CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 ottobre 2021, n. 27030
Tributi – Contenzioso tributario – Appello – Sentenza – Ultrapetizione – Esclusione
Rilevato che
1. – con sentenza n. 2917/11/17, depositata il 4 agosto 2017, la Commissione tributaria regionale della Sicilia ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate e, così, ha dichiarato la nullità della decisione di prime cure relativamente alla statuizione con la quale era stato fatto ordine alla stessa Agenzia «di provvedere ad una nuova determinazione della rendita catastale da attribuire all’opificio per cui è causa, escludendo i beni strumentali ed i macchinari autonomamente utilizzabili ed analiticamente indicati in sentenza.»;
1.1 – il giudice del gravame ha considerato che:
– il ricorso introduttivo del giudizio esponeva un petitum che aveva ad oggetto un avviso di accertamento ICI emesso, per l’anno 2006, dal Comune di Valderice;
– per quanto la Commissione tributaria provinciale avesse ordinato l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, e ciò non di meno, alcuna domanda era stata proposta dalla contribuente nei confronti della terza chiamata in causa;
– nel decidere sul ricorso introduttivo, pertanto, la Commissione tributaria provinciale, – che aveva annullato l’avviso di accertamento impugnato, – aveva pronunciato ultra petita partium, così che andava accolto il gravame dell’Agenzia che detto vizio di ultrapetizione denunciava;
2. – O.M. S.r.l. ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di due motivi;
– l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Considerato che
1. – col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 4, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia violazione del d.lgs. n. 546 del 1992, artt. 1, c. 2, e 53, c. 2, nonché dell’art. 331 cod. proc. civ., deducendo, in sintesi, la nullità della gravata sentenza che, – a fronte di atto di impugnazione proposto nei confronti (solo) di essa esponente, – non aveva ordinato l’integrazione del contraddittorio nei confronti del Comune di Valderice che aveva emesso l’atto impugnato e che, pertanto, era stato parte del giudizio di primo grado;
– il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 546 del 1992, art. 19, commi 1 e 3, e della l. n. 342 del 200’0, art. 74, assumendo la ricorrente che, – avendo impugnato l’avviso di accertamento ICI in relazione alla illegittimità della rendita catastale sulla cui base era stato determinato l’imponibile fiscale, – malamente il giudice del gravame aveva rilevato il vizio di ultrapetizione della statuizione che recava ordine all’Agenzia di rideterminazione della rendita catastale, dovendosi considerare ammissibile l’impugnazione, per ragioni di merito, dell’atto conseguente (avviso di accertamento) unitamente all’atto presupposto (determinazione della rendita catastale) mai notificato (art. 19, c. 3, cit.), e non essendo mai stato notificato l’atto attributivo della rendita catastale (art. 74, c. 1, cit.);
soggiunge la ricorrente che, in effetti, – per quanto la rendita catastale rinveniente da dichiarazione presentata con procedura Docfa, e ciò non di meno, – l’Agenzia avrebbe dovuto, ad ogni modo, notificare l’atto attributivo della rendita, – laddove si era limitata a disattendere l’istanza di annullamento di ufficio da essa esponente presentata in autotutela in relazione alla illegittimità dei criteri sulla cui base, avuto riguardo alla disposizione di cui alla l. n. 311 del 2014, art. 1, c. 540, poi abrogata, quella rendita era stata proposta con procedura Docfa, – e che lo stesso atto di diniego di annullamento non avrebbe potuto essere impugnato da essa esponente;
2. – il primo motivo di ricorso è destituito di fondamento e va senz’altro disatteso;
3. – secondo un consolidato orientamento interpretativo della Corte, tra la controversia relativa all’ICI e quella relativa al classamento catastale vi è un rapporto di pregiudizialità logico-giuridica che giustifica la sospensione del processo (art. 295 cod. proc. civ.), anche con riferimento alla disciplina processuale del rito tributario, posto che la decisione sulla determinazione della rendita, – conseguente all’impugnazione dell’avviso di accertamento catastale imputabile all’esercizio dei poteri che fanno capo all’amministrazione finanziaria dello Stato, – si riflette, necessariamente condizionandola, sulla decisione relativa alla liquidazione dell’imposta (che, questa volta, fa capo ai poteri di imposizione riferibili all’Ente locale; v., ex plurimis, Cass., 10 gennaio 2014, n. 421; Cass., 18 aprile 2007, n. 9203; Cass., 11 dicembre 2006, n. 26380; Cass., 1 giugno 2006, n. 13082; v., altresì, in motivazione, Cass. Sez. U., 21 agosto 2009, n. 18565);
