CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 luglio 2018, n. 17913
Contratti a tempo determinato – Illegittimità – Assenza di ragioni – Abusiva reiterazione – Conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato
Rilevato
che S. S. conveniva in giudizio il MIUR esponendo di aver svolto per vari anni l’attività di docente in forza di successivi contratti di lavoro a tempo determinato; che i contratti erano illegittimi per assenza di ragioni atte a giustificarli e per il superamento del limite di trentasei mesi di durata complessiva dei rapporti a termine.
Chiedeva, pertanto, la conversione dei contratti a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato e, in subordine, il risarcimento dei danni conseguenti all’abusiva reiterazione.
Deduceva, altresì, di aver diritto al riconoscimento della progressione stipendiale derivante dall’anzianità maturata;
che il Tribunale giudicava infondate le domande basate sul preteso abuso dei contratti a termine, mentre accertava il diritto della ricorrente al riconoscimento ai fini giuridici ed economici dei periodi di servizio da lei prestati a tempo determinato, provvedendo con successiva sentenza a quantificare il credito retributivo della lavoratrice;
che la Corte di appello di Trieste, investita da appello principale del Ministero e incidentale della dipendente, confermava la statuizione attinente alla progressione economica, richiamando il principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato, trasfuso nella Direttiva 99/70/CE del 28 giugno 1999; in accoglimento dell’appello incidentale, sulla base della non contestazione dell’allegata circostanza di essere stata la dipendente assunta per coprire posti di organico vacanti e disponibili entro il 31 dicembre e destinati a rimanere tali per tutto l’anno scolastico, riconosceva alla lavoratrice un risarcimento del danno da reiterazione dei contratti a termine nella misura di 2,5 mensilità dell’ultima retribuzione globale dì fatto; accoglieva, altresì la domanda avanzata dalla S. in ordine alla qualificazione come supplenze annuali degli incarichi a termine conferitile, con la conseguenza di ritenere il termine apposto ai contratti (30 giugno 2006) prorogato al 31 agosto;
che avverso la sentenza propone ricorso per Cassazione il Ministero e la Presidenza del Consiglio dei Ministri sulla base di quattro motivi;
che la dipendente non ha svolto attività difensiva;
che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;
che il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata;
Considerato
che con il primo motivo il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 436 in relazione all’art. 360, 1 n. 4 cod. proc. civ., rilevando che la Corte d’appello, anziché dichiarare inammissibile l’appello incidentale stante la mancata notifica dello stesso, aveva accolto l’impugnazione incidentale avversaria non notificata;
che con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della direttiva 1999/70/CE e della clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’Unice e dalla CES allegato alla citata direttiva; violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 4 bis e dell’art. 10 comma 4 bis d.lgs. n. 368/2001 in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod.
proc. civ. Sottolineando la specialità del sistema delle supplenze nel settore della scuola e la distinzione tra organico di diritto e organico di fatto, rileva che i contratti stipulati hanno riguardato per la maggior parte casi di posti in organico di fatto, i quali non integrano un metodo di reclutamento ma sono destinati a soddisfare specifiche esigenze, cosi da escludere la sussistenza di una condotta abusiva;
che con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2043, 2056 e 2697 cod. civ. in materia di risarcimento del danno – insussistenza dei presupposti per la risarcibilità del danno nell’ambito della disciplina del rapporto di lavoro e tempo determinato e inosservanza dell’onere probatorio sul danno sofferto in relazione all’art. 360 primo comma cod. proc. civ. Osserva che nel ricorrere alla contrattazione a tempo determinato alcuna condotta illecita può essere imputata alla PA, essendo la stessa giustificata non solo dalla variabilità e flessibilità del numero degli utenti del servizio scolastico ma anche dal fatto che il reiterarsi del contratto a termine è funzionale alla stessa progressione nelle graduatorie permanenti ai fini della successiva immissione in ruolo a tempo indeterminato. Rileva che nel caso di specie il ricorrente non aveva allegato né fornito la prova di alcun tipo di danno;
che con il quarto motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 79 CCNL comparto scuola 2007-2009 e insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’anzianità maturata e del conseguente diritto agli incrementi stipendiali previsti dalla contrattazione collettiva nazionale del comparto scuola, osservando che nessuna discriminazione è ravvisabile nel sistema in ragione delle innegabili peculiarità del sistema scolastico che realizza un meccanismo di equilibrio tra i due contrapposti interessi della parte pubblica (flessibilità e rispetto degli equilibri di bilancio pubblico) e del lavoratore (stabilità del rapporto di impiego);
che il primo motivo è fondato, giacché alla omissione dell’attività di notifica, dell’appello principale così come dell’appello incidentale, l’ordinamento collega la sanzione di improcedibilità dell’impugnazione. Questa Corte in proposito ha già precisato (Cass. sez. lav. 19/01/2016, n. 837; Cass. n. 11854 del 2015; Cass. nn. 2428, 3042 e 17247 del 2012; Cass. n. 23571 del 2008), a seguito del principio enunciato da Cass. S.U. n. 20604/2008 — secondo cui l’appello è improcedibile ove non sia avvenuta la notifica del ricorso e del decreto dì fissazione della udienza — che anche l’appello incidentale, pur tempestivamente proposto, va dichiarato improcedibile ove ne sia mancata la notifica, in applicazione del criterio di parità della posizione delle parti del processo, da intendersi riferito anche alla proposizione della impugnazione (Cass. n. 24742 del 19/10/2017). La stessa ha affermato, altresì, l’assoluta irrilevanza del comportamento tenuto dalla controparte alla quale non sia stato notificato l’appello incidentale, non essendo la procedibilità del ricorso disponibile dalle parti e dovendo l’improcedibilità dell’appello incidentale per mancata notifica rilevarsi dal giudice anche d’ufficio (v. in tal senso, Cass. n. 837 del 19/01/2016);
