CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 luglio 2018, n. 17887
Licenziamento disciplinare – Condotta omissiva – Sanzione espulsiva sproporzionata – Valutazione della gravità dell’inadempimento in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso – Onere della prova incombente sul datore di lavoro – Tutela del lavoratore rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” ex art. 1455 c.c.
Rilevato
che con sentenza depositata il 15.7.2016 la Corte di Appello di Milano, in riforma della sentenza del Tribunale di Lecco, ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato il 21.5.2015 dalla società E.S. s.p.a. ad A.B. ritenendo sussistente la condotta omissiva, contestata al lavoratore, di trasmissione all’ufficio contabilità dei consuntivi delle lavorazioni svolte da una ditta subappaltatrice a favore del cliente Autogrill (per il periodo luglio 2014-febbraio 2015 e per complessivi euro 9.000,00) ma eccessivamente sproporzionata la sanzione espulsiva, non potendosi considerare (per tardività della contestazione disciplinare del 28.4.2015) la recidiva, con conseguente declaratoria di risoluzione del rapporto di lavoro ex art. 18, comma 5, della legge n. 300 del 1970 come novellato dalla legge n. 92 del 2012 e condanna del datore di lavoro al pagamento di 18 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;
che avverso tale sentenza la società ha proposto ricorso affidato a quattro motivi;
che A.B. ha resistito con controricorso;
Considerato
che la società ricorrente deduce, con i primi due motivi, violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 18 della legge n. 300 del 1970 nonché degli artt. 115 e 116 cod.proc.civ. (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.), assumendo che il giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto all’infrazione si è erroneamente basato esclusivamente sulla mancanza di danno per la società, nonostante le risultanze istruttorie di segno contrario e, in particolare, la nota allegata alla lettera di contestazione disciplinare che dimostrava come solamente all’inizio del 2015 la società ha accertato le responsabilità del lavoratore;
che con il terzo motivo la società denunzia violazione dell’art. 112 cod.proc.civ., anche in relazione all’art. 18 della legge n. 300 del 1970 (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.), non avendo, la Corte territoriale, esaminato la domanda subordinata della conversione del licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo;
che con il quarto motivo la società denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.), avendo, la Corte territoriale, provveduto ad una quantificazione eccessiva del risarcimento del danno a favore del lavoratore, in particolare trascurando la risibile anzianità di servizio (circa un anno e mezzo);
che i primi tre motivi sono, in parte, inammissibili in quanto la pretesa violazione di legge ex art. 360, primo comma, n. 3 cod.proc.civ., pure invocata impropriamente in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c. (per tutte v. Cass. n. 13960 del 2014), nella sostanza si traduce in una contestazione della ricostruzione della vicenda storica quale operata dalla Corte territoriale, con particolare riguardo all’accertamento concernente il momento in cui il datore di lavoro ha acquisito conoscenza del comportamento inadempiente del B. per il periodo giugno-dicembre 2014, valutazione preclusa dall’art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ., applicabile alla fattispecie nel testo riformulato dall’art. 54 del d.l. 22.6.2012 n. 83 (v. Cass. S.U. n. 8053 del 2014);
che, per la parte residua, i motivi sono infondati avendo la Corte considerato, ai fini della valutazione del giudizio di proporzionalità tra infrazione di carattere espulsivo (“licenziamento”, v.pag. 8 della sentenza impugnata) e sanzione disciplinare, tutte le circostanze del caso concreto e, nella specie, l’assenza di una recidiva (per tardività della contestazione disciplinare del 28.5.2015) e il tipo di inadempimento omissivo contestato il 9.5.2015 (omessa trasmissione, all’ufficio contabilità, dei consuntivi delle lavorazioni svolte dalla ditta subappaltatrice M.D. a favore del cliente Autogrill per il periodo luglio 2014-febbraio 2015 e per complessivi euro 9.000,00) nonchè la successiva proficua (ossia con i medesimi volumi di fatturato) permanenza dei rapporti di appalto sia con il cliente Autogrill sia con la società appaltatrice M.D.;
che la motivazione della Corte territoriale risulta conforme ai principi affermati da questa Corte in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, in quanto il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione all’illecito commesso – istituzionalmente rimesso al giudice del merito – si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso, dovendo tenersi al riguardo in considerazione la circostanza che l’inadempimento, ove provato dal datore di lavoro in assolvimento dell’onere su di lui incombente L. n. 604 del 1966, ex art. 5 deve essere valutato tenendo conto della specificazione in senso accentuativo a tutela del lavoratore rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” di cui all’art. 1455 cod. civ., sicché l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria – durante il periodo di preavviso – del rapporto” (v. Cass. n. 444 del 2003, Cass. n. 3994 del 2005, Cass. n. 11430 del 2006, Cass. n. 16864 del 2006, Cass. n. . 25743 del 2007, Cass. n. 6848 del 2010, Cass. n. 13574 del 2011);
che il quarto motivo è inammissibile, spettando al giudice di merito la determinazione, tra il minimo e il massimo, della misura dell’indennità risarcitoria (v. con riguardo all’art. 8 della legge n. 604 del 1966, Cass. n. 13380 del 2006, Cass. n. 458 del 2011, Cass. n. 1320 del 2014; con riguardo all’art.32, comma 5, della legge n. 183 del 2010, Cass. n. 2442 del 2018), censurabile in sede di legittimità solo per motivazione assente, illogica o contraddittoria da valutarsi nei limiti previsti dall’art. 360, primo comma, n. 5 cod.proc.civ., applicabile alla fattispecie nel testo riformulato dall’art. 54 del d.l. 22.6.2012 n. 83 (censura che, per vero, non risulta sollevata);
che, nel caso di specie, la Corte territoriale ha ritenuto di effettuare la determinazione dell’indennità risarcitoria avuto riguardo al “comportamento della società palesemente sproporzionato” nonché alle “dimensioni [dell’attività economica] attestate dall’operare su tutto il territorio nazionale”(pag. 9 della sentenza impugnata);
che in conclusione il ricorso va rigettato e le spese di lite sono regolate secondo il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.;
che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013);
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
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