CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 marzo 2019, n. 6538
Rapporto di lavoro – Diritto alla corresponsione del premio di risultato – Accertamento – CCNL
Rilevato
che la Corte di Appello di Ancona, con sentenza depositata in data 5.11.2012, respingeva il gravame interposto da T. S.p.A., nei confronti di L. B., B.C., A.G., P.P.P. ed A.S., avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva accolto la domanda dei lavoratori, diretta all’accertamento del diritto alla corresponsione del premio di risultato ai sensi degli artt. 68 e 33 del CCNL di categoria, per gli anni 2003 e 2004, ed alla condanna della società alla corresponsione del suddetto emolumento, oltre agli accessori di legge;
che per la cassazione della sentenza ricorre T. S.p.A. articolando sei motivi;
che i lavoratori sono rimasti intimati
che il P.G. non ha formulato richieste
Considerato
che con il ricorso si censura: 1) la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 324, 329 c.p.c. e 2909 c.c., in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., ed in particolare, si lamenta che la Corte territoriale avrebbe erroneamente rigettato l’appello di T. S.p.A. per avere ritenuto che i verbali di conciliazione sottoscritti dinanzi alla Direzione Provinciale del Lavoro, con tutte le garanzie per i lavoratori, non avrebbero in sé alcun valore o significato di rinuncia o transazione in ordine «a qualsivoglia diritto»; 2) la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, primo comma, e 1363 c.c., in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., nonché, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, perché la sentenza impugnata avrebbe violato i criteri ermeneutici di cui ai citati articoli, laddove ha escluso la configurabilità di un atto negoziale di rinuncia da parte dei ricorrenti, affermando che, nella fattispecie, «il contratto non attesta una rinuncia, cioè una abdicazione a diritti, ma semplicemente dà atto che il contraente ha ricevuto quanto dovutogli. Non vi è quindi una espressione di volontà (suscettibile di integrare un contratto), ma soltanto una dichiarazione di scienza, cioè un attestato che può valere come quietanza>>; 3) la violazione e falsa applicazione degli artt. 1965, 1975, primo comma, e 2113 c.c., in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di merito avrebbe errato nel ritenere che, «per quanto menzionata negli accordi de quibus, non vi sarebbe stata alcuna transazione tra le parti per mancanza di un oggetto definito o quantomeno definibile, in quanto mancherebbe l’oggetto della lite già cominciata o che si intende definire (art. 1965 c.c.), trattandosi esclusivamente della risoluzione del contratto e non della regolazione delle reciproche obbligazioni», e non avrebbe considerato che, ai sensi dell’art. 1965, primo comma, c.c., la transazione può avere ad oggetto non solo la definizione di una lite già cominciata, ma anche la prevenzione di una lite che può sorgere; ed altresì che, ai sensi del secondo comma dello stesso articolo, «con le reciproche concessioni si possono creare, modificare o estinguere anche rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione delle parti»; 4) la violazione e falsa applicazione degli artt. 1965, 1975, 1362 e 1363 c.c., in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per avere i Giudici di secondo grado escluso, nel caso di specie, la sussistenza e la configurabilità di una rinuncia/transazione a crediti da parte dei lavoratori, concludendo che «….tanto basta perché la tesi dell’appellante debba essere respinta»; 5) la violazione e falsa applicazione dell’art. 2113 c.c., in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la sentenza impugnata ha violato il disposto dell’art. 2113 c.c., che, all’ultimo comma, sancisce la validità e non impugnabilità delle rinunzie e transazioni effettuate, come nella fattispecie, in sede conciliativa ex art. 410 c.p.c.; 6) la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in riferimento «all’art. 360, n. 3, c.p.c. e/o all’art. 360, n. 4, c.p.c.», per omessa pronuncia in ordine alla domanda riconvenzionale subordinata di cui a pag. 42 dell’atto di appello;
che il terzo motivo, da esaminare per primo per ragioni di logica priorità, è fondato: la questione attiene alla sussistenza o meno della «rinunzia» (e «transazione») da parte dei ricorrenti ai diritti dai medesimi “azionati”. Invero, se la soluzione sarà da porsi in senso favorevole alla tesi sostenuta dalla parte ricorrente, è chiaro che non sarà più necessario proseguire nella delibazione delle altre problematiche prospettate, per chiaro assorbimento delle stesse, dovendosi definire la regiudicanda alla stregua della dedotta eccezione, così pervenendosi non solo ad una absolutio ab istantia, ma proprio ed altresì ad una abolutio ab actione della società datrice di lavoro. E la soluzione non può che essere favorevole a quest’ultima.
