CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 ottobre 2022, n. 29082
Lavoro somministrato a tempo determinato – Violazione D. Lgs. n. 81 del 2008 – Conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato – Esclusione
Rilevato che
1. la Corte d’Appello di Caltanissetta, con la sentenza impugnata, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto il ricorso di P.T.C., il quale, premesso di aver svolto prestazioni di lavoro somministrato a tempo determinato presso Q. Spa, ex d. lgs. n. 276 del 2003, in favore di S.A. S.p.A., in forza di contratti a termine di volta in volta prorogati, aveva eccepito l’illegittimità sotto svariati profili di detti contratti e chiedeva dichiararsi la conversione dei medesimi in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato;
2. la Corte territoriale – per quanto ancora qui rileva – ha argomentato: “quanto ai rilievi concernenti il secondo contratto stipulato per il periodo dal 1.5.2015 al 31.5.2015, rispetto al quale non si è invece consumata alcuna decadenza, deve innanzitutto ritenersi inammissibile, in quanto prospettata per la prima volta solo con l’atto di gravame, la censura concernente la mancata indicazione in seno allo stesso contratto degli eventuali rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore le misure di prevenzione adottate, giuste le previsioni di cui agli artt. 33 e 38 d. lgs. n. 276/2003, e la incompleta redazione del DVR, avendo il P. con il ricorso introduttivo di causa lamentato solo di non avere avuto fornito dall’azienda utilizzatrice gli indumenti da lavoro, che gli venivano prestati dai colleghi né dispositivi di protezione, circostanze, queste ultime, indubbiamente smentite, […], dalle risultanze della compiuta istruttoria sopra riferite”;
3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il lavoratore con unico motivo articolato in plurime censure; hanno resistito con distinti controricorsi le società intimate;
4. la proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale;
parte ricorrente ha depositato memoria;
Considerato che
1. con il motivo di ricorso testualmente si denuncia: “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 lettera D del D. Lgs. 368/2001 in materia di ‘apposizione di un termine alla durata di un contratto di lavoro subordinato non ammessa da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni- Violazione e falsa applicazione comma 5 dell’art. 20 del Decreto Legislativo n. 276 del 2003, poi disciplina i casi in cui il contratto di somministrazione di lavoro è vietato ovvero per quelle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell’articolo 4 del Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modifiche, ossia il Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, ora Decreto Legislativo n. 81 del 2008 degli artt. 106 e 107 cod. proc. civ. – Violazione e falsa applicazione Decreto Legislativo n. 81 del 2008. – Violazione e/o falsa applicazione legge di riforma (Art. 33 c.1 lett. c) D.Lgs. 81/2015) – Violazione e falsa applicazione Decreto Legislativo n. 81 del 2008 art. 18. – Violazione e falsa applicazione dell’art. 2725 c.c. in materia di divieto della prova testimoniale per gli atti che richiedono la prova per iscritto o la forma scritta – Violazione e/o falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 276 del 2003 art. 27 che disciplina gli effetti della somministrazione irregolare. – Violazione e/o falsa applicazione degli art. 1, 2 e 4 del D. Lgs 368/2001 e dall’art. 32 L. 183/2010 per nullità dei contratti di somministrazione per violazione di norme imperative”; in sintesi, si censura la parte della motivazione della sentenza impugnata riportata nello storico della lite, sostenendo che l’eccezione disattesa “era stata sollevata nel ricorso di primo grado” e che le controparti non avrebbero fornito la prova del rispetto delle norme richiamate;
2. il motivo, per come formulato, è inammissibile;
come riportato nello storico della lite, la Corte d’Appello ha statuito sulla questione oggetto di impugnazione che ancora qui rileva con una pronuncia in rito di inammissibilità, “in quanto prospettata per la prima volta solo con l’atto di gravame”; al cospetto di tale statuizione, parte ricorrente, in luogo di denunciare il preteso errore di attività del giudice d’appello secondo le modalità previste dal n. 4 dell’art. 360 c.p.c., non si confronta adeguatamente con il contenuto della decisione impugnata e formula una sequela di censure per violazione e falsa applicazione di norme di diritto sostanziale, sussumibili nell’ambito del vizio di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c.;
peraltro, le stesse vengono formulate pure in violazione del canone di specificità, visto che l’error in iudicando va dedotto, a pena di inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. n. 287 del 2016; Cass. n. 635 del 2015; Cass. n. 25419 del 2014; Cass. n. 16038 del 2013; Cass. n. 3010 del 2012);
per il resto, le doglianze riguardano accertamenti di fatto e la loro prova, ponendo questioni che esorbitano dal sindacato di legittimità;
4. conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna alle spese secondo soccombenza in favore di ciascuna delle società controricorrenti;
occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 2.700,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%, in favore di ciascuna delle parti controricorrenti.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.