CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 gennaio 2019, n. 145
Licenziamento illegittimo – Risarcimento del danno ex art. 18 L. 300/1970 – Precetto emesso sulla scorta del dispositivo della sentenza di merito – Opposizione – Genericità del titolo azionato – Interpretazione extratestuale del provvedimento, fondata sugli elementi ritualmente acquisti nel giudizio a quo – Sussiste
Rilevato che
Il Tribunale di Sassari con sentenza n.114/2012 dichiarava illegittimo il licenziamento intimato in data 22/12/2010 ad U.C.B. dalla S. s.p.a., ordinava la reintegra del lavoratore nel posto in precedenza occupato e condannava la società al risarcimento del danno ex art. 18 st. lav. commisurato alla retribuzione globale di fatto dal dì del licenziamento a quello della effettiva reintegra.
Con ricorso notificato il 18/4/2012 la società proponeva opposizione al precetto emesso sulla scorta del dispositivo della predetta sentenza, con il quale era stato ingiunto il pagamento della somma di euro 258.345,81 per la causa descritta, stante la genericità del titolo azionato. Resisteva la controparte.
Medio tempore, veniva depositata la sentenza n. 114/2012 che recava in motivazione l’importo mensile della retribuzione globale di fatto nella misura di euro 6.627,00 netti.
Detta statuizione veniva, di seguito riformata dalla Corte distrettuale che accertava l’ammontare della retribuzione globale di fatto, nella misura di euro 5.819,15, comprensivi degli aggiornamenti contrattuali successivi al 2009 ed il premio S. pari allo 0,8% del fatturato, retribuzione in base alla quale era stato redatto l’atto di precetto.
Il Tribunale di Sassari, sulla scorta di tali acquisizioni, dichiarava inefficace il precetto e condannava la società al pagamento della somma di euro 144.814,83 calcolato in base al parametro retributivo dell’importo netto di, euro 5.819,15.
La Corte d’appello di Cagliari – Sezione distaccata di Sassari – con la sentenza qui impugnata n. 295 del 18-30/12. 12013, rigettava l’appello principale proposto dalla società ed in accoglimento dell’appello incidentale, respingeva l’opposizione al precetto.
A fondamento del decisum, il giudice del gravame osservava, in sintesi, come le contestazioni formulate dalla società con riferimento alla documentazione dalla stessa redatta (quali buste paga e bilancio), del tutto generiche, non fossero idonee ad inficiare la validità dei documenti stessi. Soggiungeva che nel giudizio di opposizione a precetto non si poteva discutere sulla spettanza o meno di alcune voci retributive, da dibattere propriamente in sede di procedimento di merito che risultava, peraltro, concluso con la determinazione da parte della stessa Corte, dell’importo delle retribuzioni spettanti al lavoratore nella misura indicata nel precetto opposto.
Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione la S. s.p.a. affidato a due motivi.
Resiste con controricorso la parte intimata.
Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Considerato che
1. Con il primo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 474 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma primo n. 3 c.p.c.
Si ribadisce che il dispositivo di sentenza su cui si fondava l’esecuzione intrapresa dal lavoratore, non conteneva dati idonei alla quantificazione del credito ed i documenti sui quali la Corte aveva fondato la propria decisione non erano da ritenersi incontestati.
2. Il secondo motivo prospetta violazione o falsa applicazione dell’art. 18 L. 300/70 ex art. 360 comma primo n. 3 c.p.c.
Si critica la sentenza impugnata per aver accordato al lavoratore, con il rigetto dell’opposizione a precetto, voci retributive che non rientravano nella nozione di retribuzione globale di fatto.
3. I motivi, congiuntamente esaminabili stante la connessione che li connota, sono infondati.
Occorre premettere che sulla questione della autosufficienza del titolo esecutivo giudiziale, parte della giurisprudenza di questa Corte si era in precedenza espressa con un orientamento che intendeva detto requisito in senso assoluto e letterale (tra tante, Cass. 21/11/2006, n. 24649, Cass. 23/4/2009, n. 9693, Cass. 5/2/2011 n. 2816), laddove altro orientamento, lo riteneva compatibile con l’interpretazione extratestuale del provvedimento, fondata sugli elementi ritualmente acquisti nel giudizio a quo (ex multis, vedi Cass. 29/11/2004 n. 22427, Cass. 15/3/2006, n. 5683, Cass. 17/4/2009 n. 9245).
Con la sentenza 2/7/2012 n. 11066, le Sezioni Unite di questa Corte hanno privilegiato tale secondo indirizzo, stabilendo che la sentenza, fatta valere quale titolo esecutivo, può essere integrata sulla base degli elementi extratestuali acquisiti nel processo a quo, sì da non imporre al creditore l’attivazione di ulteriori mezzi cognitivi (quale quello monitorio). In tal senso si è quindi espressa la successiva giurisprudenza di legittimità – alla quale si intende dare continuità – secondo cui il titolo esecutivo giudiziale, ai sensi dell’art. 474 comma 2, n. 1, c.p.c., non si identifica, né si, esaurisce, nel documento giudiziario in cui è consacrato l’obbligo da eseguire, essendo consentita l’interpretazione extratestuale del provvedimento, sulla base degli elementi ritualmente acquisiti nel processo in cui esso si è formato (vedi Cass. 21/12/2016 n. 26567, Cass. 5/6/2018 n. 14356).
Orbene, la pronuncia impugnata, come già fatto cenno nello storico di lite, non si è discostata dai principi enunciati – laddove ha confermato che il precetto era stato correttamente modulato sulla scorta della retribuzione globale di fatto risultante dai documenti di provenienza datoriale – onde resiste alla censura all’esame.
4. Quanto alla prospettata violazione della disposizione statutaria di cui all’art.18, per avere la Corte territoriale errato nella determinazione della retribuzione globale di fatto spettante al lavoratore, devono rilevarsi profili di inammissibilità della doglianza con la quale, mediante il dedotto vizio di violazione di legge, si è inteso censurare secondo modalità non consentite nella presente sede di legittimità (vedi ex plurimis, Cass. 11/1/2016 n. 195), un accertamento in fatto in ordine all’ammontare dell’indennità, risarcitoria spettante ai sensi dell’art. 18 l. 300/70, già cristallizzato – nel corso del procedimento avente ad oggetto l’impugnazione di licenziamento, e comunque, correttamente disposto alla stregua dei documenti di provenienza della ricorrente, acquisiti in quel giudizio, secondo i principi ai quali si innanzi fatto riferimento.
In definitiva, alla luce delle sinora esposte considerazioni, il ricorso è respinto.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, liquidate come da dispositivo.
Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 ricorrono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’articolo 17 L. 228/2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15%, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater d.p.r. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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