Non può non dirsi, invero, iuxta alligata ed avendo riguardo al contenuto ed al tenore delle dichiarazioni e delle proposizioni adoperate e rilasciate per tabulas dai lavoratori, che costoro abbiano senz’altro agito con il consapevole e deliberato proposito di porre in essere una precisa manifestazione di volontà negoziale, con cui hanno liberamente disposto delle situazioni giuridiche che li riguardavano e che abbiano agito quindi – attraverso la rappresentazione delle reciproche rinunzie e concessioni (datum et retentum) – con l’intento di porre fine alla res controversa e di prevenire ed evitare qualsiasi eventuale lite apud iudicem.
Si desume altresì, ex actis, che i lavoratori hanno operato contrariamente a quanto dai medesimi assunto, con la chiara e piena consapevolezza degli specifici diritti che in essi si subiettivavano: diritti determinati, e comunque oggettivamente determinabili; senza che possano ragionevolmente ed attendibilmente invocare un preteso, tardivo ed indimostrato errore e/o vizio del consenso. Ed è sintomatico che i detti lavoratori non sì siano dati cura di cautelarsi tempestivamente, impugnando la dichiarazione de voluntate nel termine di decadenza previsto dall’art. 2113 c.c. in sei mesi e chiaramente finalizzato dal legislatore a non lasciare indefinitamente, o comunque per lungo tempo, sospese ed incerte le situazioni giuridiche connesse al rapporto di lavoro ed a precludere quindi l’eventualità che possa taluno dei soggetti interessati, con una impugnazione “sine die”, porre di nuovo sub iudice la res (non più) controversa, così ledendo l’affidamento creato nella controparte con l’atto di disposizione del proprio diritto, liberamente posto in essere (arg. anche da Corte cost. 20.3.1974, n. 77); dalla qual cosa, si evince che la predetta transazione – lo si ribadisce – deve ritenersi non viziata e, comunque, il fatto che non sia stata impugnata nel termine decadenziale di sei mesi, escluderebbe la rivendicazione delle somme pretese. Ed in tale contesto, appaiono, pertanto, puntuali, le osservazioni della società ricorrente, confortate ex actis; e cioè che i lavoratori, lungi dall’avere semplicemente – e solo de scientia – dichiarato «di essere soddisfatti e di non avere null’altro a pretendere», hanno invece espressamente pattuito con la società datrice di lavoro che le somme ulteriori erogate a ciascuno, pari ad Euro 1.000,00, venivano loro versate «in aggiunta a quanto dovuto per trattamento di fine rapporto, a titolo di transazione generale novativa», tanto da avere recepito il predetto importo a fronte delle rinunzie alla rivendicazione di pretese connesse al «rapporto di lavoro (ormai) pregresso», tra le quali rientrava il premio di risultato di cui si discute. Ciò, invero, conferma ulteriormente l’esistenza di una chiara e ben determinata volizione dei contraenti di prevenire e chiudere definitivamente, mediante le reciproche concessioni, qualsiasi attuale o potenziale controversia. Non a caso, infatti, nella convenzione si dà atto che i ricorrenti «dichiarano di essere stati completamente tacitati, riconoscendo con il presente accordo rinunciata o transatta, in via definitiva e generale, ogni eventuale ragione di credito verso T. S.p.A., che gli stessi possano vantare in dipendenza del pregresso rapporto di lavoro ed in ordine ai modi e ai tempi della sua risoluzione e, in via meramente esemplificativa, per diverso inquadramento, maggiori retribuzioni e contribuzioni previdenziali, aumenti periodici di anzianità, per trattamento di missione, di trasferimento o distacco, per ferie e festività non godute, lavoro straordinario e relative aliquote, festivo e notturno, eventuale incidenza dei predetti titoli sul TFR, risarcimento danni a qualunque titolo, nonché per qualsiasi altro motivo, anche se non espressamente menzionato, ma comunque connesso con l’intercorso rapporto di lavoro o con qualsiasi altro rapporto intrattenuto con la società». Alla stregua di quanto precede, può quindi affermarsi che non vi è dubbio che alle volizioni negoziali de quibus poste in essere dagli attuali contendenti, debba essere riconosciuta natura e portata transattiva-abdicativa. E ciò non soltanto, come si è già detto, in forza della dichiarazione esteriorizzata e delle proposizioni adoperate, ma in considerazione, inoltre, della evidente correlazione tra la situazione di vantaggio – scaturente dalla erogazione di una somma <<in aggiunta al T.F.R.