CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 novembre 2020, n. 24929
Assegno ordinario di inabilità – Carenza del requisito contributivo – Prestazioni previdenziali giudizialmente pretese – Necessaria prova dell’assicurato e verifica d’ufficio del giudice
Rilevato in fatto
Che, con sentenza depositata il 21.5.2014, la Corte d’appello di Reggio Calabria, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato per carenza del requisito contributivo la domanda di M.T.T. volta a conseguire l’assegno ordinario di inabilità;
che avverso tale pronuncia M.T.T. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura, poi illustrati con memoria;
che l’INPS ha resistito con controricorso;
che la causa, a seguito di infruttuosa trattazione camerale ex art. 375 c.p.c., è stata rimessa alla Quarta Sezione di questa Corte di legittimità, che ne ha disposto a sua volta la trattazione in adunanza camerale ex art. 380-bis. 1 c.p.c.;
che parte ricorrente ha depositato ulteriore memoria, con la quale ha chiesto in limine la trattazione in pubblica udienza;
Considerato in diritto
che, con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 78, r.d. n. 1422/1924, in combinato disposto con gli artt. 416 e 437 c.p.c., nonché omesso esame circa un fatto decisivo, per non avere la Corte di merito dichiarato l’inammissibilità dell’appello nella parte in cui sollevava per la prima volta in giudizio la questione del possesso del requisito contributivo;
che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 61 ss. c.p.c.per avere la Corte territoriale demandato al CTU l’accertamento circa la sussistenza del requisito contributivo, invece che attenersi alle risultanze dell’estratto conto contributivo da lei prodotto;
che, con il terzo motivo, la ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione dell’art. 54, l. n. 88/1989, in relazione all’art. 14, lett. f), d.lgs. n. 196/2003, nonché omesso esame circa un fatto decisivo, per avere la Corte di merito ritenuto che l’estratto conto contributivo rilasciatole dal patronato non avesse il valore certificativo di cui all’art. 54, cit., di talché la sua valenza probatoria potesse essere superata dalle diverse risultanze della documentazione prodotta in atti da parte dell’ente previdenziale;
che vanno preliminarmente disattesi i rilievi sollevati nella memoria ex art. 378 c.p.c. depositata in vista dell’odierna adunanza camerale, con i quali parte ricorrente invoca la trattazione della causa in pubblica udienza, dovendo ritenersi che, a seguito dell’entrata in vigore delle modifiche apportate al rito di legittimità con d.l. n. 168/2016 (conv. con l. n. 197/2016), ove il ricorso sia stato preliminarmente esaminato dalla sezione prevista dall’art. 376 c.p.c. e questa, in esito alla camera di consiglio, abbia rimesso la causa alla sezione semplice ai sensi dell’art. 380-bis, comma 3°, c.p.c., non sussiste alcuna necessità della trattazione del processo in pubblica udienza, quest’ultima potendo giustificarsi, ex art. 375, comma 2°, c.p.c., soltanto in presenza di una particolare rilevanza della questione di diritto sulla quale la Corte deve pronunciare (cfr., fra le tante, Cass. n. 22462 del 2017);
che, ciò premesso, il primo motivo è infondato, essendo consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio di diritto secondo cui l’esistenza del requisito contributivo delle prestazioni previdenziali giudizialmente pretese deve essere provata dall’assicurato e verificata anche d’ufficio dal giudice, mentre la sua negazione da parte dell’istituto assicuratore convenuto, non costituendo una eccezione in senso stretto ma una mera difesa, sfugge alle preclusioni di cui agli artt. 416 e 437 c.p.c. ed è perciò idonea, anche se svolta oltre i limiti stabiliti da tali norme, a sollecitare il potere-dovere del giudice di rilevare di ufficio l’eventuale carenza del suddetto requisito (cfr. Cass. nn. 9005 del 2003, 6264 del 2014);
che il secondo e il terzo motivo possono essere trattati congiuntamente, involgendo entrambi, ed al di là della formale deduzione di violazioni di legge sostanziale e processuale, il giudizio di fatto condotto dai giudici di merito in ordine alla sussistenza del requisito contributivo;
che, al riguardo, va preliminarmente ricordato che il valore certificativo degli atti di cui all’art. 54, l. n. 88/1989, concerne i dati in possesso dell’ente previdenziale nonché gli accertamenti compiuti in occasione del rilascio del certificato medesimo, ma non si estende alla verità della situazione sostanziale, atteso che il diritto alle prestazioni previdenziali sorge solo in presenza dei requisiti previsti dalla legge, che vanno provati nei modi ordinari, e argomentare diversamente equivarrebbe ad attribuire alla certificazione de qua un’efficacia costitutiva del diritto alla prestazione, che logicamente non può possedere (Cass. n. 7291 del 2008);
che, sulla scorta dell’anzidetto principio di diritto, è stato precisato che il contenuto della certificazione può, se del caso, fondare il diritto al risarcimento dei danni in favore dell’assicurato che si sia visto rigettare la domanda della prestazione previdenziale sulla scorta della discordanza tra il contenuto della certificazione rilasciatagli e la realtà del rapporto contributivo (così, tra le tante, Cass. n. 16044 del 2004);
che, ciò premesso, è evidente che l’unico contenuto rilevante dei due motivi di censura è una critica dell’apprezzamento delle risultanze probatorie compiuto dalla Corte territoriale al fine di escludere che parte ricorrente fosse in possesso del requisito contributivo, che è doglianza affatto inammissibile in questa sede di legittimità, essendo demandato al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e, in ultima analisi, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti;
che l’unico vizio dell’accertamento di fatto deducibile per cassazione concerne l’omesso esame circa un fatto decisivo che abbia formato oggetto di discussione tra le parti, ciò che prima facie non può dirsi con riguardo alla certificazione prodotta da parte ricorrente unitamente al ricorso per cassazione e richiamata nella memoria ex art. 378 c.p.c., trattandosi, a tacer d’altro, di documento di data posteriore allo stesso giudizio di merito e la cui produzione è anzi inammissibile in questa sede di legittimità (art. 372 comma 1° c.p.c.);
che il ricorso, pertanto, va rigettato, nulla statuendosi sulle spese del giudizio di legittimità ex art. 152 att. c.p.c.;
che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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