CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 giugno 2018, n. 14859
Imposte indirette – IVA – Riscossione – Credito – Dichiarazione – Compensazione – Procedimento
Fatti e ragioni della decisione
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione contro la società F.G.M. s.r.l., impugnando la sentenza resa dalla CTR Emilia Romagna che, nel respingere l’appello proposto dall’Ufficio, ha confermato la pronunzia di annullamento della cartella relativa al recupero del credito IVA 2006 disposto dal giudice di primo grado. Secondo la CTR l’errore nel quale era incorsa la contribuente -indicando nel rigo riservato al credito IVA chiesto a rimborso nella dichiarazione relativa all’anno 2006 e poi riportato nella dichiarazione dell’anno successivo come credito in compensazione- non aveva inciso sull’attività di controllo dell’ufficio che, anzi, informato della reale volontà del contribuente, si era indebitamente rifiutato di correggere l’errore, ritenendolo non formale.
La società intimata si è costituita con controricorso.
Il procedimento può essere definito con motivazione semplificata.
Con l’unico motivo proposto l’Agenzia prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 54 bis dPR n. 633/1972 e dell’art. 2 dPR n. 322/1998, nonchè degli artt.1324 e 1427 c.c.
La CTR avrebbe tralasciato di considerare che la condotta del contribuente, laddove aveva indicato a rimborso il credito nella dichiarazione dell’anno 2006 e successivamente compensato lo stesso credito nell’anno successivo, non integrava un errore formale, ma piuttosto una vera e propria manifestazione di volontà negoziale non ritrattabile se non con la presentazione della dichiarazione integrativa ai sensi dell’art. 2 dPR n. 322/1988, nel caso di specie mai presentata.
Il ricorso, ammissibile in rito, indicando gli elementi sui quali si fonda la censura, è infondato.
Questa Corte, esaminando fattispecie simile a quella odierna- compilazione da parte del contribuente di dichiarazione dei redditi nella quale veniva indicato a rimborso un credito IVA poi riportato quale eccedenza di imposta per l’anno successivo, con conseguente ripresa a tassazione, mediante cartella, dell’intero importo del credito- ha ritenuto di non potere riconoscere l’emendabilità illimitata dell’eventuale errore commesso dal contribuente nella compilazione di una delle dichiarazioni, in particolare affermando che “…al suddetto principio faccia eccezione l’ipotesi in cui il legislatore abbia subordinato la concessione di un beneficio fiscale ad una precisa manifestazione di volontà (od opzione) del contribuente, anche se da compiersi all’interno della stessa dichiarazione, mediante la compilazione di un modulo predisposto dall’erario (o altrimenti), poichè, a questi effetti, quella specifica parte della dichiarazione assume il diverso valore di atto negoziale, come tale irretrattabile anche in caso di errore, salvo che il contribuente dimostri che questo fosse conosciuto o conoscibile dall’amministrazione (ex multis, Cass. n. 13454 del 2015). Come infatti chiarito da Cass. n. 7294 del 2012, esulano dalla disciplina generale gli errori parimenti commessi nella dichiarazione fiscale, ma relativi alla indicazione di dati riferibili a manifestazioni di volontà negoziale, come, in quel caso, l’esercizio della facoltà di opzione (ex art. 102 T.U.I.R.) di utilizzare le perdite di esercizio verificatesi negli anni pregressi – portandole in diminuzione del reddito prodotto nell’anno oggetto della dichiarazione – ovvero di non utilizzare dette perdite, riportandole in diminuzione dal reddito nei periodi di imposta successivi. Analoga conclusione è stata tratta nel caso dell’applicazione dell’aliquota ridotta sugli utili d’impresa prodotti dai maggiori investimenti, ai sensi del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 466, artt. 1 e 3 (Cass. n. 1427 del 2013), nonchè nella procedura di rideterminazione dei valore di acquisto di partecipazioni prevista dalla L. n. 448 del 2001, art. 5 in tema di plusvalenze e minusvalenze D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 81, comma 1, lett. c) e c-bis) (Cass. n. 3410 del 2015). In simili ipotesi, si sostiene, il contribuente che intenda contestare l’atto impositivo, notificatogli dall’amministrazione finanziaria, per far valere l’errore commesso è onerato – secondo la disciplina generale dei vizi della volontà di cui all’art. 1427 cod. civ. e ss., applicabile ex art. 1324 cod. civ. agli atti unilaterali inter vivos a contenuto patrimoniale, in quanto compatibile – di fornire la prova della rilevanza dell’errore, con riguardo ad entrambi i requisiti della sua essenzialità ed obiettiva riconoscibilità da parte dell’amministrazione finanziaria. Con la conseguenza che, laddove il contribuente non fornisca detta prova, indispensabile affinchè il vizio della volontà possa incidere, invalidandola, sulla dichiarazione negoziale, quel generale principio di emendabilità non vale ad inficiare la pretesa tributaria legittimamente azionata (conf. Cass. n. 6977 del 2015)”– cfr. Cass. n. 3286/2016-.
