CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 luglio 2018, n. 17920
Verbale ispettivo ENASARCO – Incarichi di vendita a domicilio qualificati in termini di rapporti di lavoro di agenzia – Non sussiste – Vendita a domicilio come mera raccolta di ordinativi, non sostenuta da alcuna azione di sollecitazione del cliente – Distinzione netta con l’attività di promozione della conclusione dei contratti
Rilevato
– che con sentenza dell’11 ottobre 2016, la Corte d’Appello di Roma in riforma della decisione resa dal Tribunale di Roma accoglieva la domanda proposta dalla A. S.a.s. di S. E. & C. nei confronti della Fondazione ENASARCO avente ad oggetto l’annullamento del verbale ispettivo operato dalla Fondazione basato sulla qualificazione in termini di agenzia di rapporti di lavoro concretantesi in meri incarichi di vendita a domicilio;
– che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto, alla luce delle risultanze istruttorie ed in particolare degli accordi intercorsi tra le parti, riconducibili i predetti rapporti di lavoro alla figura di cui all’art. 3, comma 3,1. n. 173/2005 secondo cui l’attività di “vendita diretta a domicilio” può essere esercitata, senza necessità di stipulare un contratto di agenzia, da soggetti che svolgono l’attività in maniera abituale ancorché non esclusiva;
che per la cassazione di tale decisione ricorre l’ENASARCO, affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, la Società; che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;
– che entrambe le parti hanno poi presentato memoria;
Considerato
– che, con il primo motivo, la Fondazione ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 3, commi 2 e 3, l. n. 173/2005 in relazione all’art. 1742 e segg. c.c. nonché degli artt. 1362 e 1363 c.c. in relazione agli artt. 1325, 1343, 1346 e 1742 e segg. c.c., lamenta la non conformità a diritto della lettura data dalla Corte territoriale della disciplina regolativa della vendita diretta a domicilio inficiata dalla mancata distinzione tra attività di vendita ed attività di promozione della conclusione dei contratti propria degli agenti e caratterizzante l’operatività dei soggetti impiegati dalla Società;
che la violazione dell’art. 1362 e segg. c.c. e, dunque, dei criteri di interpretazione dei contratti in relazione all’art. 1742 e segg. c.c. ed all’art. 3, commi 2 e 3, 1. n. 173/2005 è nel secondo motivo dedotta sotto il diverso profilo del rilievo assorbente attribuito al nomen iuris cui le parti hanno fatto riferimento per qualificare il rapporto ai fini della riconducibilità degli stessi allo schema tipico del contratto di agenzia; che, con il terzo motivo, la Fondazione ricorrente ripropone il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 1742 e 1743 c.c. con riferimento all’ulteriore profilo dato dall’inconfigurabilità dell’assegnazione di una specifica zona quale elemento costitutivo del contratto di agenzia;
che i tre motivi, i quali, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, risultano infondati non potendosi accogliere la tesi di fondo sottesa all’impugnazione proposta, basata sulla distinzione netta tra l’attività di vendita a domicilio che si assume debba risolversi nella mera raccolta di ordinativi di acquisto non sostenuta da alcuna azione di sollecitazione e convincimento del cliente e l’attività propria dell’agente viceversa caratterizzata da tale azione di promozione della conclusione dei contratti e dovendosi al contrario accedere alla lettura operata dalla Corte territoriale per cui l’attività di procacciamento degli affari è connotazione che accomuna venditori e agenti, sicché correttamente l’analisi della fattispecie è stata condotta dalla Corte territoriale con riferimento ad altre caratteristiche e segnatamente con riguardo all’abitualità, intesa come requisito di fatto, in contrapposizione alla stabilità, riguardato come requisito di diritto con valutazioni che, oltre a risultare immuni da vizi logici e giuridici, in quanto coerenti con gli orientamenti espressi da questa Corte (cfr. Cass. n. 1441/2005 e n. 7799/1998 citate nella motivazione dell’impugnata sentenza), non risultano neppure fatte oggetto di specifiche censure;
– che, pertanto, conformandosi dalla proposta del relatore, il ricorso va rigettato;
che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 3.500,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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