CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 febbraio 2022, n. 3823
Licenziamento collettivo – Cessazione attività – Processo di esternalizzazione – Adesione dei lavoratori al collocamento in mobilità
Rilevato che
1. La Corte d’appello di Torino ha respinto il reclamo proposto dai ricorrenti indicati in epigrafe avverso la sentenza di primo grado che, rigettando l’opposizione all’ordinanza emessa all’esito della fase sommaria, aveva confermato la decisione di rigetto della domanda volta alla declaratoria di nullità, illegittimità o inefficacia del licenziamento intimato il 17.12.2015, nell’ambito della procedura di licenziamento collettivo aperta dalla C.C. Società Cooperativa Dettaglianti Esercenti (d’ora in poi, C.) con comunicazione del 6.10.2015.
2. La Corte territoriale ha così ricostruito la sequenza dei fatti che hanno preceduto il licenziamento:
– in data 29.09.2014, con comunicazione ai sensi degli artt. 4 e 24, l. n. 223 del 1991, la C. avviava una prima procedura di licenziamento collettivo, dichiarando un esubero di tutto il personale operaio adibito al magazzino e ai servizi generali, presso la sede aziendale sita in Leinì, a causa della decisione di cessare definitivamente lo svolgimento in proprio di tali attività e di affidarle a terzi fornitori;
– in data 2.10.2014, in un primo incontro con le organizzazioni sindacali, la C. comunicava di avere in corso trattative con due diversi fornitori, interessati al processo di esternalizzazione, disponibili ad assumere 62 lavoratori, previa risoluzione del rapporto dei medesimi con C.;
– in data 31.10.2014, con successivo verbale di accordo, la C. “ritirava” la procedura di licenziamento collettivo, confermando l’attuazione del processo di terziarizzazione dei servizi di logistica di magazzino e servizi generali per un numero complessivo di 62 lavoratori che, in base agli accordi allegati, sarebbero stati assunti dalle società che avrebbero gestito tali servizi, impegnandosi altresì a garantire la ricollocazione del personale escluso, compatibilmente con l’andamento del mercato;
– in data 10.11.2014, nel corso di un nuovo incontro con le OO.SS., la C. ribadiva l’impegno delle due società appaltatrici ad assumere, previe dimissioni, i 62 dipendenti, precisando che nei giorni successivi sarebbero iniziati i colloqui individuali di dette società con gli operai al fine di garantire l’avvio della nuova organizzazione entro l’1.1.2015, preannunciando al contempo la richiesta di CIGS a zero ore (poi effettivamente presentata e accolta);
– in data 16.12.2014 la C. comunicava l’apertura di una nuova procedura di licenziamento collettivo per 19 operai e in data 22.12.2014, con verbale di accordo all’esito dell’esame congiunto, le parti davano atto dell’esubero strutturale di 15 unità e l’azienda dichiarava che avrebbe fatto ricorso alla mobilità utilizzando, quale unico criterio di scelta alternativo a quelli previsti dalla legge, l’adesione dei lavoratori al collocamento in mobilità; criterio che in effetti fu applicato per la risoluzione incentivata del rapporto dei 15 lavoratori entro il 31.1.2015;
– in data 06.10.2015 la C. comunicava l’apertura di una nuova procedura di licenziamento collettivo per i rimanenti 17 operai addetti alle attività oggetto di cessazione e collocati in CIGS a zero ore dal 22.12.2014;
– nell’ambito del successivo incontro con le OO.SS. in data 24.11.2015, la società confermava l’impossibilità di ricollocare in azienda i suddetti lavoratori al termine del periodo di cassa integrazione, e in data 17.12.2015 procedeva al licenziamento.
3. La sentenza d’appello, per quanto ancora rileva, ha ritenuto infondata, per difetto di allegazioni e prove, la deduzione dei lavoratori sulla configurabilità di un unico centro di imputazione dei rapporti giuridici tra C. e le società appaltatrici dei servizi esternalizzati, e parimenti la deduzione di esistenza di una complicità di queste ultime con la C. al fine della elusione dei criteri di scelta nell’ambito della procedura di licenziamento collettivo; non essendo sufficiente a tal fine il dato per cui C. aveva rappresentato la disponibilità, e poi l’impegno, di tali società ad assorbire 62 dipendenti in esubero. Nel senso della genuinità del processo di esternalizzazione deponeva, secondo i giudici di secondo grado, la avvenuta sottoscrizione da parte delle OO.SS. e delle rappresentanze sindacali aziendali del verbale di accordo datato 31.10.2014 e dei successivi accordi del 22.12.2014 con le due società appaltatrici dei servizi. Il controllo puntuale da parte delle rappresentanze territoriali e aziendali dei lavoratori rendeva scarsamente probabile l’assunto di una individuazione ab origine dei 32 dipendenti “sgraditi” da licenziare, ed esclusi pertanto dal passaggio alle società appaltatrici, data anche l’assenza di specifiche allegazioni da parte dei reclamanti sull’adozione di criteri discriminatori nella selezione per le assunzioni o sul rifiuto illegittimamente opposto alla loro eventuale disponibilità ad essere collocati presso tali società, con violazione degli obblighi di correttezza e buona fede. I reclamanti peraltro non avevano offerto alcun elemento atto a dimostrare che, nell’ipotesi di accertata violazione dell’art. 5, l. n. 223 del 1991, la corretta comparazione con gli altri lavoratori avrebbe comportato un esito diverso e a loro favorevole.
