CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 dicembre 2018, n. 31765
Rapporto di lavoro subordinato – Società per azioni con partecipazione pubblica – Vincoli nell’assunzione del personale
Rilevato che
La Corte di appello di Palermo era chiamata a giudicare, a seguito del rinvio effettuato dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 15636/2016) di annullamento della precedente sentenza della medesima corte territoriale (n. 1850/2014), sulla domanda in origine avanzata da R.R. per la costituzione del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato alle dipendenze di M. spa ex art. 27 d.lvo n. 276/2003 (già accolta dal tribunale di Agrigento con sentenza n. 98/2013 ed impugnata – per quel che in questa sede rileva – dalla società datrice di lavoro dinanzi alla corte territoriale).
La Corte di appello, con la sentenza n. 206/2017, in ragione dell’indagine demandata dal Giudice di legittimità, esaminato lo Statuto della società M., la sua composizione sociale (unico socio la sola Regione), l’oggetto sociale (prestazione di servizi strumentali dell’attività della Regione Sicilia e di altri enti soci pubblici), riteneva che sebbene la partecipazione pubblica non muti la natura di soggetto di diritto privato della società siffatta, pur tuttavia è ad essa applicabile la disciplina relativa al divieto di assunzione di cui all’art. 18 l. n. 112/2008 comma 2-bis, come modificato dalla l. n. 102/2009, a ciò non ostando neppure la circostanza della non inclusione della M. nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, poiché in tale conto erano comunque inserite la regione, le ASL e le altre aziende pubbliche per le quali la M. aveva prestato la propria opera. Il giudice d’appello riteneva quindi che il contratto di lavoro di R., stipulato in epoca successiva alla entrata in vigore della citata l. n. 102/2009, non potesse essere soggetto a conversione in base all’art. 36 TU n. 165/2001.
Avverso detta decisione proponeva ricorso il lavoratore affidandolo a otto motivi.
La M. rimaneva intimata.
Parte ricorrente notificava il ricorso anche a Servizi Ausiliari Sicilia – società consortile per azioni – al solo fine della opponibilità alla stessa degli effetti della sentenza, in quanto società subentrata alla M. nell’appalto cui era addetto il lavoratore.
Considerato che
1) Con il primo motivo è dedotta la violazione e/o falsa applicazione di legge (art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.) in relazione all’art. 18 comma 2 bis d.l. n. 112/2008, per aver la corte di appello valutato la natura della M. ritenendo ininfluente l’esame dello statuto e la valutazione del “controllo analogo”.
2) Con il secondo motivo è dedotta la violazione di legge (art. 360 co 1 n. 3 c.p.c.) in relazione all’art. 384 cpc, per non essersi attenuta, la corte territoriale, ai principi enunciati dalla sentenza del Giudice di legittimità in punto di valutazione dell’inserimento nel conto economico.
3) Il terzo motivo è relativo ad error in procedendo (art. 360 1 co. n. 4 c.p.c.) per aver la corte di appello disatteso i principi di diritto resi dalla sentenza rescindente sulla natura della M. ed aver al tempo stesso affermato la natura privata sia pur con il controllo della regione.
I tre motivi possono essere trattati congiuntamente poiché attinenti, pur sotto angoli visuali differenziati, alla medesima questione inerente la valutazione effettuata dalla corte territoriale sulla natura della M. spa e sulla incidenza di tale accertamento nel rapporto di lavoro oggetto della controversia.
Deve premettersi che, questa Corte di Cassazione con la sentenza n. 14589/2016, accoglieva il motivo di ricorso dedotto dal R. avverso la precedente sentenza della medesima corte territoriale (n. 1850/2014), e cassando la sentenza sul punto, rinviava alla corte territoriale perché, quale giudice del merito, accertasse in concreto, esaminando la documentazione allegata ed in particolare lo Statuto della stessa, nonché l’eventuale efficacia riflessa delle sentenze n. 24803 e n. 24804 del 2015 e la n. 6693 del 2016, la reale natura della società e la concreta situazione di fatto, anche in ordine alla possibilità di conversione del contratto di lavoro del ricorrente.
Il dictum della sentenza rescindente disponeva ancora che nella valutazione il giudice del rinvio anche valutasse il requisito dell’inserimento delle società a partecipazione pubblica totale locale, che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica, “nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione,come individuate nell’istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 5 dell’art. 1 della legge 30 dicembre 2014, n. 311”.
