CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 agosto 2018, n. 20615
Domanda di rivalutazione contributiva – Esposizione all’amianto ex art. 13, L. 257/1992 – Prova dell’uso della specifica tipologia di guanti in amianto
Rilevato che
M. G. ha proposto ricorso per cassazione, con cinque motivi, avverso la sentenza n. 211/2012 della Corte d’Appello di Roma che, nel confermare la pronuncia del Tribunale della stessa sede, ha respinto la sua domanda di rivalutazione contributiva amianto ai sensi dell’art. 13 L. 257/1992; il ricorso è stato resistito dall’I.N.P.S. con controricorso ed il M. ha poi depositato memoria illustrativa;
Considerato che
con il primo motivo di ricorso il M. adduce, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c, la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte territoriale omesso di pronunciare sul motivo di appello con cui egli aveva rappresentato come l’I.N.P.S. non avesse contestato le sue specifiche deduzioni di primo grado sui fatti costitutivi della domanda, così come prive di contestazioni erano rimaste le deposizioni testimoniali e la c.t.u., a suo dire a lui favorevoli; con il secondo motivo, il ricorrente sostiene che la Corte d’Appello avrebbe violato l’art. 13, comma 8, L. 257/1992, gli artt. 3 e 7 del d.m. 17.10.2004, nonché gli artt. 115 e 116 c.p.c., 2697 c.c. e 191 c.p.c. per avere tenuto conto solo di alcuni stralci della c.t.u., attribuendo loro un significato opposto a quello voluto dal consulente e per avere sorvolato su quanto dichiarato dai testimoni, in ordine all’esistenza di altre fonti di esposizione oltre ai guanti in amianto; con il medesimo motivo si sostiene altresì che sarebbe stato trascurato quanto risultante dagli atti di altro processo, riguardante il medesimo sito produttivo e che non sarebbe stato considerato come fosse sufficiente il raggiungimento di un rilevante grado di probabilità circa il superamento della soglia di esposizione, senza contare che la Corte aveva anche omesso di fare uso dei poteri istruttori utili eventualmente a colmare lacune rispetto all’accertamento della verità materiale;
con il terzo motivo, rubricato ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., il M. afferma che la Corte distrettuale avrebbe violato l’art. 416 c.p.c. per non avere considerato che l’I.N.P.S., nel costituirsi in appello, non avrebbe contestato specificamente i motivi di gravame da lui addotti;
con il quarto motivo il ricorrente denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 13, comma 8, L. 257/1992, nonché degli artt. 156, 157, 416 e 164 c.p.c. sul presupposto che erroneamente la Corte d’Appello
avrebbe rimarcato l’assenza di deduzioni rispetto alla tipologia di guanti in amianto utilizzati;
infine il quinto motivo assume la ricorrenza di vizi di motivazione, ai sensi dell’art. 360 n. 5, con violazione anche dell’art. 132 n. 4 c.p.c., sostenendo che la sentenza avrebbe concentrato l’attenzione solo sui guanti in amianto, mentre in causa si era fatto riferimento e risultavano anche varie altre fonti di esposizione, senza contare che l’utilizzo di guanti in amianto era del tutto certo e che la distinzione, tra essi, di guanti “cartonosi”, quale operata dal c.t.u., non risultava neppure dalle tabelle e consulenze I.N.A.I.L.;
i motivi possono essere esaminati congiuntamente, stante la loro connessione e non possono trovare accoglimento;
il ragionamento della Corte distrettuale è nel senso che, secondo quanto valutato dal c.t.u., l’esposizione del M. per effetto dell’uso di guanti in amianto e per l’esecuzione di fasciature con materiali in amianto supererebbe la soglia utile al riconoscimento del beneficio contributivo, ma solo, in esplicitazione di una riserva manifestata sempre dal c.t.u., se i guanti in amianto utilizzati fossero stati di un certo tipo (“cartonosi”), che era quello considerato dalle tabelle I.N.A.I.L. come idoneo a disperdere amianto, in quanto tale da comportare un effettivo rilascio di fibre nella misura necessaria ad integrare la soglia limite e cioè fossero «a forma di manopola ovvero senza la sede per le cinque dita», «spesso lunghi fino al gomito» ed in materiale «alquanto grezzo, descritto come semirigido o cartonoso», tipicamente in uso presso «fonderie o nell’industria metalmeccanica o nell’industria delle fibre artificiali» ;
