CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 luglio 2020, n. 13841
Tributi – Imposta di registro – Compravendita di immobili – Contratto – Condizioni “sospensive”del pagamento del prezzo
Premesso che
1. la commissione tributaria regionale del Lazio, con sentenza n.400 in data 28 ottobre 2013, affermava che il contratto di compravendita di immobili stipulato da P.P. era, in forza clausola n.5 -ai sensi della quale il contratto era sottoposto alle condizioni “sospensive”del pagamento del prezzo entro due anni dalla stipula e della mancata proposizione, entro il biennio, di “azioni di riduzione, revocatorie, trascrizioni o iscrizioni pregiudizievoli”, con previsione che “qualora il pagamento non venisse effettuato e “risultassero esercitate le predette azioni, il presente atto, ipso iure, perderebbe effetto ed efficacia”-, sottoposto a “condizione sospensiva” (la commissione si esprimeva al singolare) e, come già evidenziato dalla sentenza di primo grado, non meramente potestativa (“essendo stato previsto il concorso di fattori oggettivi estrinseci influenzanti la determinazione della volontà”) e che pertanto doveva ritenersi illegittimo l’avviso con cui l’Agenzia, sul presupposto che il contratto fosse invece “condizionato al mero arbitrio delle parti e che, in ogni caso, la condizione apposta fosse risolutiva e non sospensiva”, aveva preteso dal P., il quale aveva versato l’imposta di registro in misura fissa ai sensi del primo comma dell’art.27 del d.P.R. 131/1986, la maggiore imposta proporzionale;
2. l’Agenzia ricorre per la cassazione della suddetta sentenza sulla base di due motivi con i quali lamenta “violazione o falsa applicazione dell’art.132, secondo comma, n.4, c.p.c. e art. 36 del d.lgs. 546 del 1992” e “violazione o falsa applicazione dell’art.27, terzo comma, del d.P.R. 26 aprile 1986, n.131”;
3. il contribuente resiste con controricorso;
Considerato che
1. i due motivi di ricorso possono essere esaminati in modo congiunto perché essi, al di là delle relative rubriche, mirano a censurare la sentenza impugnata per un errore di interpretazione della ricordata clausola contrattuale n.5. Sotto questo profilo, i motivi sono fondati. L’affermazione fatta dai giudici di appello secondo cui il pagamento del prezzo può essere dedotto in condizione non rileva al fine della qualificazione della condizione come sospensiva o risolutiva, il ché vale anche per i “fattori estrinseci condizionanti la determinazione della volontà” (espressione utilizzata dai giudici di appello e da intendersi riferita alla parte della clausola in cui sono menzionate “azioni di riduzione, revocatorie, trascrizioni o iscrizioni pregiudizievoli”). Detti fattori estrinseci, come peraltro detto dagli stessi giudici di appello, portano a concludere che la “condizione non può essere qualificata come soggetta al mero arbitrio del soggetto obbligato”, ma non valgono a qualificare le condizioni come sospensive o risolutive. La commissione, in violazione dell’art.1362 e 1363 c.c., non ha esaminato l’ultima parte della clausola, laddove è detto che “qualora il pagamento non venisse effettuato e risultassero esercitate le predette azioni, il presente atto, ipso iure, perderebbe effetto ed efficacia”. Né, a fronte del contrasto tra la prima parte della clausola (in cui le condizioni sono dette “sospensive”) e l’ultima, ha esaminato il tenore complessivo del contratto né ha indagato se dal comportamento complessivo dei contraenti fosse possibile individuare la loro reale intenzione riguardo alla natura della condizione;
2. il ricorso deve essere quindi accolto, la sentenza deve essere cassata, e la causa deve essere rinviata alla commissione tributarie regionale del Lazio, in diversa composizione, per nuovo esame;
3. il giudice del rinvio deciderà anche delle spese;
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione.
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