– si è, al contempo, rimarcato però che, nel giudizio di impugnazione dell’atto impositivo in materia di ICI, promosso nei confronti dell’Ente locale, la proposizione di contestazioni attinenti all’attribuzione della rendita non dà luogo ad un litisconsorzio necessario con l’Agenzia delle Entrate, con conseguente necessità dell’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 102 c.p.c., atteso che, essendo il comune estraneo alla determinazione della rendita, sussiste un mero rapporto di litisconsorzio facoltativo improprio, che presuppone un’autonoma citazione dell’Agenzia nello stesso processo in cui è citato il comune (Cass., 20 gennaio 2017, n. 1439; Cass., 30 aprile 2010, n. 10571; Cass. Sez. U., 21 agosto 2009, n. 18565, cit.);
3.1 – a fronte di un giudizio di natura impugnatoria, qual è quello tributario, vengono, dunque, in considerazione situazioni giuridiche attive che trovano fondamento in titoli tra di loro distinti (l’avviso di accertamento dell’imposta e l’atto determinativo della rendita catastale) e, pur potendosi prospettare una situazione di dipendenza tra gli stessi, questa non sussiste più ‘ e„ viene meno, nel momento in cui, – consolidandosi l’uno dei due titoli, – il contenzioso permanga solo sulla legittimità dell’altro;
– nella fattispecie, l’impugnazione proposta dall’Agenzia involgeva solo la statuizione relativa alla rendita catastale, – avendo il giudice del primo grado ordinato all’Agenzia «di provvedere ad una nuova determinazione della rendita catastale da attribuire all’opificio per cui è causa, escludendo i beni strumentali ed i macchinari autonomamente utilizzabili ed analiticamente indicati in sentenza.», e risultando detta statuizione censurata dall’Agenzia per ultrapetizione, – e non anche la statuizione concernente l’annullamento dell’avviso di accertamento ICI;
– in un siffatto contesto, difettavano i presupposti dell’ordine di integrazione del contraddittorio in quanto, – venuto meno il titolo della pretesa ICI, perché annullato l’avviso di accertamento, ed in difetto di impugnazione, sul punto, da parte del Comune di Valderice, – il giudizio di appello era delimitato dai motivi di impugnazione che, come detto, involgevano (solo) il titolo correlato alla statuizione sulla rendita catastale;
– e, in siffatti termini, la fattispecie in cognizione si differenzia da quella che, tra le stesse parti, è stata definita dalla Corte con sentenza n. 12593/19, posto che, in questo caso, il giudice del gravame aveva pronunciato, su appello dell’Agenzia, (anche) sull’avviso di accertamento ICI, riformando integralmente la pronuncia di prime cure (che detto avviso di accertamento aveva annullato), senza con ciò integrare il contraddittorio nei confronti dell’Ente locale;
4. – il secondo motivo è, per converso, fondato, e va accolto;
4.1 – con riferimento al principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato (art. 112 cod. proc. civ.), la Corte ha, innanzitutto, statuito che detta regula iuris può ritenersi violata ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (petitum e causa petendi), attribuendo o negando ad uno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nell’ambito della domanda o delle richieste delle parti, così che non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che esamini una questione non espressamente formulata, tutte le volte che questa debba ritenersi tacitamente proposta, in quanto in rapporto di necessaria connessione con quelle espressamente formulate (v. Cass., 26 ottobre 2009, n. 22595 cui adde Cass., 3 luglio 2019, n. 17897);
4.2 – nella fattispecie, peraltro, emerge che la contribuente aveva contestato la legittimità della rendita catastale, qual posta a fondamento dell’avviso di accertamento impugnato, e la proposizione della domanda di rideterminazione della rendita esclude che il giudice di prime cure abbia pronunciato in violazione del principio posto dall’art. 112 cod. proc. civ.;
– veniva, e viene, quindi, in considerazione l’ammissibilità di una siffatta impugnazione della rendita catastale, ovvero la sua fondatezza, o meno, nel merito, ma non anche il vizio di ultrapetizione rilevato dal giudice del gravame cui, dunque, competeva di esaminare nel merito una siffatta domanda;
5. – l’impugnata sentenza va, pertanto, cassata con rinvio della causa, anche per la disciplina delle spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Sicilia che, in diversa composizione, procederà all’esame nel merito della controversia.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo di ricorso, e rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, in diversa composizione.
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