CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 marzo 2019, n. 6541
Licenziamento – Natura ritorsiva – Delega ad operare sul conto corrente dell’azienda – Autorizzazione del datore di lavoro – Prova
Rilevato che
La Corte di appello di Lecce – sez. distaccata di Taranto, con la sentenza n. 231/2017 aveva rigettato il reclamo proposto da C. O. avverso la decisione con la quale il tribunale di Taranto aveva ritenuto legittimo il licenziamento a lui intimato da P.I. srl, fondato l’addebito mosso relativo alla sottrazione alla società datrice di lavoro, nel periodo maggio 2012 e marzo 2013, della somma di E.44.882,00, realizzata effettuando bonifici sul proprio conto in ragione della delega ad operare sul conto corrente dell’azienda e del possesso delle credenziali utili a dare disposizioni “e-banking”.
La Corte territoriale aveva escluso la natura ritorsiva del licenziamento, come già accertato da precedente sentenza n. 67119/2014 avente ad oggetto le medesime circostanze dedotte in questo giudizio e che dunque rendeva inammissibile la domanda così riproposta; aveva poi ritenuto giustificata la contrazione dell’attività istruttoria invece lamentata dal C., non avendo rilievo i fatti di cui chiedeva l’accertamento, stante il riconoscimento delle operazioni svolte, rispetto alle quali unico profilo rilevante risultava la prova della eventuale autorizzazione del datore di lavoro, valutata correttamente dal tribunale e confermata dalla stessa corte territoriale. Quest’ultima escludeva infine la tardività della contestazione confermando quanto a riguardo statuito dal tribunale.
Avverso detta decisione C. O. proponeva ricorso affidandolo a sei motivi cui resisteva con controricorso P.I. srl.
Considerato che
1) – Deve preliminarmente rilevarsi la infondatezza della eccezione di difetto dello ius postulandi sollevata dalla società controricorrente, con riguardo alla mancata allegazione in calce al ricorso notificato della procura speciale. Questa corte ha chiarito che “Quando dalla copia notificata all’altra parte risulta che il ricorso per cassazione (o il controricorso) presentano a margine o in calce ovvero in foglio separato ad essi unito materialmente una procura rilasciata al difensore che ha sottoscritto l’atto, tale procura – salvo che dal suo testo non si rilevi il contrario – deve considerarsi conferita per il giudizio di cassazione e soddisfa perciò il requisito della specialità previsto dall’art 365 cod. proc. civ. anche se non contiene alcun riferimento alla sentenza da impugnare o al giudizio da promuovere, deponendo per la validità di siffatta procura l’art. 83 cod. proc. civ. (nella nuova formulazione risultante dall’art. 1 della legge 27 maggio 1997 n. 141) il quale, interpretato alla luce dei criteri letterale, teleologico e sistematico, fornisce argomenti per ritenere che la posizione topografica della procura, (il cui rilascio può ora avvenire oltreché in calce e a margine dell’atto anche in un foglio separato, ma congiunto materialmente all’atto) è idonea, al tempo stesso, a conferire la certezza della provenienza dalla parte del potere di rappresentanza e a dar luogo alla presunzione di riferibilità della procura stessa al giudizio cui l’atto accede, senza che per contro, in sede di legittimità, considerato il carattere prevalentemente (ancorché non esclusivamente) privato degli interessi regolati dal codice di rito con le disposizioni concernenti il rilascio della procura (il controllo giudiziario della quale, sotto il profilo della autenticità e specificità, deve da quel carattere trarre criteri di orientamento) e tenuto conto delle esigenze inerenti al diritto di difesa, costituzionalmente garantito davanti a qualsivoglia giudice in ogni stato e grado del giudizio, ed esprimentesi in materia, nella libera scelta del difensore operata dai privati, possa esigersi dalla parte conferente l’espressa enunciazione nella procura, a garanzia dell’altra parte, di quanto quest’ultima può già ritenervi compreso in ragione dell’essere tale procura contenuta nell’atto contro di essa diretto, potendo fra l’altro una tale non prevista necessità risolversi in pregiudizio del diritto di difesa della parte non giustificato da esigenze di tutela della controparte” (Cass. SU n. 2646/1998; Cass. n. 29785/2008; Cass. n. 20817/2006);
2) Con il primo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 18 co. 1 l. n. 300/70 per non aver, la corte di appello, ritenuto nullo, perché ritorsivo, il licenziamento intimato.
Lamenta il ricorrente che la corte di appello abbia formato il suo giudizio solo sull’addebito mosso e non sull’intero contesto dei rapporti tra le parti che, invece, avrebbero dato prova della ritorsività del recesso.
Il motivo risulta inammissibile perché non focalizza la decisione della corte territoriale basata in primo luogo sulla inammissibilità del motivo inerente la ritorsività. Tale statuizione non è stata minimamente toccata dalla attuale censura . Peraltro il ricorrente deduce una serie di circostanze di fatto sulle quali chiede una nuova valutazione non ammissibile in sede di legittimità. Per entrambe le ragioni il motivo è inammissibile.
3) Con il secondo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 18 co. 4 l. n. 300/70, per non aver, la corte di appello, ritenuto illegittimo il licenziamento perché inesistente il fatto.
4) con il terzo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 18 co. 5 l. n. 300/70, per non aver, la corte di appello,ritenuto illegittimo il licenziamento perché carente della giusta causa.
Il secondo e terzo motivo possono essere trattati congiuntamente perché entrambi richiedono una nuova valutazione dei fatti oggetto della controversia già valutati dai giudici di merito e la cui rivalutazione non è consentita in sede di legittimità.
5) Con il quarto motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 18 co. 5 l. n. 300/70, per non aver, la corte di appello, ritenuto tardiva la contestazione del fatto ed illegittimo il licenziamento.
La decisione della Corte sul punto richiama e conferma quanto statuito dal tribunale. Il contenuto delle argomentazioni non è in alcun modo riportato nel motivo di censura per cui non è possibile comprendere le ragioni della censura collegate alla statuizione.
6) Con il quinto motivo è denunciata la violazione degli artt. 7 e 18 co. 6 l. n. 300/70, art. 8 tit. VII CCNL Metalmeccanica Privata, per non aver, la corte di appello, ritenuto viziato il procedimento disciplinare e di conseguenza il licenziamento.
Anche in questo caso la decisione della Corte sul punto richiama e conferma quanto statuito dal tribunale, ma il decisum non è in alcun modo riportato nel motivo per cui non è possibile comprendere le ragioni concrete della censura. Anche tale motivo risulta inammissibile, stante la violazione del principio di specificità.
7) Con il sesto motivo è denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio quale la conoscenza /conoscibilità da parte del datore di lavoro degli accrediti oggetto del licenziamento, ottenibile attraverso la documentazione oggetto di richiesta di esibizione (disattesa).
Il motivo risulta inammissibile perché attiene alla valutazione sulla attività istruttoria necessaria.
Come già in molte occasioni affermato “l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex multis Cass. n. 19011/2017; Cass. n. 16056/2016).
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E. 4.000,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis, dello stesso articolo 13.
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