che, pertanto, in accoglimento del primo motivo di ricorso, non essendosi la Corte di merito uniformata a tali principi, la sentenza impugnata va cassata senza rinvio ai sensi dell’art. 382, comma 3, secondo periodo, cod. proc. civ., quanto alla statuizione inerente al riconoscimento dei danni da illegittima reiterazione di contratti a termine, non ricorrendo in specie – in ragione della data di instaurazione del giudizio (28.12.2011) – i presupposti per dare ingresso ai principi a tutela dell’effettività dei mezzi di azione e difesa in materia di c.d. prospective overruling;
che l’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento del secondo e del terzo, i quali entrambi presuppongono il diritto al risarcimento del danno, riconosciuto solo a seguito dell’accoglimento dell’appello incidentale;
che l’ultimo motivo è infondato ai sensi di quanto previsto dalla decisione di questa Corte n. 22558/2016, in forza della quale <Nel settore scolastico, la clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva n. 1999/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai c.c.n.I. succedutisi nel tempo, sicché vanno disapplicate le disposizioni dei richiamati c.c.n.l. che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato;
che, più specificamente, la clausola 4 dell’Accordo quadro è stata più volte oggetto di esame da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ha affrontato tutte le questioni rilevanti nel presente giudizio rilevandone il carattere incondizionato idoneo alla disapplicazione di qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte di Giustizia 15.4.2008, causa C- 268/06, Impact; 13.9.2007, causa C- 307/05, Del Cerro Alonso; 8.9.2011, causa C-177/10 Rosado Santana) ed affermando l’esclusione di ogni interpretazione restrittiva, non potendo la riserva in materia di retribuzioni contenuta nell’art. 137 n. 5 del Trattato (oggi 153 n. 5), “impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorché proprio l’applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione” (Del Cerro Alonso, cit., punto 42);
che la CGUE ha evidenziato che le maggiorazioni retributive che derivano dalla anzianità di servizio del lavoratore costituiscono condizioni di impiego ai sensi della clausola 4, con la conseguenza che le stesse possono essere legittimamente negate agli assunti a tempo determinato solo in presenza di una giustificazione oggettiva (Corte di Giustizia 9.7.2015, in causa C177/14, Regojo Dans, punto 44, e giurisprudenza ivi richiamata) e che a tal fine non è sufficiente che la diversità di trattamento sia prevista da una norma generale ed astratta, di legge o di contratto, né rilevando la natura pubblica del datore di lavoro e la distinzione fra impiego di ruolo e non di ruolo, perché la diversità di trattamento può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate (Regojo Dans, cit., punto 55 e con riferimento ai rapporti non di ruolo degli enti pubblici italiani Corte di Giustizia 18.10.2012, cause C302/11 e C305/11, Valenza; 7.3.2013, causa C393/11, Bertazzi);
che l’interpretazione delle norme eurounitarie è riservata alla Corte di Giustizia, le cui pronunce hanno carattere vincolante per il giudice nazionale – che può e deve applicarle anche ai rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa – e valore di ulteriore fonte del diritto della Unione Europea, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito dell’Unione (fra le più recenti in tal senso Cass. 8 febbraio 2016, n. 2468);
che correttamente, pertanto, la sentenza impugnata ha richiamato le statuizioni della Corte di Lussemburgo per escludere la conformità al diritto eurounitario delle clausole dei contratti collettivi nazionali per il comparto scuola, succedutisi nel tempo, in forza delle quali per il personale docente ed educativo non di ruolo era escluso il riconoscimento della anzianità di servizio, previsto per gli assunti a tempo indeterminato in base ad un sistema di progressione stipendiale secondo fasce di anzianità;
che anche in questa sede il Ministero, pur affermando l’esistenza di condizioni oggettive a suo dire idonee a giustificare la diversità di trattamento, ha fatto leva su circostanze che prescindono dalle caratteristiche intrinseche delle mansioni e delle funzioni esercitate, le quali sole potrebbero legittimare la disparità, insistendo, infatti, sulla natura non di ruolo del rapporto di impiego e sulla novità di ogni singolo contratto rispetto al precedente, ossia su ragioni oggettive che legittimano il ricorso al contratto a tempo determinato e che rilevano ai sensi della clausola 5 dell’Accordo Quadro, da non confondere, per quanto sopra si è già detto, con le ragioni richiamate nella clausola 4, che attengono, invece, alle condizioni di lavoro che contraddistinguono i due tipi di rapporto in comparazione, in ordine alle quali nulla ha dedotto il ricorrente;
che, pertanto, la sentenza va confermata limitatamente alla statuizione relativa al riconoscimento dell’anzianità maturata e del conseguente diritto agli incrementi stipendiali;
che le spese del giudizio d’appello e di quello di cassazione sono compensate tra le parti in ragione della parziale soccombenza;
che non può trovare applicazione nei confronti delle amministrazioni dello Stato l’art. 13 comma 1 quater D.p.r. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1 , comma 17 legge 24 dicembre 2012 n. 228, atteso che le stesse, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass. n. 1778/2016);
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo e il terzo e, per l’effetto, cassa la sentenza impugnata senza rinvio in relazione al motivo accolto. Rigetta il ricorso nel resto. Dichiara compensate tra le parti le spese del giudizio d’appello e di quello di legittimità.
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