CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 gennaio 2019, n. 158
Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato – Accertamento – Sottoposizione della lavoratrice al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore
Rilevato
che, con sentenza del 28 marzo 2017, la Corte di Appello di Salerno confermava la decisione del Tribunale in sede che, in parziale accoglimento della domanda proposta da E.M. nei confronti della C. s.r.l., aveva accertato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti dal giugno 2004 al gennaio 2008 e condannato la società al pagamento in favore della lavoratrice della somma di euro 24.657,93 oltre accessori di legge; che, ad avviso della Corte territoriale e per quello ancora di rilievo in questa sede, dalla espletata istruttoria era emersa prova idonea della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato nel periodo anteriore alla formale assunzione della M., cioè nell’arco temporale tra giugno 2004 e gennaio 2008;
che per la cassazione di tale decisione propone ricorso la C. s.r.l. affidato a due motivi cui resiste con controricorso la M.; che è stata depositata la proposta del relatore ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
che la ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ. in cui dissente dalla proposta del relatore ed insiste per l’accoglimento del ricorso;
Considerato
che: con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 cod. civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) per avere la Corte d’appello ritenuto provata la sottoposizione della lavoratrice al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro solo sulla scorta della mera presenza in azienda della M. e del fatto che due testi avevano riferito di “direttive” impartite alla predetta dall’amministratore, senza alcuna indicazione circa il loro contenuto; con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2094 cod. civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) nonché omesso esame della questione relativa all’onere della prova (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.) non avendo il giudice del gravame considerato che l’onere della prova della subordinazione incombe sul lavoratore ragion per cui, in presenza di una prova esigua ed ambigua come nel caso in esame, la domanda della M. doveva essere rigettata anche in considerazione del fatto che la predetta aveva rilasciato alla società ricevute di pagamento per lo svolgimento di lavoro autonomo;
che entrambi i motivi, da trattare congiuntamente in quanto connessi, sono inammissibili perché tendono – nonostante il formale richiamo contenuto nella rispettive intestazioni a violazioni di norme di legge – col sollecitare una generale rivisitazione del materiale di causa e nel chiederne un nuovo apprezzamento nel merito, operazione non consentita in sede di legittimità neppure sotto forma di denuncia di vizio di motivazione; invero, è stato in più occasioni affermato dalla giurisprudenza di questa Corte che la valutazione delle emergenze probatorie, come la scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr, e plurimis, Cass. n. 17097 del 21/07/2010; Cass. n. 12362 del 24/05/2006; Cass. n. 11933 del 07/08/2003). Peraltro, la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro è censurabile in sede di legittimità soltanto limitatamente alla scelta dei parametri normativi di individuazione della natura subordinata o autonoma del rapporto, mentre l’accertamento degli elementi, che rivelino l’effettiva presenza del parametro stesso nel caso concreto attraverso la valutazione delle risultanze processuali e che sono idonei a ricondurre le prestazioni ad uno dei modelli, costituisce apprezzamento di fatto che, se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato, resta insindacabile in Cassazione (v. Cass. 27 luglio 2007, n. 16681; Cass. 23 giugno 2014, n. 14160);
che, riguardo al secondo motivo, va rilevato come lo stesso non presenti alcuno dei requisiti di ammissibilità richiesti dall’art. 360, primo comma, n. 5 così come novellato nella interpretazione fornitane dalle Sezioni unite di questa Corte (SU n. 8053 del 7 aprile 2014) finendo il lamentare non l’omesso esame di un fatto, ma di una questione giuridica;
che, peraltro, la Corte di appello con una motivazione adeguata, priva di contraddizioni, ha valutato gli esiti della espletata istruttoria giungendo a ritenere che non fosse stata fornita la prova della subordinazione;
che, pertanto, in adesione alla proposta del relatore il ricorso va dichiarato inammissibile;
che le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono poste a carico della ricorrente e vengono liquidate come da dispositivo con attribuzione all’avv. G.S. per dichiarato anticipo fattone;
che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15% con attribuzione.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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