su tale premessa la Corte conclude quindi che la prova dell’uso di quella specifica tipologia di guanti in amianto non era stata raggiunta, richiamando sia il fatto che quella tipologia di guanti (come detto, senza dita e più grossolani) erano «certamente poco indicati per lo svolgimento di lavori fini quali quelli che si svolgevano in laboratori di ricerca», sia il fatto che neppure il ricorso introduttivo conteneva l’indicazione dell’uso di tali specifici guanti;
è intanto chiaro che non ha alcun rilievo l’asserita mancata contestazione dell’I.N.P.S. rispetto al generico uso di guanti in amianto, in quanto quella che è mancata è l’affermazione e prova che tali guanti fossero di tipologia tale da determinare dispersione di fibre, secondo i puntuale rilievi sviluppati sul punto dal c.t.u. e sopra brevemente riepilogati;
tanto meno ha rilievo il fatto che l’I.N.P.S. in appello si fosse limitato, secondo quanto asserisce il ricorrente, a difese generiche, in quanto a fronte di una sentenza favorevole l’appellato non ha oneri di migliore o specifica contestazione dei singoli motivi di gravame;
quanto poi al fatto, sostenuto dal ricorrente, che l’I.N.A.I.L. non facesse, nelle proprie tabelle, quella distinzione tra tipologie di guanti su cui si basa la decisione impugnata, si osserva che il rilievo non scalfisce la valutazione di assoluta chiarezza svolta dal giudice del merito, sulla scorta della c.t.u., secondo cui, per aversi esposizione per rilascio di fibre nella misura di cui alle tabelle I.N.A.I.L., gli indumenti avrebbero dovuto essere di un certo tipo, più grossolano e tipico di aree ad alta temperatura di stabilimenti industriali (non a caso, si osserva, nella tabelle I.N.A.I.L. riportata a pag. 25 e 30 del ricorso per cassazione, nelle conclusioni, si parla di «lavoratori addetti a lavorazioni in aree a caldo»), viceversa non compatibile con lo svolgimento di «lavori fini» (così la sentenza impugnata), come quelle proprie dei laboratori ove ha lavorato il M.;
del tutto generico è inoltre il richiamo al mancato esercizio dei poteri istruttori officiosi, non essendo emerso alcun elemento, anche solo sommario, che potesse orientare verso l’avvenuta utilizzazione di guanti del tipo di quelli necessari per individuare un’esposizione oltre soglia;
non è poi vero che il c.t.u. e, con esso, la sentenza che ha acquisito gli esiti, non abbia esaminato le altre fonti di possibile esposizione ad amianto, in quanto nel testo dell’elaborato peritale riportato nel ricorso per cassazione sono contenute specifiche disamine su vari aspetti;
ininfluente è poi il fatto che, in giudizi riguardanti altri addetti della medesima azienda, possano essere state raggiunte conclusioni peritali e giudiziali diverse, in quanto ogni processo si basa su una propria ricostruzione fattuale e su autonomi sviluppi istruttori, che non possono essere tout court inficiati da quanto avvenuto o concluso in altre cause;
le critiche sviluppate hanno quindi, in gran parte, la sostanza della proposizione di soluzioni alternative, risolvendosi in inammissibili richieste di revisione delle valutazioni e del convincimento raggiunti dal giudice di secondo grado, al fine di ottenere una nuova e diversa pronuncia di merito, il che è certamente estraneo alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass., S.U., 25 ottobre 2013, n. 24148);
le altre critiche di natura più strettamente giuridica (mancata valutazione dell’assenza di contestazione dei fatti da parte dell’I.N.P.S.; mancato esercizio poteri istruttori etc.) sono a loro volta, sulla base di quanto sopra detto, infondate;
in definitiva il ricorso va respinto, con regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.000,00 per compensi ed in euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15 % ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13 comma 1 -quater del d.P.R. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13.
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