>> e la derelictio di altre pretese che avrebbero eventualmente potuto essere avanzate. Correlazione causale, quindi, tra le reciproche concessioni tese, inequivocabilmente, al predetto, evidenziato fine di evitare qualsiasi res litigiosa: tanto più possibile allorché si sia in presenza di un trattamento economico complesso, variegato, articolato cioè in una pluralità di “voci” e di emolumenti di diversa natura e funzione, come nella fattispecie. In definitiva, il concreto volutum, negoziale – ripetesi – e non de scientia, è da sussumere nella previsione legislativa astratta ex art. 2113 c.c.; di tal che, non essendone stata contestata la validità nel termine di decadenza normativamente sancito, deve ritenersi definitivo ed inoppugnabile, avendo creato con la sua efficacia preclusiva sostanziale, impeditiva di qualsiasi indagine sulla realtà preesistente, non solo una realtà ormai scissa dalla sua fonte – il rapporto di lavoro, coi «diritti primari» ad esso connessi – ma altresì non più tangibile, sia de lege sia per il valore di «certezza giuridica» che ad essa si lega e che il conditor legis ha voluto all’evidenza consacrare;
che gli altri motivi risultano assorbiti per tutte le considerazioni innanzi svolte;
che, sussistendo i presupposti di cui all’art. 384, secondo comma, ultima parte, del codice di rito, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto delle originarie domande, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto;
che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;
che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo di ricorso; assorbiti gli altri e, decidendo nel merito, rigetta le originarie domande. Condanna le parti intimate al pagamento, in favore della controparte, delle spese, liquidate, per il primo grado, complessivamente in Euro 1.600,00; per il secondo grado, complessivamente in Euro 1.800,00 e, per il giudizio di legittimità, complessivamente in Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- Assicurazione a premio ordinario dal 1.1.2023 di facchini, barrocciai, vetturini, ippotrasportatori, pescatori della piccola pesca soci di cooperative e degli addetti ai frantoi - Nuove misure dal 1.1.2023 del premio speciale per l’assicurazione dei…
- Il premio in una competizione ippica è subordinato alla realizzazione di una particolare prestazione ed è sottoposto ad alea - L'alea esclude l'esistenza di un nesso diretto tra messa a disposizione del cavallo e vincita del premio, quindi, il premio…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 2338 depositata il 24 gennaio 2024 - La nullità prevista dall'art. 117, commi primo e terzo, del d.lgs. n. 385 del 1993 per l'ipotesi in cui il contratto non sia stato stipulato in forma scritta si configura come una…
- Corte di Cassazione, sezione II, ordinanza n. 32731 depositata il 24 novembre 2023 - La prescrizione sulla specifica approvazione scritta delle clausole vessatorie per il contraente in adesione è rispettata quando a tali clausole sia data autonoma e…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 31 maggio 2019, n. 14994 - In tema di diritti doganali, ai fini della determinazione del valore in dogana di prodotti che siano stati fabbricati in base a modelli e con marchi oggetto di contratto di licenza e che siano…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 21 settembre 2022, n. 27681 - La cessione del contratto comporta il trasferimento soggettivo del complesso unitario di diritti ed obblighi derivanti dal contratto, lasciando immutati gli elementi oggettivi essenziali e…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10267 depositat…
- L’Iva detratta e stornata non costituisce elusione
L’Iva detratta e stornata non costituisce elusione, infatti il risparmio fiscale…
- Spese di sponsorizzazione sono deducibili per pres
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 6079 deposi…
- E illegittimo il licenziamento del dipendente in m
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 8381 depositata…
- Illegittimo il licenziamento per inidoneità fisica
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 9937 depositata…