Il dictum continuava con la specificazione che, comunque, occorreva tener conto del fatto che l’inserimento in tale elenco aveva natura ricognitiva e non costitutiva, come accertato dalla giurisprudenza amministrativa consolidata (Cons. Stato 26 maggio 2015 n. 2643, Corte dei conti sez riun. 4 settembre 2015 n. 48), con la conseguenza che poteva essere disatteso e disapplicato dal giudice ordinario.
Rispetto a tale articolata indicazione resa nella sentenza che rinviava alla corte territoriale la causa, quest’ultima esaminava lo Statuto della M. spa valutando che, sebbene la società per azioni con partecipazione pubblica non alteri la propria natura di soggetto di diritto privato solo perché un ente pubblico ne possegga in tutto o in parte le azioni, la previsione statutaria esaminata dimostrava che la M. era società controllata dalla Regione siciliana, che l’attività svolta fosse assolutamente a supporto delle funzioni pubbliche perseguite dalla amministrazione pubblica e peraltro in modo esclusivo.
A tale configurazione non ostava, nella valutazione della corte palermitana, la mancata inclusione della M. nel conto economico consolidato della PA, in quanto il requisito dell’inclusione in esso non era da riferirsi alle società partecipate (come la M.), ma alle pubbliche amministrazioni nei confronti delle quali era svolta l’attività di supporto.
La determinazione del giudice d’appello risulta complessivamente coerente con il dictum della sentenza di rinvio poiché risponde alla esigenza di valutazione concreta della posizione statutaria e funzionale della M. esattamente come richiesto, a ciò non contraddicendo la specificazione circa la riferibilità del requisito della inclusione nel conto economico alle aziende “supportate” e non alle società fornitrici di servizi, essendo comunque tale inclusione chiaramente individuata dalla sentenza rescindente come elemento non dirimente rispetto alla valutazione richiesta, perché privo di natura costitutiva dell’assetto e della natura della società Il dictum della sentenza di rinvio era invero articolato su più profili di indagine demandata alla Corte territoriale, con la specificazione che, pur dovendo quest’ultima valutare l’inserimento della società tra quelle inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione (come individuate dall’ISTAT ai sensi del comma 5 dell’art. 1 della legge n. 311/2004), doveva comunque considerare che tale elenco non aveva natura costitutiva ma solo ricognitiva. A ciò deve quindi conseguire che l’inserimento o meno nel predetto elenco, pur non ritenuto conferente dalla corte palermitana, risulta essere non determinante, perché solo ricognitivo della natura concreta della società in esame. La valutazione svolta dal Giudice del rinvio soddisfa quindi la finalità del complessivo dictum della sentenza rescindente, finalizzata a rendere la valutazione ancorata a parametri concreti ed effettivi, correttamente individuati dalla corte di appello nelle norme statutarie esaminate.
Risulta utile anche focalizzare, ai fini della presente controversia, la distinzione tra le società in house, (le cui caratteristiche sono state individuate da questa Corte nella contemporanea presenza di tre requisiti: 1) il capitale sociale sia integralmente detenuto da uno o più enti pubblici per l’esercizio di pubblici servizi e lo statuto vieti la cessione delle partecipazioni a privati; 2) la società esplichi statutariamente la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti, in modo che l’eventuale attività accessoria non implichi una significativa presenza sul mercato e rivesta una valenza meramente strumentale; 3) la gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici, con modalità e intensità di comando non riconducibili alle facoltà spettanti al socio ai sensi del codice civile – in tal senso Cass. n. 5491/2014), e le società assoggettate alla disciplina dell’art. 18 comma 2 bis della legge n. 112/2008.
Tale disposizione stabilisce infatti l’estensione dei divieti o limitazioni nelle assunzioni del personale come previsto a carico delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, anche alle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale né commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 5 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311.
L’ambito di applicazione del richiamato art. 18 comma 2 bis individua una platea sicuramente diversa di società assoggettate ai vincoli nell’assunzione del personale rispetto al novero delle società “in house”, sicché non risulta affatto contraddittorio quanto rilevato dalla corte territoriale sulla natura privata della società M. giustapposta alla presenza di un controllo regionale ed a caratteristiche del servizio destinate a ragioni di pubblica utilità.
Ogni ulteriore indagine sull’accertamento di fatto effettuato dalla corte di rinvio sul merito della valutazione delle caratteristiche della M., tale da farla considerare rientrante nell’ambito di applicazione della disciplina richiamata, risulta poi una richiesta di ulteriore esame di merito non consentito in questa sede di legittimità e come tale inammissibile.
I tre motivi devono quindi essere rigettati.