4. La Corte di merito ha giudicato ammissibile (contrariamente al Tribunale) la censura (prospettata per la prima volta nel ricorso in opposizione avverso l’ordinanza emessa all’esito della fase sommaria) sul vizio di forma della comunicazione di avvio della procedura di licenziamento collettivo del 6.10.2015, per mancata specificazione dei motivi che impedivano di salvaguardare il posto di lavoro dei reclamanti e per la mancata comparazione dei medesimi con i dipendenti addetti ad altre sedi. Ha, tuttavia, ritenuto la stessa infondata, rilevando che nella comunicazione di apertura erano indicate le ragioni dell’esubero e della impossibilità di evitare i licenziamenti: la società aveva adottato un nuovo modello organizzativo, cessando definitivamente di svolgere con proprio personale le attività di logistica e servizi generali, affidate a terzi dall’1.1.2015; sul totale dell’organico di 96 operai addetti a tale settore, 62 erano stati assorbiti dalle società appaltatrici con accordi siglati il 22.12.2014, due operai a tempo determinato avevano cessato il rapporto alla scadenza, 15 operai avevano aderito alla risoluzione incentivata entro il 31.12.2015; il licenziamento impugnato interessava tutte le unità (n. 17) con qualifica di operaio ancora in forza presso la sede di Leinì; non vi erano altre sedi adibite ad attività di magazzino; il personale rimasto in servizio nell’Area organizzativa del Magazzino (oggetto della procedura) era composto unicamente da impiegati e le altre Aree aziendali non coinvolte nell’operazione erano costituite tutte da Uffici (denominati rispettivamente Sviluppo, Acquisiti, Vendite, Marketing, Ced, Amministrazione).
La comunicazione era pertanto conforme ai requisiti previsti dall’art. 4, comma 3, l. n. 223 del 1991, e consentiva alle organizzazioni sindacali – e, tramite queste, ai lavoratori – di esercitare efficacemente i poteri di controllo preventivo ad esse demandati sulla genuinità delle ragioni di esubero, riguardanti la totalità del personale operaio addetto alle attività definitivamente cessate, e l’effettiva necessità dei licenziamenti per l’impossibilità di una diversa collocazione aziendale dei medesimi.
5. Avverso tale sentenza i ricorrenti indicati in epigrafe hanno proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo. C.C. Società Cooperativa Dettaglianti Esercenti ha resistito con controricorso.
6. I ricorrenti hanno depositato memoria.
Considerato che
7. Con l’unico motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., nullità della procedura di licenziamento collettivo e violazione o falsa applicazione degli artt. 4 e 5 della legge n. 223 del 1991, per essere stati, i soggetti da licenziare, individuati non in base ai criteri legali di scelta bensì a seguito di colloqui preassuntivi svolti da terzi.
