel corso dei giudizi di merito sicché solo successivamente al deposito della sentenza di primo grado era stata reperita la documentazione con specifica istanza di accesso ai documenti da parte dell’Avv. C..
I motivi risultano infondati.
Come correttamente statuito dalla Corte territoriale la ricorrente, a fronte della eccezione relativa alla intervenuta decadenza, sollevata dalla parte convenuta F. nella memoria di costituzione in primo grado, avrebbe dovuto opporre, nella prima udienza utile, documentazione attestante la asserita tempestività. La generica contestazione svolta in quella sede, come accertata dalla decisione d’appello, non consente quindi di ritenere emendabile la carenza con la successiva e tardiva produzione documentale. Deve a riguardo rilevarsi che “nel rito del lavoro, in base al combinato disposto degli artt. 416, terzo comma, cod.proc.civ., che stabilisce che il convenuto deve indicare a pena di decadenza i mezzi di prova dei quali intende avvalersi, ed in particolar modo i documenti, che deve contestualmente depositare – onere probatorio gravante anche sull’attore per il principio di reciprocità fissato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 13 del 1977 – e 437, secondo comma, cod.proc.civ, che, a sua volta, pone il divieto di ammissione in grado di appello di nuovi mezzi di prova – fra i quali devono annoverarsi anche i documenti -, l’omessa indicazione, nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, dei documenti, e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza del diritto alla produzione dei documenti stessi, salvo che la produzione non sia giustificata dal tempo della loro formazione o dall’evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione (ad esempio, a seguito di riconvenzionale o di intervento o chiamata in causa del terzo); e la irreversibilità della estinzione del diritto di produrre i documenti, dovuta al mancato rispetto di termini perentori e decadenziali, rende il diritto stesso insuscettibile di reviviscenza in grado di appello” (Cass. SU n. 8202/2005; conf Cass. n. 22055/2016; Cass. n. 23652/2016)
Come evidenziato dal principio richiamato la decadenza prodottasi non può essere superata e vanificata con produzioni successive se non giustificate dalla necessità di contemperare il rigoroso sistema delle preclusioni previste, con la esigenza della ricerca della “verità materiale”, cui è doverosamente funzionalizzato il rito del lavoro.
Si tratta, in tal caso, di coniugare le tutele riconosciute alla specifica area dei diritti in materia di lavoro e previdenza con i poteri d’ufficio del giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, solo ove essi siano indispensabili ai fini della decisione della causa. Detti poteri, peraltro, sono da esercitare pur sempre con riferimento a fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio.
Risulta quindi inammissibile la produzione in appello di documenti di formazione antecedente il giudizio, genericamente indicati e sulla cui esibizione sia intervenuta una decadenza, non potendo a riguardo essere esercitato il potere officioso del giudice di ammissione di nuovi mezzi di prova, che opera sempre con riferimento a fatti allegati dalle parti ed emersi a seguito del contraddittorio delle stesse (Cass. n. 23652/2016).
Val la pena anche chiarire che l’esercizio del potere di ammissione è insindacabile in sede di legittimità anche quando manchi un’espressa motivazione in ordine alla indispensabilità o necessità del mezzo istruttorio ammesso, dovendosi la motivazione ritenere implicita nel provvedimento adottato (Cass. n. 26117/2016).
Il ricorso risulta pertanto infondato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in € 3.500,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis, dello stesso articolo 13.
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