CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 maggio 2020, n. 8493
Tributi – Accertamento induttivo – Studi di settore – Imprese di autotrasporto – Scostamento della percentuale di incidenza del consumo di carburante sui corrispettivi
Fatti di causa
1. La Commissione tributaria regionale per la Campania, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rideterminato in euro 45.444,00 il reddito d’impresa del contribuente A.F., che aveva proposto impugnazione dell’avviso di accertamento TFMC00100220/2010, relativo a Irpef, Iva e Irap per l’anno di imposta 2005.
2. Ha rilevato il giudice di appello che, sulla base di un accordo intervenuto tra il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e le maggiori organizzazioni di categoria del settore dell’autotrasporto, la percentuale del rapporto tra consumo di carburante e ricavo era stata fissata al 20%, laddove il contribuente aveva indicato nella dichiarazione una percentuale tra il 32,95 e il 35,27%, con uno scostamento a favore del contribuente che non era stato giustificato, tanto da legittimare l’accertamento induttivo del maggior reddito tramite studio di settore, che conduceva a rideterminare il reddito nella misura di euro 45.444,00, calcolando l’incidenza del consumo di carburante sui corrispettivi nella percentuale del 30%.
3. Per la cassazione della citata sentenza A.F. ricorre con tre motivi, resistiti dall’Agenzia delle Entrate con controricorso.
4. Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380bis 1 cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
1. Il ricorso lamenta:
a. Primo motivo: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 39, d.P.R. n. 600/1973, e 55 d.P.R. n. 633/1972, anche in relazione agli art. 2727 e seguenti c.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.)» deducendo che la sentenza avrebbe erroneamente applicato il metodo analitico induttivo: a) perché l’accordo di categoria citato non si applicava alle piccole imprese di trasporto di collettame, quale quella del ricorrente; b) l’accertamento fiscale trovava smentita nella contabilità aziendale; c) perché la pronuncia aveva confuso tra incidenza del costo del carburante sul totale dei costi e incidenza sul totale dei ricavi di impresa.
b. Secondo motivo: «Omesso esame di fatti decisivi (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.)» deducendo l’omesso esame della nota CNA-FITA del 21.1.2009, finalizzata a determinare la quota di incidenza dei costi di esercizio sul totale dei costi di impresa.
c. Terzo motivo: «Violazione dell’art. 111, comma 6, Cost., nonché dell’art. 132 c.p.c., anche in relazione all’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 546/1992 (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.)» deducendo la mancanza di motivazione a supporto della applicazione della percentuale di incidenza del costo del carburante nella misura del 30%.
2. L’Agenzia delle Entrate argomenta l’infondatezza del ricorso in relazione a tutti i suoi motivi (che sono peraltro tre e non cinque), concludendo per il rigetto dell’avversa impugnazione.
3. Il ricorso va respinto.
4. Il primo motivo di ricorso è inammissibile. Invero la censura da un lato asserisce che l’accordo di categoria di cui alla circolare CNA-FITA non sarebbe applicabile alla fattispecie, ma non fa alcun riferimento ad alcuna domanda giudiziale formulata per far accertare quanto dichiarato; dall’altro si sostanzia in un inammissibile tentativo di far compere a questa Corte una nuova valutazione del merito della controversia, in presenza di una motivazione che ha dato ampiamente conto dell’inattendibilità della dichiarazione presentata dal contribuente (anche in riferimento a una parziale risposta al questionario ammnistrativo proprio in tema di chilometraggio percorso al fine del controllo della congruità del costo del carburante).
5. Il secondo motivo è inammissibile. La censura lamenta la violazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.
Tuttavia la presente controversia è regolata dal nuovo testo dell’articolo citato, essendo la sentenza stata depositata dopo l’11 settembre 2012, e quindi il vizio di motivazione è denunciabile in cassazione ai sensi del citato articolo solo per anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014). L’irrilevanza delle risultanze processuali ai fini dell’applicazione del sindacato sulla motivazione è stata ulteriormente precisata nel senso che il vizio denunciabile è limitato all’omesso esame di un fatto storico – da intendere quale specifico accadimento in senso storico-naturalistico (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 24035 del 03/10/2018), principale o secondario, rilevante ai fini del decidere e oggetto di discussione tra le parti (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018), nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente l’omessa valutazione di deduzioni difensive. Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato come nella specie preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018)
6. Il terzo motivo è infondato. Proprio in applicazione della citata giurisprudenza delle Sezioni Unite n. 8053 del 2014, si evince che la motivazione impugnata è ben lungi dall’essere mancante, ma si caratterizza per il richiamo alle fonti del proprio convincimento (accordo Fita) e per l’esplicitazione del calcolo effettuato, ciò che corrisponde alla necessità per il giudice tributario di non limitarsi al mero annullamento della pretesa fiscale, ma di pervenire in ogni caso alla sua rideterminazione.
7. La soccombenza regola le spese.
8. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna A.F. al pagamento, in favore della Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 3.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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