8. I ricorrenti sostengono che la procedura per la riduzione del personale è iniziata a fronte di 96 esuberi;
che fin dal verbale di primo incontro con le OO.SS. (3.10.2014), la datrice di lavoro aveva deciso di cedere alle società appaltatrici del servizio di movimentazione merci 62 dipendenti addetti a quel servizio e di licenziare i restanti 34 lavoratori; che i dipendenti da licenziare dovevano essere individuati applicando i criteri di cui agli artt. 4 e 5, l. n. 233 del 1991, all’intera platea degli esuberi; che la Corte di merito ha errato nel considerare esistenti distinte procedure di licenziamento collettivo, mentre i vari segmenti costituivano parte della medesima unitaria procedura che aveva portato alla espulsione di 34 lavoratori, alcuni (n. 15) su base volontaria ed altri (n. 17) mediante formale licenziamento; che la medesima Corte ha valutato la dedotta violazione degli artt. 4 e 5 cit. in riferimento alla sola procedura di mobilità iniziata nel dicembre 2015, là dove tale violazione era stata commessa prima, nel momento in cui la datrice di lavoro (che aveva un rapporto contrattuale con le società appaltatrici in cui era inserito l’obbligo di queste ultime di occupare 62 dipendenti della C.) aveva scelto (oppure lasciato scegliere) ad nutum i dipendenti che sarebbero transitati presso le società appaltatrici, lasciando in servizio presso di sé le persone (n. 34) che sarebbero state poi licenziate o, comunque, allontanate dal posto di lavoro; che la Corte d’appello ha valutato il rispetto delle disposizioni citate in relazione all’ultima fase della procedura aperta il 6.10.15, quando erano rimasti in azienda, nel reparto magazzino, solo 17 dipendenti, rispetto ai quali non era più necessario applicare i criteri di scelta; che, come dedotto dagli attuali ricorrenti fin dal primo grado (v. ordinanza del 5.6.17), l’addebito mosso alla società datoriale era “di non aver selezionato i dipendenti da licenziare fin dall’inizio… secondo i criteri di cui all’art. 5, comma 1, l. n. 223 del 1991”.
9. Il motivo non può trovare accoglimento.
10. Quello che i ricorrenti censurano è la restrizione della platea dei lavoratori da licenziare a coloro che non erano transitati alle dipendenze delle società appaltatrici e, nella sostanza, assumono che la selezione dei dipendenti assunti da queste ultime società sarebbe dovuta avvenire con applicazione dei criteri di scelta, di cui all’art. 5, l. n. 223 del 1991.
11. In tal modo essi confondono due diversi fenomeni, corrispondenti a distinti istituti giuridici.
12. Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che, in materia di licenziamento collettivo, la restrizione della platea dei lavoratori da comparare, ad esempio in quanto addetti ad una unità o ad un determinato settore, deve essere obiettivamente giustificata dalle esigenze organizzative fondanti la riduzione di personale e non può costituire effetto dell’unilaterale decisione del datore di lavoro; i motivi della restrizione devono essere adeguatamente esposti nella comunicazione di cui all’art. 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991 cit., così da consentire alle organizzazioni sindacali di verificare il nesso tra le ragioni che determinano l’esubero di personale e le unità lavorative che l’azienda intende concretamente espellere (v. Cass. n. 2429 del 2012; n. 4678 del 2015; n. 22178 del 2018).
13. Nel caso in esame, è pacifico e positivamente accertato che la riduzione del personale interessava l’intero magazzino, la cui attività veniva esternalizzata, e che gli altri reparti o settori dell’azienda comprendevano unicamente uffici e quindi personale amministrativo, sicché non residuava alcuna postazione lavorativa a cui potesse essere adibito il personale operaio.
14. Accertata quindi l’esistenza di adeguate ragioni di individuazione della platea dei lavoratori in esubero, come corrispondente a tutti gli operai addetti al magazzino, non vi era spazio per utilizzare i criteri di scelta, atteso che la soppressione dell’attività di magazzino portava con sé l’esigenza di estinguere i rapporti di lavoro con tutti i dipendenti al medesimo addetti e in nessun modo ricollocabili in azienda.
15. Tale accertamento, compiutamente svolto nella sentenza impugnata, è sufficiente a disvelare la non configurabilità della prospettata violazione di legge, e specificamente dei criteri legali di scelta.
16. L’aspetto, su cui il ricorso fa leva, di illegittima selezione (non dei dipendenti da licenziare e di fatto licenziati, bensì) dei lavoratori assunti alle dipendenze delle società appaltatrici e sulla base di colloqui con le stesse, non attiene alla procedura di licenziamento collettivo ed è anzi ad essa del tutto estraneo.
17. Se pacificamente la selezione, da parte delle società terze, del personale (licenziato dalla C.) da assumere ex novo non era assoggettata al rispetto dei criteri di scelta di cui alla legge n. 223 del 1991, eventuali profili di illegittimità avrebbero potuto essere eventualmente veicolati attraverso la violazione di altre norme di diritto, come ad esempio, del principio di non discriminazione, oppure dell’art. 2112 cod. civ., ove si fosse prospettata la configurabilità di una cessione di ramo d’azienda, ma nessuna deduzione in tal senso risulta in causa.
18. Per le considerazioni svolte, il ricorso deve essere respinto.
19. Le spese del giudizio di legittimità sono regolate secondo il criterio di soccombenza, e liquidate come in dispositivo.
20. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 5.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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