CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 luglio 2018, n. 17930
Imposte dirette – IRPEF – Accertamento – Istanza di rimborso – Fondi previdenziali integrativi – Rendimento capitale accantonato
Rilevato
che la Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c. delibera di procedere con motivazione semplificata;
che l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio che, in sede di rinvio da questa Suprema Corte, aveva accolto parzialmente l’appello dell’Ufficio contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Roma.
Quest’ultima aveva accolto l’impugnazione di G.G. contro un silenzio rifiuto ad ottenere un rimborso IRPEF, per l’anno 2000;
Considerato
che il ricorso è affidato ad un unico motivo, col quale l’Agenzia denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 63 D.Lgs n. 546/1992 nonché 384 c.p.c., in relazione all’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c.: la CTR avrebbe del tutto omesso di dare applicazione al disposto di questa Suprema Corte (sentenza n. 2469/2012), che le imponeva di procedere al riesame della richiesta del contribuente alla luce del rendimento, inteso come rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato;
che D.G.C., G.G., S.G. ed A.G. (eredi di G.G.) hanno resistito con controricorso;
che la sentenza di questa Suprema Corte, n. 2469 del 20 febbraio 2012, nel disporre la cassazione con rinvio, aveva testualmente affermato: “Il Collegio è dell’avviso che il ricorso debba essere definito, sulla base dei principi di diritto, secondo cui “In tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, ad un Fondo di Previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario:
a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui all’art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17 del T.U.I.R., solo per quanto riguarda la sorte capitale, corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del c. d. rendimento (per tale dovendosi intendere, in base a quanto precisato nella motivazione della medesima decisione, “il rendimento netto imputabile alla gestione sui mercato da parte del Fondo del capitale accantonato”), si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. n. 482 del 1985, art. 6; b) per gli importi maturati a decorrere dal 1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui all’art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17 del T.U.I.R.” (Cass. SS.UU. n. 13642/2011);
che “ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, denunziabile in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal mode impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento” (Cass. n. 1756/2006, n. 890/2006). La decisione impugnata, pur ponendosi nel solco del richiamato principio, avendo affermato che sulla parte relativa al rendimento deve applicarsi la ritenuta del 12,50%, determinata con i criteri dell’art. 42 T.U.I.R., non risulta, per la genericità dell’assunto conclusivo, aderente ad esso nella parte in cui, senza, peraltro, dare adeguata contezza del percorso decisionale, omette di indicare gli elementi alla cui stregua va determinato il rendimento tassabile al 12,50%”;
che “Il Giudice del rinvio, che si designa in altra sezione della CTR del Lazio, procederà al riesame e, quindi, adeguandosi al richiamato principio ed all’esplicito passaggio motivazionale, contenuto nella citata decisione delle Sezioni Unite n. 13642/2011, secondo cui per “rendimento deve intendersi il rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato”, deciderà nel merito, ed anche sulle spese del presente giudizio di cassazione, motivando adeguatamente”;
che la CTR, nella specie, ha così motivato: “E’ certo che il capitale accantonato in PIA ha avuto nel corso degli anni un suo proprio “rendimento” (come riconosciuto dalla CTU) derivante dall’impiego dello stesso in autofinanziamento.
L’impossibilità di calcolare esattamente questo rendimento con i mezzi offerti dal contribuente e dal CTU non comporta, però, anche l’impossibilità di determinare il quantum dell’obbligazione restitutoria (certamente esistente, conviene ripeterlo, in virtù di quanto precisato nella sentenza di rinvio sopra citata)”. “Il rendimento ottenuto dal capitale accantonato in PIA investito sul mercato nella forma dell’autofinanziamento può quindi essere calcolato in via equitativa, compensando l’omessa rilevanza della progressività degli accantonamenti con la loro capitalizzazione semplice al TSU medio fra quello del 13% praticato nel 1986 e quello praticato nell’anno 2000 con la seguente operazione: accantonamento PIA x 8,5% (TSU medio, come riportato sul sito Banca d’Italia) x 14 (anni di durata della PIA, dalla costituzione alla liquidazione, seppure qui soltanto al 50%). Su tale rendimento sarà calcolata l’obbligazione restitutoria che qui viene posta a carico dell’Agenzia delle Entrate per differenza tra l’imposta calcolata 31,89% e quella da calcolarsi al 12,50%”;
che il giudice del rinvio ha dunque erroneamente dato per scontato che la parte rescindente della decisione di annullamento contenesse un accertamento in ordine all’an debeatur ed, inoltre, ha omesso di procedere ad un calcolo in concreto del rendimento netto imputabile alla gestione di mercato, considerando per converso un valore equitativo ed applicando ad esso l’aliquota del 12,50%;
che in tal modo la CTR si è discostata dal principio fissato nella parte rescissoria della pronunzia di questa Corte, indicato dalla sentenza n. 2469/2012 e, del resto, conforme alla giurisprudenza consolidata in materia (Sez. 5, n. 4942 del 02/03/2018; Sez. 5, n. 24525 del 18/10/2017; Sez. 5, n.20285 del 23/08/2017);
che, pertanto, in accoglimento del ricorso la sentenza va cassata ed il giudizio rinviato alla CTR Lazio, in diversa composizione, affinché si attenga agli enunciati principi e si pronunzi anche con riguardo alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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