CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 luglio 2022, n. 21468
Licenziamento – Violazione dell’obbligo di repêchage – Tutela reintegratoria – Requisito della manifesta insussistenza – Illegittimità
Rilevato che
1. la Corte di Appello di Milano, con la sentenza impugnata, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha accertato “il diritto Di M.E.M. alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento a quella dell’effettiva reintegrazione, oltre interessi e rivalutazione, fino ad un massimo di 12 mensilità, nonché al pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali per il medesimo periodo”, in relazione al recesso intimato da Alitalia – S.A.I. S.p.A. in data 5 luglio 2016 per giustificato motivo oggettivo;
2. la Corte – per quanto qui ancora rileva – ha accolto il motivo di reclamo della M. “con il quale la lavoratrice ha lamentato l’omesso riconoscimento della tutela reintegratoria quale conseguenza della violazione, da parte del datore di lavoro dell’obbligo di repêchage”; sulla base di un insieme di “pacifiche circostanze di fatto” specificamente indicate, la Corte ha ritenuto che “la violazione dell’obbligo di repêchage [fosse] perentoriamente, agevolmente ed univocamente emersa, senza margini di dubbio, nel corso del giudizio, con conseguente diritto della lavoratrice all’ottenimento delle tutele di cui al comma 4 dell’articolo 18” dello S.d.L.;
3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società con tre motivi, cui ha resistito l’intimata con controricorso; parte ricorrente ha comunicato memoria;
Considerato che
1. il primo motivo di ricorso denuncia la “violazione e falsa applicazione dell’art. 329 c.p.c.”, ritenendo censurabile la decisione della Corte d’Appello di Milano nella parte in cui avrebbe considerato che la società non aveva proposto gravame in relazione all’asserita violazione dell’obbligo di repêchage, integrando così una forma di acquiescenza nei confronti di un provvedimento che, invece, S. in a.s. aveva impugnato nel suo contenuto decisorio; col secondo mezzo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. per avere la sentenza impugnata ritenuto “provata la violazione dell’obbligo di repêchage da parte della società”;
2. i motivi, esaminabili congiuntamente per connessione, non possono trovare accoglimento; opportuno sottolineare che, come riportato nella sentenza impugnata, “il Tribunale di Milano ha confermato l’ordinanza con la quale – a definizione della fase sommaria del procedimento di cui all’art. 1 l. n. 92/12 e dopo aver esperito istruttoria orale – era stata dichiarata l’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato da A.S. spa a M.E.M. in data 5.7.16 per violazione dell’obbligo di repêchage”; rispetto a tale pronuncia è pacifico che abbia interposto gravame la sola M., rispetto – per quanto qui rileva – alla statuizione che aveva riconosciuto la tutela indennitaria in luogo di quella reintegratoria; pertanto, ogni questione in ordine all’illegittimità del licenziamento per violazione dell’obbligo di repêchage risulta preclusa dal giudicato interno formatosi sulla questione;
3. il terzo motivo di ricorso denuncia la “violazione e falsa applicazione dell’art. 18 L. 300/70, commi 5 e 7”, sostenendo che la sentenza impugnata sarebbe comunque erronea nella parte in cui ha fatto derivare la sanzione della reintegra piuttosto che la tutela indennitaria, pur non essendo riscontrabile nella specie “la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo”; il motivo non è accoglibile; con la sentenza n. 125 del 19 maggio 2022 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge n. 300 del 1970, come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), della legge n. 92 del 2012, limitatamente alla parola «manifesta»;
orbene, anche nel giudizio di cassazione, qualora sopravvenga dopo la deliberazione della decisione della Corte di Cassazione e prima della pubblicazione della stessa, la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma di legge e tale dichiarazione risulti potenzialmente condizionante rispetto al contenuto ed al tipo di decisione che la Corte stessa era chiamata a rendere, sussiste il dovere della Corte di Cassazione di tenere conto della suddetta dichiarazione, posto che anche il giudizio di cassazione pende sino a quando la sentenza non sia stata pubblicata e considerato che le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dopo la pubblicazione della sentenza della Corte Cost.(Cass. n. 5884 del 1999; Cass. n. 16081 del 2004); in ragione di ciò, la censura che si fonda su di un parametro normativo oramai espunto dall’ordinamento, non può trovare accoglimento;
4. conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo; ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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