Orbene, proprio la pronunzia da ultimo ricordata, richiamata dall’Agenzia ricorrente a sostegno della censura, mette in chiara evidenza come la CTR non sia incorsa nell’errore prospettato dall’Agenzia, semmai occorrendo integrare la motivazione della decisione, corretta nel dispositivo.
Ed invero, la CTR, dato atto dell’errore del contribuente nella compilazione della dichiarazione IVA relativa all’anno 2006- nella quale aveva indicato nel rigo relativo al rimborso il credito IVA maturato- ha correttamente considerato il contegno del contribuente che, rispetto alla dichiarazione presentata nell’anno 2007, non aveva predisposto il modello VR per ottenere il rimborso. Elemento, quest’ultimo, affatto marginale, se si considera che la stessa Agenzia delle entrate, con la circolare n.12/E del 12.3.2010, ha riconosciuto che “In assenza del modello VR il credito IVA indicato nella dichiarazione annuale si intende imputato in detrazione e/o in compensazione”.
Detto questo, la CTR ha parimenti evidenziato che il contribuente, dopo avere ricevuto comunicazione dell’intenzione dell’Ufficio di riprendere a tassazione l’eccedenza indicata in compensazione per l’anno 2007, aveva avanzato istanza di sgravio, disattesa dall’Ufficio.
Orbene, siffatti elementi rendono evidente che il contribuente aveva pienamente dimostrato l’essenzialità e riconoscibilità dell’errore nel quale era incorso all’atto della compilazione della dichiarazione relativa all’anno 2006, mettendo in condizione l’Ufficio di riconoscere l’errore stesso.
D’altra parte, nessun pregiudizio risulta derivato allo Stato dalla condotta del contribuente, non potendosi individuare un intento evasivo o elusivo da parte del contribuente – cfr. Cass. n.2882/2017- che, accortosi dell’errore dopo la comunicazione dell’Ufficio che reclamava l’importo dell’IVA erroneamente indicata nella dichiarazione dell’anno 2006- come ritenuto dalla CTR con accertamento di fatto incontestato- al contrario, aveva esternato tempestivamente la volontà di non attivarsi per ottenere il rimborso per l’anno 2006, invece presentando la richiesta di rimborso parziale con modello VR per il periodo d’imposta 2007- come attestato dai documenti riprodotti dalla controricorrente nel controricorso e depositati nel corso del giudizio di primo grado.
Resta soltanto da aggiungere che non osta alle conclusioni appena esposte l’indirizzo giurisprudenziale di questa Corte secondo il quale la presentazione del modello VR non è necessaria al fini della decorrenza del termine di decadenza, una volta inserito il credito nella voce della dichiarazione relativa al rimborso, essendo qui in discussione unicamente la valenza ricognitiva che l’assenza di presentazione del modello VR per l’anno 2006 e la successiva compilazione parziale del rimborso per l’anno successivo del credito riportato poteva avere ai fini della riconoscibilità dell’errore da parte dell’ufficio. Sulla base di tali considerazioni, idonee ad integrare la motivazione della sentenza impugnata, il ricorso va rigettato. Le spese del giudizio vanno compensate, tenuto conto delle ragioni che hanno determinato l’innesco dell’originaria iscrizione a ruolo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa le spese.
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