4) Con il quarto motivo si denuncia l’omesso esame di fatti decisivi (art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c.) quali lo statuto, la visura camerale e le sentenze della Cassazione in fattispecie similari, rispetto alle quali la corte palermitana avrebbe dovuto valutarne il valore vincolante di giudicato rispetto alla fattispecie in esame.
Il motivo risulta infondato poiché la corte di appello ha esaminato e valutato i predetti elementi (esamina lo Statuto a pg. 7 sentenza) anche escludendo (pg.5 sentenza) che le sentenze precedenti richiamate potessero costituire valore di giudicato in quanto solamente accertative della vicenda circolatoria e dell’applicazione del 2112 cc, nei rapporti tra M. spa e SAS spa, e dunque non contenenti alcuna statuizione sulla natura della stessa M.
5) Con il quinto motivo è dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, (art. 360 co 1 n. 5 c.p.c.), quale la carenza del “controllo analogo”.
6) Con il sesto motivo è dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo quali l’inesistenza di divieti per la assunzione nella M., avendo la Corte territoriale, omesso di valutare tutto lo Statuto e la visura da cui emergeva la sola partecipazione della regione e dunque la qualità di azienda privata cui si applica la disciplina dell’art. 27 D.l.gs n. 276/2003.
Entrambi i motivi possono essere trattati congiuntamente poiché entrambi attinenti alla denuncia del vizio di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c.
Questa Corte ha ripetutamente precisato che “L’omesso esame del fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., come riformato dall’art. 54, comma 1, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, va inteso, in applicazione dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 disp. prel. cod. civ., tenendo conto della prospettiva della novella, mirata ad evitare l’abuso dei ricorsi basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, supportando la generale funzione nomofilattica della Corte di cassazione. Ne consegue che: a) l’omesso esame” non può intendersi che “omessa motivazione”, perché l’accertamento se l’esame del fatto è avvenuto o è stato omesso non può che risultare dalla motivazione; b) i fatti decisivi e oggetto di discussione, la cui omessa valutazione è deducibile come vizio della sentenza impugnata, sono non solo quelli principali ma anche quelli secondari; c) è deducibile come vizio della sentenza soltanto l’omissione e non più l’insufficienza o la contraddittorietà della motivazione, salvo che tali aspetti, consistendo nell’estrinsecazione di argomentazioni non idonee a rivelare la “ratio decidendi”, si risolvano in una sostanziale mancanza di motivazione” (Cass. n. 7983/2014).
Ha poi soggiunto che “il sindacato di legittimità sulla motivazione è ridotto al “minimo costituzionale”, restando riservata al giudice del merito la valutazione dei fatti e l’apprezzamento delle risultanze istruttorie, ma la Corte di cassazione può verificare l’estrinseca correttezza del giudizio di fatto sotto il profilo della manifesta implausibiIità del percorso che lega la verosimiglianza delle premesse alla probabilità delle conseguenze e, pertanto, può sindacare la manifesta fallacia o non verità delle premesse o l’intrinseca incongruità o contraddittorietà degli argomenti, onde ritenere inficiato il procedimento inferenziale ed il risultato cui esso è pervenuto, per escludere la corretta applicazione della norma entro cui è stata sussunta la fattispecie” (Cass. n. 16502/2017).
Gli enunciati principi sottolineano gli esatti limiti della operatività del difetto denunciato nei quali non risultano rientrare le censure articolate, invece dirette a ottenere un nuovo esame di merito di taluni elementi , in parte già esaminati dal giudice del rinvio nella sentenza impugnata ed in parte non connotati dal necessario requisito di decisività. I detti motivi sono pertanto inammissibili.
7) Con il settimo motivo parte ricorrente denuncia la violazione dell’art. 384 c.p.c. (art. 360 1 co n. 3 c.p.c.) perché non rispettati i principi enucleati dalla sentenza rescindente del Supremo Collegio. Il motivo è infondato per quanto detto rispetto ai primi tre motivi di censura con riguardo alla complessiva coerenza della decisione della corte territoriale rispetto al dictum della sentenza di rinvio.
8) L’ultimo motivo denuncia la violazione di legge (art. 360 co 1 n. 3 c.p.c.) in cui sarebbe incorsa la corte territoriale nel compensare interamente le spese del giudizio.
Questa Corte ha chiarito che “In tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti inammissibile il motivo di censura che, non evidenziando i su indicati profili di violazione, si limiti a censurare la valutazione di merito sulla compensazione delle spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis, dello stesso articolo 13.
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